Commento
al Vangelo della XXVI Domenica del TO 2015 B
(Mc
9,38-43.45.47-48) San Girolamo
Lo
spirito che si scaccia
nell’orazione
e nel digiuno
Sceso
dal monte insieme ai suoi tre altri apostoli, Gesù vide gli altri
apostoli circondati da gran folla, in disputa animata con gli scribi.
L’oggetto
della disputa non era propriamente il lunatico che essi non avevano
potuto guarire e liberare da satana, ma era evidentemente il
Redentore. Gli scribi volevano dimostrare, dall’insuccesso degli
apostoli, che tutto era inganno quello che avveniva in Gesù, e che
essi seguivano una via pericolosamente fantastica. Forse insinuavano
che Egli si era dileguato perché non si sentiva la potenza di
liberare uno che essi stimavano veramente infermo e ossesso. Questo
può supporsi dallo stupore e dal timore che ebbe il popolo nel veder
venire Gesù, e dal modo stesso come lo salutarono.
Quando,
infatti, si mormora a torto ed esageratamente di uno che è assente,
si rimane sconcertati nel vederlo venire improvvisamente e, per la
stessa coscienza lesa che si ha, si cerca in certo modo, con qualche
cortesia, di non mostrare il proprio malanimo. Questo è psicologico.
Gesù, poi, scendeva dal monte dopo la trasfigurazione, e aveva tale
maestà nel volto e tale misteriosa regalità nel suo stesso incedere
che suscitò un senso di stupore e di timore in tutti.
Avvicinatosi,
Gesù domandò di che cosa discutessero, ma essi dovettero tacere,
come appare dal contesto; parlò solo uno che era interessato a
parlare, il povero padre dell’epilettico indemoniato che gli
apostoli non avevano potuto guarire e liberare, sperando che il
Signore avrebbe potuto consolarlo con un prodigio. Alle parole del
padre desolato che manifestava l’impotenza degli apostoli riguardo
al figlio suo, Gesù esclamò, pieno di dolore: O
generazione
incredula, fino a quando starò con voi? Fino a quando vi sopporterò?
Era
la mancanza di fede che aveva posto ostacolo al miracolo, tanto negli
apostoli quanto nel popolo. Gli apostoli, in assenza di Gesù, non
erano stati raccolti nella preghiera e si erano dissipati; forse può
supporsi che avessero anche accettato qualche invito a pranzo, perché
il Redentore disse loro intenzionalmente che quel genere di demoni si
cacciava solo nell’orazione e
nel digiuno.
Avevano
ricevuto l’infermo in uno stato di dissipazione interiore, e
avevano comandato invano allo spirito perverso di lasciarlo in pace.
Il
popolo, poi, si era affollato per curiosità, e il padre del povero
infelice aveva fatto appello agli apostoli non per la fede che aveva
in Gesù Cristo, ma solo nella speranza che essi avessero avuto un
potere arcano per liberargli il figlio.
Da
tutte le parti c’era una grave mancanza di fede e, in quelle
condizioni, se Dio avesse operato il miracolo, questo sarebbe stato
svalutato o come un fatto comune, o come l’effetto di forze
misteriose che possedevano gli apostoli.
Gesù
ordinò che gli conducessero il lunatico, e questi, appena condotto
alla sua presenza, cominciò ad essere turbato da satana. Gettato per
terra dalla furia diabolica, si ravvoltolava ed emetteva schiuma
dalla bocca. Gesù domandò al padre di lui da quanto tempo gli
accadesse ciò e quegli rispose che dall’infanzia era stato
tormentato in quel modo, e lo supplicò di averne pietà se aveva il
potere di sanarlo. Gesù rivolse quella domanda al padre del giovane,
perché avesse riflettuto sulla gravità del caso, e avesse eccitato
la sua fede, sperando di vederlo liberato; lo domandò anche per far
ponderare agli astanti il miracolo che stava per operare, perché non
si trattava di un’ossessione passeggera ma di una possessione
tenace.
Come
si rileva dal contesto e dal pensiero comune dei Padri, quello
spirito era impuro, e può credersi che avesse preso possesso del
giovane quand’egli, nell’infanzia, aveva commesso qualche azione
indegna. Lo spirito impuro l’aveva reso sordo e muto e l’aveva
straziato con varie pene, senza che alcuno avesse potuto scacciarlo.
È
proprio quello che avviene alla gioventù quando, presa dalle prime
passioni, si lascia ingannare da satana e cade in abissi d’impurità.
Satana la strazia con i rimorsi più terribili e con le pene che
porta con sé l’impurità, e poi la rende sorda ai richiami del
bene e muta nella preghiera e nella penitenza. Il giovane non si
confessa più: è muto; rifugge dalla pietà, corre all’impazzata
da un abisso in un altro, e si contorce per
terra,
nelle
sue passioni disperatamente disordinate. Invano ci si sforza di poter
dare la pace a questo cuore, esso è come invasato da satana, si
contorce e non ascolta né rimproveri né consigli.
Non
basta una grazia comune per vincere un’anima traviata
dall’infanzia, non basta una fede qualunque, ci vuole una grande
fede e una grande misericordia, e bisogna impetrarla col pregare e
col fare penitenza. Bisogna ripetere, col povero padre desolato: Io
credo, o Signore, aiuta tu la mia incredulità,
e
domandare con la preghiera che si accresca quella fede che il peccato
impuro annebbia e spesso fa perdere addirittura.
Quando
Gesù vide che il popolo accorreva intorno a Lui per movimento di
curiosità, non volendo suscitare inutili entusiasmi, si affrettò a
liberare quell’ossesso. Egli dovette anche aver pietà del povero
padre, il quale soffriva a vedere che il figlio era divenuto
spettacolo innanzi agli altri. Con grande potenza e maestà comandò
allo spirito sordo e muto di uscire dal giovane, ed esso, nel
lasciarlo, lo straziò talmente da ridurlo come morto. Molti,
infatti, crederono che fosse veramente morto. Ma Gesù, presolo per
mano, lo sollevò e quegli si alzò!
Non
è possibile che sia cacciato da un giovane lo spirito impuro senza
che Gesù Cristo, con una misericordia speciale, lo aiuti. Il
sacerdote, in suo nome, quando un impuro va a confessarsi, lo aiuta a
parlare, interrogandolo, e gli fa sentire la Parola di Dio,
esortandolo; le interrogazioni sono tormentose, senza dubbio, e
l’anima può anche contorcersi
nella
pena di dover dire certe cose vergognose; ma dopo che ha parlato e
che l’assoluzione l’ha rialzata dalla sua morte, allora si sente
risorta, e gode una pace mai più provata, sentendosi in grazia di
Dio.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo