Commento
al Vangelo della XVI Domenica TO 2016 C (Lc
10,38-42)
Santa
Marcellina
Marta
e Maria
Mentre
Gesù andava verso Gerusalemme, sostò in un villaggio chiamato
Betania, e si trattenne in casa di una famiglia a Lui devota, la
famiglia di Lazzaro. Questi aveva due sorelle: Marta, forse la
maggiore che si occupava principalmente delle faccende di casa, e
Maria che comunemente s’identifica con la Maddalena, convertita già
da Gesù. Marta, volendo fare gli onori di casa a Gesù, era tutta in
faccende per preparare il desinare e, vedendo che la sorella stava ai
piedi di Gesù, estasiata nell’ascoltarlo, ne fu contrariata e se
ne lamentò col Signore.
Le sembrò
un egoismo quello di Maria e anche un’oziosità, quando c’erano
tante cose da fare. In quel momento, per lei le cose spirituali non
avevano alcun valore. Ma Gesù dolcemente la rimproverò, dicendole:
Marta,
Marta, tu ti affanni e ti turbi per molte cose. Eppure una sola cosa
è necessaria. Maria ha eletto la parte migliore che non le sarà
tolta.
In
queste parole, in apparenza così semplici, c’è tutta la
valutazione della vita umana sulla terra, e un ammonimento agli
uomini per il vano affannarsi intorno a ciò che passa. Quelle
parole: Porro
unum est necessarium,
dovrebbero
esserci scolpite nel cuore e diventare la regola delle nostre
attività. I mondani, infatti, vivendo per questa terra soltanto,
senza pensiero della vita eterna, credono non solo della massima
importanza badare alle cose temporali, ma addirittura ozioso e vano
occuparsi delle cose spirituali. Anche quelli che credono di avere
una certa stima delle cose spirituali tengono in gran conto la vita
attiva, e l’occuparsi soprattutto di soccorrere gl’infelici
temporalmente, stimando inutile e vana la vita di preghiera e di
contemplazione.
Eppure è
perfettamente l’opposto.
La vita
naturale e ciò che ad essa si riferisce è solo un mezzo per quella
spirituale, e la vita spiritualmente attiva è un frutto di quella
contemplativa ed interiore; è stoltezza dimenticare l’anima e
badare solo al corpo, ed è ugualmente sciocco darsi alle opere
esterne di bene senza alimentarle con la vita interiore e con la
preghiera.
Se si
pensa che tutto passa nella vita, chi può pensare o supporre che
possa avere importanza ciò che finisce e possa valere nulla ciò che
dura eternamente? Si può dire che tutto lo sconcerto della vita
nostra è fondato proprio sulla poca o nessuna valutazione dei beni
eterni e di ciò che ad essi ci conduce. La preghiera, la Messa, i
Sacramenti, la Parola di Dio sono sempre l’ultima cosa per
moltissimi uomini.
Per i
genitori, per esempio, la scuola ha un’importanza capitale per i
figli, dovendoli avviare verso una qualunque professione, ma tante
volte per essi non ha alcun peso la vita spirituale che deve avviarli
alla vita eterna.
Se una
figlia deve sposarsi, tutto è poco: dote, corredo, spese di lusso,
ma se deve farsi monaca tutto è esagerato. Non importa nulla che la
figlia, sposandosi, se ne vada lontano; anzi si giudicano poco meno
che isteriche le sue lacrime nel distacco; ma se, dandosi a Dio, deve
per poco allontanarsi, quel dolore appare insopportabile e si cercano
tutti i mezzi per impedirlo.
Se un
figlio deve affrontare i pericoli più gravi per una professione, non
fa niente, ma se deve fare una piccola rinuncia per farsi sacerdote,
sembra una pazzia.
È una
pena grande constatare questa incoscienza per ciò che è eterno,
quasi che fossimo solo per questa vita e per questa terra. Gridiamolo
al mondo che vorrebbe allettarci con le sue fantasmagorie: Porro
unum,
solo
una cosa è necessaria; quello che è temporale ci viene tolto e
quello che è eterno non ci viene mai sottratto. Chi si dà a Dio
sceglie la parte migliore anche in riguardo alla vita presente, e
questa non offre mai disinganni, ma è ricca di pace e di
soddisfazioni incomparabili.
I valori veri della vita
Si
potrebbe obiettare: con questo criterio e con questa valutazione,
finirebbe tutta la vita presente, e la civiltà con le sue opere non
avrebbe ragion d’essere. Rispondiamo, ritorcendo l’argomento che
col criterio del mondo praticamente finisce ogni vita spirituale, ciò
che è accidentale, diventa sostanziale e la famosissima civiltà
sbocca inesorabilmente nelle barbarie. Se non ci fosse tutta, diciamo
tutta, la storia umana a dimostrarlo, e se ci fosse in questo una
sola eccezione, diciamo una
sola,
si
potrebbe anche tollerare l’illusione della civiltà senza
spiritualità; ma, dolorosamente, si sa dove sono andati a finire e
dove finiscono i grandi imperi. È conosciuta la barbarie spaventosa
degli Egiziani, degli Assiri, dei Babilonesi, dei Romani, ed è
contemporanea quella degli imperi moderni.
Chi
dissente da questo, nega l’evidenza, o crede civiltà l’assassinio,
la sopraffazione, la corruzione dei costumi, il furto legalizzato,
l’aborto, il divorzio, il meretricio, l’infanticidio, ecc.
Come la
corruzione dell’organismo si manifesta nei gonfiori, nelle posteme,
nei tumori e, nella migliore ipotesi, nell’obesità, così la
corruzione delle nazioni si manifesta nell’imperialismo che culmina
nella morte.
Oggi si
gloriano dovunque dell’imperialismo ognuno per conto proprio, e non
si pensa che questa elefantiasi dell’orgoglio è un prodromo della
morte delle nazioni.
Porro
unum,
una
sola cosa è necessaria: vivere onestamente, cristianamente,
santamente.
Che ci
sia o non ci sia il monumento grandioso è perfettamente accidentale;
tanti paesi non li hanno e vivono meglio.
Che ci
siano o non ci siano letterati eminenti, è completamente accessorio,
poiché garantiamo che, anche senza i poeti o i romanzieri, il mondo
va per la sua via.
Che in
una città si possano sciorinare con più libertà i panni al sole e
in un’altra no è più o meno accidentale all’ordine civico, ma è
assurdo che non si possano spandere i panni e si possano mostrare
spettacoli di degradazione morale che si tolga la spazzatura e si
lasci il marciume impuro nelle vetrine che s’impedisca ad
un’innocente capra di camminare per la strada supercivile, e vi si
lasci camminare liberamente la donna corrotta e corruttrice.
Non
diciamo di ritornare a forme primitive di vita – il che peraltro
sotto molti aspetti sarebbe anche desiderabile –, ma diciamo di
ricordare che porro
unum est necessarium,
e
che cercare le alte mete dello spirito è il sommo della vera
civiltà, e la civiltà è vero progresso solo quando favorisce e
aiuta l’indipendenza dello spirito dalla materia.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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