Commento
al Vangelo della XXIV Domenica del TO 2015 B (Mc
8,27-35)
Gesù
parla della sua Passione
Il
cieco di Betsaida era un’immagine dei ciechi spirituali che
circondavano Gesù; di essi alcuni, gli scribi e farisei, non
vedevano addirittura, e altri, gli apostoli e i discepoli, vedevano
confusamente.
Era necessario uscire da
quell’incertezza, e perciò Gesù, camminando, domandò ai suoi
apostoli che cosa dicessero di Lui gli uomini. Essi risposero che
alcuni lo credevano Giovanni Battista risuscitato, altri Elia
ricomparso sulla terra, e altri un profeta. Erano i ciechi che
vedevano gli uomini come alberi,
che confondevano il
Verbo Incarnato con le creature. Subito dopo Gesù li interrogò,
dicendo: e
voi chi credete che io sia? Era
necessaria una dichiarazione esplicita di fede che li distinguesse
dai ciechi, poiché essi dovevano illuminare gli altri, e san Pietro,
illuminato particolarmente da Dio, rispose a nome di tutti: Tu
sei il Cristo.
San Marco non ci parla
dell’elogio che Gesù fece all’apostolo; forse questi glielo
proibì per umiltà, e volle piuttosto che avesse accennato alla
necessità della Passione, contro la quale egli aveva inconsciamente
alzato la voce.
La confessione aperta di san
Pietro avrebbe dovuto essere promulgata dovunque; eppure Gesù proibì
a tutti gli apostoli di parlarne, dicendo loro che era necessario che
Egli soffrisse, morisse e risuscitasse dopo tre giorni. Si può
domandare a questo proposito: perché il Redentore proibì che si
annunciasse quello che Egli era?
Lo proibì per non suscitare
prima del tempo da Lui voluto la persecuzione che doveva condurlo
alla morte. Fu proprio la solenne confessione della sua divinità
innanzi al sommo sacerdote che lo fece dichiarare colpevole di morte,
ed Egli, che conosceva tutto, non voleva anticipare i tempi della
divina volontà. Inoltre non voleva che un annuncio prematuro, fatto
ad anime maldisposte, avesse provocato anche contro gli apostoli una
persecuzione che li avrebbe trovati impreparati, tanto impreparati
che san Pietro, alla sola idea della Passione, si fece ardito di
trarre in disparte Gesù e di rimproverarlo, distogliendolo dal
patire.
Fu un momento impressionante: san
Pietro, per l’amore che portava al Maestro, non voleva neppure
pensare che Egli dovesse patire; avrebbe voluto, anzi, che avesse
trionfato clamorosamente, a confusione dei suoi nemici; Gesù,
invece, come dice il Sacro Testo, voltatosi e visti
i suoi discepoli
– visti
cioè con infinito amore quelli per i quali voleva morire, quelli
che, senza la sua morte, sarebbero tutti periti –, rimproverò
Pietro, chiamandolo satana, tentatore, poiché, in quel momento, non
aveva più la sapienza di Dio ma quella degli uomini. Fu incerto tra
l’amore umano e quello divino, fra la natura che rifuggiva dal
dolore, e l’Uomo-Dio che voleva abbracciarlo per redimere; san
Pietro che aveva parlato soprannaturalmente nel confessare la
divinità, parla ora naturalmente nel ripudiare il dolore come mezzo
di redenzione, ed è ripreso severamente perché il dolore è via
della gloria eterna. Perciò Gesù, chiamati a sé tutti quelli che
lo circondavano, la folla e i discepoli, promulgò quella legge di
ammirabile economia di grazia che è il fondamento della vita
cristiana: Se
qualcuno vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi
segua.
Pretendere di sfuggire al dolore
salutare che ci fa veramente calcare le orme del Maestro divino, non
significa salvare la vita ma perderla, non significa provvedere
all’anima ma comprometterne la felicità eterna.
E che cosa gioverebbe guadagnare
anche tutto il mondo se dovesse perdersi l’anima? Che cosa potrebbe
dare l’uomo in cambio dell’anima, una volta che l’avesse
perduta?
Don Dolindo Ruotolo
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