Commento
al Vangelo – VII Domenica di Pasqua 2015 B (Mc
16,15-20)
Solennità
– Ascensione del Signore
La
missione degli apostoli
San
Marco ricapitola in pochi versetti gli avvenimenti che si
verificarono dopo la risurrezione, perché erano molto noti in mezzo
ai fedeli, ai quali, prima di tutto, si annunciavano, predicando il
Vangelo, a conferma della fede. Egli accenna all’apparizione fatta
a Maria Maddalena, a quella che ebbero i discepoli di Emmaus, e a
quella che ebbero gli apostoli, e conclude ricordando la missione che
Gesù diede loro e la sua Ascensione al cielo; ma in questi pochi
accenni quante mirabili scene sono sintetizzate, quante delicatezze
del Cuore adorabile di Gesù e – bisogna pur dirlo –, quante
ingratitudini da parte dei suoi discepoli! La morte dolorosa di Gesù
li aveva disorientati, ed essi avevano perso talmente la fede nel suo
trionfo, da credere impossibile la risurrezione. Credettero
visionarie le pie donne tornate dal sepolcro, e stentarono a credere
persino quando Gesù medesimo apparve ad essi. Anzi, le stesse
testimonianze della risurrezione disorientarono talmente due di loro
che pensarono di ritornarsene al loro villaggio di Emmaus, non avendo
più speranza alcuna nelle promesse del Maestro divino.
È
doloroso pensare tutto questo, ed è più doloroso constatare che il
cuore umano è sempre duro di fronte alle amorose espansioni del
Signore.
Si crede
facilmente ai disseminatori di errori e di stoltezze, e si è sempre
titubanti innanzi allo splendore dell’eterna Verità.
Eppure la
fede è confermata da tali innumerevoli argomenti di luce che bisogna
essere ciechi per non vederne l’importanza e la realtà. Non
crediamo a favole più o meno dotte: crediamo alla verità, e
camminiamo nella nostra povera valle, alla luce degli eterni
splendori. La nostra fede ci fa cacciare veramente i demoni che
infestano la vita presente, ci fa parlare il linguaggio del Cielo, ci
fa vincere i vizi che come serpenti ci insidiano, ci libera dal
veleno del male e ci rende forti e sani nelle vie del nostro
pellegrinaggio. Credendo, noi abbiamo come meta gloriosa il Cielo,
dove Gesù Cristo è asceso per prepararci la dimora della felicità
eterna. Non siamo dunque duri di cuore, e ripetiamo spesso il nostro
atto di fede al Signore, per essergli fedeli e vincere il mondo.
La
fede vera
L’evangelizzazione
delle nazioni non è terminata: continua e continuerà fino al
termine dei secoli; abbiamo tutti il dovere di cooperarvi con la
preghiera e con l’azione, affinché il regno di Gesù Cristo si
dilati, e si formi di tutte le genti un solo ovile sotto un solo
Pastore. Ogni anima cristiana deve preoccuparsi della salvezza delle
altre, perché è inconcepibile un cristiano ristretto nel suo
egoismo. Il mondo è duro di cuore e non presta fede a quelli che
attestano la verità; ma noi dobbiamo vincere la sua durezza con la
nostra fede e la nostra carità. Non basta per noi una fede
superficiale, fatta più di una certa condiscendenza ad una
tradizione nazionale o familiare, anziché di profonda convinzione e
adesione a Dio che rivela e alla Chiesa che ci illumina e ci guida:
occorre una fede piena, capace di manifestazioni grandi e potenti e
di frutti miracolosi di grazia.
Gesù
Cristo enumerò alcuni miracoli esterni che sarebbero stati segni
della fede viva: cacciare i demoni, parlare nuove lingue, prendere
in mano i serpenti, e
in generale trattare anche con gli animali nocivi senza averne danno,
essere immuni dai veleni e guarire gl’infermi.
Questi
miracoli avvennero veramente nei primi tempi della Chiesa, e
avvengono nelle missioni, a conferma della verità, anche oggi; ma
quando non c’è bisogno di questi segni impressionanti, la nostra
fede dev’essere così grande, da produrli spiritualmente in noi e
negli altri; la nostra fede dev’essere piena, e tale da ripudiare
ogni suggestione diabolica.
Demoni
sono gl’insidiatori della fede; demoni i falsi profeti, i falsi
filosofi e i creatori di ideologie anticristiane; ora, questi demoni
dobbiamo avere la forza di cacciarli, e se non lo facciamo è segno
che crediamo poco.
Il mondo
ha un linguaggio ignobile e, nella migliore ipotesi, tutto naturale e
ristretto nella materia; noi dobbiamo parlare la lingua del Cielo, e
mostrare, nelle parole più comuni della vita, la nostra
spiritualità.
Non
possiamo appartarci dal mondo nel quale viviamo, ma dobbiamo passarvi
senza riceverne nocumento, come chi maneggia i serpenti e non ne è
morso, beve il veleno e non ne riceve danno.
Il mondo
è pieno d’infermità corporali e spirituali, e noi dobbiamo
curarle con la nostra fede che sboccia nella carità. Una fede senza
carità è una fede paralitica o morta; i miracoli non sono solo
quelli che fanno i santi per dono gratuito di Dio, ma sono anche
quelli della carità. Un cuore che si espande per amore di Dio che
consola che soccorre che muta un’anima abbrutita in un fiore del
campo di Dio e un corpo dolorante in un’oasi di pace e di conforto
mostra in sé una grande fecondità di fede, e glorifica la verità
anche innanzi ai miscredenti.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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