Commento
al Vangelo della XV Domenica TO 2016 C (Lc 10,25-37)
Amare
Dio e il prossimo
Un
dottore della Legge che seguiva Gesù per scrutarlo, e forse per
vigilarlo, ascoltando le sue allusioni al compimento della speranza
dei re e dei profeti e alla beatitudine di quelli che vi prendevano
parte, volle
metterlo alla prova,
cioè
con una domanda schiettamente spirituale. Egli volle vedere quali
nuove teorie avesse insegnato in contrasto con le antiche. Il momento
psicologico, diciamo così, del dottore fu questo: Gesù parlava del
compimento del regno messianico, ma non diceva esplicitamente in quel
momento che il Messia era Lui; il dottore volle scrutare quale fosse
il suo preciso pensiero e domandò che
cosa dovesse fare per possedere la vita eterna,
per
dissimulare la sua intenzione di scrutarlo e per vedere, dopo questa
prima domanda, quale nuova concezione Egli avesse del regno
trionfante d’Israele e in qual modo se ne dichiarasse propagatore.
Il
dottore domandò: Maestro
che devo fare per possedere la vita eterna? Si
aspettava da Gesù una nuova esposizione di vie peregrine di salvezza
e si aspettava che gli dicesse: «Devi credere in me, devi seguirmi,
devi servirmi». Le parole di Gesù – ripetiamolo per maggior
chiarezza –, che alludevano a nuove rivelazioni fatte ai piccoli,
alla conoscenza del Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre e
alla beatitudine di chi assisteva al compimento delle antiche
promesse, figure e profezie, gli erano sembrate estremamente
presuntuose, e sperò, con questa domanda sulla vita eterna, di
metterlo alla
prova,
cioè
alle strette, fargli confessare il suo pensiero, e poi costringerlo a
riconoscerne la falsità, secondo lui.
Gesù,
però, non era venuto per distruggere la Legge ma per compierla e,
invece di annunciare cose nuove, domandò Egli stesso al dottore che
cosa stesse scritto nella Legge, rimandandolo così, per la risposta,
a quello che Dio aveva già detto, e soggiunse: Come
vi leggi tu? Che
cosa cioè vi sta scritto su questa questione fondamentale, e come
intendi ed interpreti la Parola
di Dio?
Il
dottore rispose, citando quel precetto della Legge che gli Ebrei
solevano recitare mattina e sera e che conoscevano benissimo: Ama
il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore con tutta la tua anima, con
tutte le tue forze, e con tutta la tua mente e il tuo prossimo come
te stesso (Lv
19,18). Gesù gli soggiunse: Hai
risposto bene; fa’ questo e vivrai.
La
parabola del Samaritano
Il
dottore si sentì umiliato d’avergli domandato una cosa di così
facile soluzione e se ne sentì umiliato soprattutto innanzi al
popolo che in quel momento avrebbe potuto tacciarlo d’ignoranza;
perciò volle giustificare la sua domanda, dando ad intendere che
aveva fatto quell’inter-rogazione per sapere chi
era il suo prossimo,
cioè
verso chi avrebbe dovuto esercitare la carità. È evidente dal
contesto che egli, rimasto confuso nel dover rispondere una cosa
elementare, cambiò discorso con una nuova domanda che, in realtà,
non aveva inteso fare nella sua prima interrogazione.
Gesù
Cristo gli rispose con una parabola che probabilmente era un fatto
realmente avvenuto in quei giorni: un uomo israelita, recandosi da
Gerusalemme a Gerico, s’imbatté nei ladri. La strada che doveva
fare era di circa 28 chilometri, e attraversava un deserto che anche
oggi è infestato dai ladri; quindi non fu un caso straordinario per
lui quella triste avventura. I ladri non solo lo spogliarono di
tutto, ma lo percossero e lo ferirono, lasciandolo mezzo morto per
terra.
Un
sacerdote che veniva anch’egli da Gerusalemme dopo aver prestato
servizio al tempio, vide quell’infelice così malconcio, e passò
oltre, senza averne pietà. Non volle assumersi una responsabilità
né prendersi fastidi per uno a lui sconosciuto, dimenticando che,
come ministro di Dio, avrebbe dovuto usargli carità. Lo stesso fece
anche un levita: si fermò un po’ per curiosità, forse poté avere
anche qualche parola di commiserazione, ma poi andò oltre.
Passò,
poi, un Samaritano che
viaggiava
–
dice
il Testo –; quindi può supporsi che andava per affari e,
ciononostante, sostò vicino al ferito, ne fasciò le piaghe,
versandogli sopra, per lenirne il bruciore, vino ed olio, come
solevano fare gli antichi; lo adagiò sul suo giumento e lo condusse
all’albergo pubblico che doveva trovarsi ai confini di Gerico per
comodo dei pellegrini.
