Commento
al Vangelo della XX Domenica TO 2016 C (Lc
12,49-53)
Amore
vero e sacrificio eroico
Molti hanno poetato sul nome di
Roma, dicendo che è un nome d’amore: Roma
=
Amor. Essi
non pensano però che, considerata, nella sua vita pagana, Roma è un
amore rovesciato che equivale all’odio implacabile. Roma imperiale
specialmente, ha disseminato il mondo di rovine e di stragi,
asservendo tutto al suo imperialismo tiranno e alla fatua gloria di
pochi capi. Tutte le storie, del resto, delle conquiste umane hanno
questa triste eredità di odio e di sangue.
Gesù Cristo si proclama, invece,
Conquistatore d’amore per il suo sacrificio cruento e pone come
base del carattere cristiano l’amore, il sacrificio eroico e la
carità. Egli è venuto a portare sulla terra il
fuoco,
non quello della
distruzione ma quello della carità e desidera solo che esso si
accenda; è venuto a portarlo, sottomettendosi Egli al completo
sacrificio e ai dolori che dovevano inondarlo come un battesimo, e
l’amor suo glieli fa desiderare con ansia vivissima che lo tiene in
angustia finché non li abbia subìti tutti. Questo amore e questo
sacrificio Egli li lascia come bella eredità anche ai suoi seguaci,
poiché la conversione del mondo comporterà, per essi, il subire
persecuzioni e dolori persino dalle persone più care di famiglia.
Non c’è dunque da illudersi: la predicazione del Vangelo,
contrastando le passioni umane, produrrà reazioni violente che
saranno causa di gravi dolori agli apostoli della divina Parola e a
quelli che li seguiranno.
Questo
fu già annunciato dai profeti, ed il vederne il compimento
dev’essere per tutti un argomento di verità. Gli scribi e farisei
si condannavano da se stessi, rifiutando la verità, poiché sapevano
distinguere gli aspetti del cielo dalle nubi o dal soffiare dei venti
e non volevano distinguere i segni inconfondibili della venuta del
Messia, nelle stesse persecuzioni che muovevano a Lui e ai suoi
discepoli. Compivano essi stessi i vaticini dei profeti, e non si
accorgevano che il loro
compimento era il segno della maturità delle divine promesse.
L’allusione all’ostinazione
degli scribi e farisei nel rinnegare la verità è come un inciso al
discorso di Gesù, ed Egli, subito dopo, continua il suo annuncio
profetico delle grandi persecuzioni che avrebbero sofferte i suoi
seguaci, esortandoli alla mansuetudine, alla prudenza e alla carità.
Era questa l’unica e grande forza alla quale dovevano far appello
per difendersi, perché il cristiano è figlio di pace e messaggero
di carità; deve cercare in tutto l’accordo, la tranquillità e la
carità, evitando, con la prudenza, quello che può inasprire gli
avversari e renderli più violenti.
È questo il programma della
Chiesa, al quale essa rimane fedele nei secoli: di fronte alla
brutalità dei suoi nemici che vorrebbero soffocarla cerca sempre
l’accordo e la pace, e la sua diplomazia è sempre ispirata
all’onore di Dio e al bene delle anime.
Dev’essere
questo lo spirito di ogni suo ministro e di ogni suo fedele, poiché
l’accordo con gli avversari, o almeno la prudenza nel trattarli,
quando si mostrano incapaci di un accordo, salva il bene dall’estrema
distruzione. Dalla parabola che Gesù dice è evidente che Egli non
vuole che i suoi seguaci siano amanti di liti, poiché nelle liti ci
sono le dissensioni, le avversioni, gli odi, e questo sta agli
antipodi del bene che bisogna fare alle anime. Anche quando si ha
ragione, in una lite che non compromette l’anima o la coscienza,
bisogna cedere, per non correre rischio d’incontrare impedimenti
nel fare il bene, e per evitare d’averne la peggio anche innanzi ai
giudici, come spesso avviene.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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