Commento al
Vangelo della XXI Domenica TO 2016 C (Lc
13,22-30)
Don
Dolindo Ruotolo
Sforzarsi
di giungere al Cielo
Mentre Gesù s’incamminava verso Gerusalemme, un uomo
gli domandò se erano pochi quelli che si salvavano. Perché gli fece
questa domanda? Forse perché, avvicinandosi a Gerusalemme, considerò
i peccati dell’ingrata città, o considerò i ruderi delle rovine
causate dalle antiche guerre; forse anche perché avvicinandosi al
centro, si constatava di più nel popolo il rilassamento e la
corruzione.
Gesù Cristo non rispose direttamente alla questione
proposta, perché essa non interessava gli uomini ma Dio. Che
importa, infatti, a noi, sapere se sono pochi o molti quelli che si
salvano? Ciò che è necessario, per noi, è salvarci e, poiché non
c’è un destino di perdizione per alcuni o di salvezza per altri,
salvarci dipende dal nostro sforzo nel fare il bene e dal nostro
filiale appello alla divina misericordia.
Più che sapere il numero degli eletti, bisogna
sforzarsi di appartenervi, senza presumere di poter avere una
posizione di privilegio nel Paradiso solo perché la si è avuta
sulla terra, facendo parte del popolo eletto. È questo il senso
fondamentale della risposta di Gesù. Egli esortò ad entrare in
Cielo per la porta stretta,
cioè per la via delle rinunce alle passioni
disordinate e della fedeltà alla divina Legge.
Il mondo crede stretta e opprimente questa via, e Gesù
la chiama stretta in
questo senso, ma, in realtà, la vera porta stretta e opprimente è
quella del male, perché stringe l’anima nei lacci della più
terribile schiavitù. La porta del Cielo appare stretta, ma in realtà
è immensamente larga e bella; basta introdurvisi per intenderlo.
Porta stretta può chiamarsi
anche l’ultimo epilogo della vita, quando si va a Dio con quello
che si è operato, ed essendo finito il tempo della prova, non si può
mutare più la propria condizione.
La giustizia divina allora è come una
stretta, una
valutazione precisa, evidente e perciò inappellabile della vita.
Molti, in quel momento, vorrebbero entrare,
cioè vorrebbero mutare la loro condizione,
ma non lo potranno perché sarà chiusa la
porta, sarà
finita la vita del tempo, e non si potrà presumere di ricominciarla.
Il pensare, come fanno tanti stolti, che dopo la morte si possa
riprendere, in altro modo e in una nuova esistenza terrena, il
cammino sulla vita, è una fantasia pericolosa; quando si è giunti
si è giunti, e quando si è chiusa la porta della vita non c’è
altra alternativa: o si rimane dentro col Padre di famiglia a godere,
o si rimane fuori, nell’eterna perdizione, a soffrire.
Rivolgendosi direttamente al popolo ebreo, Gesù fa
notare che la sua posizione di privilegio tra i popoli della terra
non costituiva un titolo per il conseguimento dell’eterna gloria.
Se non avranno operato il bene, si troveranno così lontani da Dio
nell’eternità, com’è lontano dal padrone di casa uno che gli è
completamente sconosciuto; saranno riguardati puramente e
semplicemente come operatori d’iniquità, e saranno condannati alla
perdizione eterna, lontani dai loro santi, e lontani anche da tutte
le creature salve che verranno da ogni parte del mondo.
Avverrà allora che gli ultimi
chiamati da Dio nel suo regno saranno i
primi, e che i primi, cioè tanti che fanno parte del popolo eletto,
chiamato per primo da Dio, saranno gli ultimi.
La via della salvezza è stretta, perché molti la
insidiano e cercano di porvi ostacoli. C’è nel mondo una strana
inimicizia contro tutto quello che è bene, un’inimicizia che viene
da suggestioni diaboliche, e che a volte abbindola anche i buoni,
rendendoli strumento di male involontariamente.
È necessario tirare dritto e guardare l’ultima Meta
che dobbiamo raggiungere.
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