In quel
ricovero stette anch’egli durante la notte e prese personalmente
cura del ferito; poi, dovendo partire il giorno seguente, lo lasciò
affidato alle cure dell’oste, pagandogli due denari, e
promettendogli di dargli, al ritorno, tutto quello che avrebbe potuto
spendere in più. Gesù soggiunse, rivolto al dottore della Legge:
Chi
di questi tre ti sembra essere stato prossimo per colui che s’imbatté
nei ladroni? E
quegli rispose: Colui
che gli usò misericordia. Replicò
Gesù: Va’
e fa’ anche tu lo stesso.
Il
Redentore volle dare una lezione delicata al dottore della legge.
I
Samaritani erano odiati dagli Ebrei, e li ripagavano di pari
avversione; eppure un Samaritano curò un ebreo; avrebbe fatto lo
stesso un ebreo per un Samaritano?
Certamente
no, perché né un sacerdote né un levita sentirono pietà di un
loro connazionale, pur avendo cura delle anime per il loro sacro
ministero.
È
prossimo dunque a chi soffre chi gli usa pietà e lo aiuta, ed è, di
conseguenza, prossimo a chi sta bene qualunque uomo che soffra, senza
distinzione di nazionalità, di razze o di religione. Il dolore
stabilisce una santa fratellanza tra gli uomini: quella della
scambievole carità, e poiché il dolore regna sovrano nell’esilio,
è necessario abbattere le barriere delle divisioni sociali e darci
tutti l’abbraccio della carità che è il più saldo legame di pace
tra le nazioni.
Noi
viviamo in tempi ipocriti e crudeli, nei quali si abbonda di parole,
di assistenza sociale e di iniziative per praticarla, ma si manca di
carità perché l’assistenza diventa burocrazia, e si limita a
pochi privilegiati dagli intrighi e dalle influenze, lasciando nello
squallore quelli che veramente soffrono, e disprezzando quelli che si
considerano estranei.
L’assistenza
praticamente è una burla, sia pure involontaria, perché manca della
base vera della carità, ispirata dall’amore di Dio. Se non si ama
il Signore, non si fa la carità per Lui e sotto l’impulso della
sua grazia; non si vede la ragione per la quale si deve beneficare il
prossimo, perché, non guardandolo in Dio, il prossimo, in realtà,
ci è estraneo, e può esserci anche avversario.
Oh, se il
mondo, invece di perdere tempo in vane iniziative naturali per
diminuire i dolori umani, amasse Dio e facesse venire dall’alto la
vivificante rugiada della carità! Oh, se gli uomini si persuadessero
che ogni iniziativa ispirata a vedute di civiltà e non a Dio è
inesorabilmente destinata ad essere divorata dalla frode e
dall’egoismo!
Le opere
di assistenza si moltiplicano a basi fiscali e non a base di amorosa
carità, e praticamente danno un frutto estremamente meschino, e a
volte anche opposto alle loro finalità, perché divorate dai
succhioni e dai malversatori.
La terra
ha il sole come luce dei suoi giorni, e la luna come splendore delle
sue notti; la nostra vita ha come sole l’amore a Dio, e come luna
nella notte delle sventure l’amore al prossimo, riflesso dell’amore
a Dio. Non si può concepire una vita diversa né si può pretendere
che la pace e il benessere spirituale, corporale ed eterno possa
venire da altre fonti. Non c’è alcun surrogato dell’amore di
Dio, e dov’esso manca c’è la desolazione e la notte di una morte
perenne.
L’umanità
e le nazioni hanno fatto mille esperimenti più o meno cervellotici
per raggiungere un grado soddisfacente di benessere nella vita, ma
non hanno fatto ancora il pieno esperimento di convertirsi veramente
a Dio, amandolo con tutto il cuore e glorificandolo con tutte le
attività della propria vita.
Sorga, o
Signore, sulla nostra valle desolata questo sole fulgente, si accenda
nei cuori un amore vero e profondo a te, e fiorirà tra gli uomini la
carità e la pace, il benessere temporale ed eterno.
Devi
venire Tu, o Gesù a sanarci, e Tu non puoi venire se l’amor nostro
non ti chiama.
Tu sei il
pietoso Samaritano che sei venuto a sanarci, redimendoci, e ci hai
condotti nella tua Chiesa per farci trovare la salvezza, e Tu puoi
oggi venire sul nostro cammino, risanare le nostre piaghe e ridonarci
la vita nella tua Chiesa.
Tu hai
pagato una volta il prezzo del nostro riscatto, e Tu ce lo applichi
continuamente per sottrarci alle ferite della nostra corrotta natura,
Tu, dunque, puoi ancora salvarci, solo che noi ti amiamo veramente e
ti attestiamo l’amore con una vita santa, perfettamente cristiana e
pienamente conforme alle disposizioni della tua adorabile volontà.
servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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