Commento
al Vangelo della XXXI Domenica TO 2016 C (Lc
19,1-10)
Zaccheo
Per
andare verso Gerusalemme, Gesù, continuando nel suo cammino,
attraversò Gerico. La fama dei miracoli da Lui operati, e
specialmente quella dei ciechi ai quali aveva ridonato la vista,
suscitò grande entusiasmo nella città, e il popolo gli si affollò
straordinariamente intorno. Ora, vi era in Gerico un capo dei
doganieri pubblici, il quale, sentendo che passava Gesù, corse e si
mescolò prima tra la folla nella speranza di vedere
chi fosse. Egli
era Ebreo, come si rileva dal suo stesso nome ebraico Zakkai
che
significa puro,
giusto,
e
come Ebreo aveva anch’egli la speranza del Redentore futuro; volle
vedere Gesù, dunque non per una semplice curiosità, ma per
osservare chi
fosse,
cioè
se avesse qualche cosa di straordinario che potesse farlo riconoscere
come il Messia promesso.
Zaccheo,
capo dei doganieri o pubblicano, esosi esattori delle gabelle romane
che facevano mille soprusi al popolo, era riguardato come un
peccatore più degli altri. Piccolo di statura, doveva essere molto
scaltro e intelligente per stare in un posto di responsabilità che
faceva correre anche rischi di aggressioni da parte degli angariati,
e richiedeva una mano ferma per tenere disciplinati i suoi
subalterni. Doveva avere, però, un buon fondo di rettitudine, come
appare dal modo col quale accolse la grazia di Dio, e un’anima
semplice, come può rilevarsi dal gesto che fece per vedere Gesù.
Piccolo
di statura ma svelto e nel pieno vigore delle forze, come si rileva
dal suo gesto, non potendo in nessun modo farsi largo tra la folla né
scorgere Gesù da lontano, da uomo pratico com’era, ebbe un’idea
geniale: corse avanti per dove doveva passare Gesù e, visto un
albero di sicomoro, vi si arrampicò e vi stette per osservare a suo
agio il Maestro divino.
Il
sicomoro si prestava a fargli da stazione di osservazione, perché ha
i rami quasi orizzontali e non è molto alto; egli, dunque, si
appoggiò comodamente ai rami e attese. Notò l’ondeggiare della
folla e dall’alto, forse, non gli sfuggì la miseria di quel popolo
angariato; ciò può supporsi dalla risoluzione che prese, sotto
l’influsso della grazia, di dare ai poveri metà dei suoi beni.
La
grazia non opera mai a salti nell’anima nostra e poté utilizzare
l’ispezione che Zaccheo fece del popolo dall’alto dell’albero.
Appena
Gesù passò per quel luogo, alzò gli occhi e, visto Zaccheo, si
fermò e lo invitò a scendere, dicendogli che gli occorreva fermarsi
nella sua casa. Zaccheo apprezzò l’onore altissimo che gli veniva
fatto e, scendendo in fretta, lo accolse con grande gioia. La sua
dimora non doveva essere molto lontana, e tutto il popolo, vedendo
che Gesù era andato da un uomo peccatore, cominciò a mormorare.
Eppure avrebbe dovuto esaltare Gesù e ringraziarlo, perché la
conversione di Zaccheo fu di immediato vantaggio per i poveri e per
tutti quelli che erano stati angariati da lui. È evidente che Gesù
andò da quel peccatore per convertirlo e disse che
gli occorreva fermarsi in casa sua,
perché
voleva spingerlo a regolare le ingiustizie che aveva commesse.
Non
ebbe bisogno di parlargli: gli bastò visitarlo e, poiché Zaccheo
aveva accolto il suo primo invito, accolse con prontezza anche quello
che gli faceva dell’anima, e disse: Ecco,
o Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato
qualcuno gli rendo il quadruplo. Al
contatto con Gesù sentì una grande carità per i poveri e, poiché
Gesù era andato da lui per perorare la causa dei diseredati e degli
angariati, egli sentì nel suo cuore il calore di quella fiamma di
bontà e si sentì tutto trasformato. Diventò prodigo nella carità
ed esuberante nella giustizia; diede metà di quello che gli
apparteneva e riparò al quadruplo quello che aveva frodato.
Con
questo, Zaccheo si mostrò pentito non solo dei peccati contro la
giustizia, ma di tutti quelli che aveva fatto; col suo esempio trasse
tutta la sua famiglia a seguire Gesù, riconoscendolo come Messia,
accettò la salvezza che veniva da Lui, e perciò Gesù disse, con
accento di grande soddisfazione, che
la salvezza era venuta per quella casa, formando del suo capo un vero
figlio di Abramo. Era venuto a cercare e salvare ciò che era
perduto, e il suo Cuore divino esultava, accogliendo un’intera
famiglia a salvezza.
Oppressi
dal mondo siamo impotenti a vedere le cose celesti
Gesù
attraversò Gerico, una città di commercio, e colui che
rappresentava in certo modo il movimento di quel traffico, come capo
dei doganieri, era piccolo di statura e non poteva vederlo, per la
folla. Si può dire che il concentrarci nei guadagni e negli affari
temporali senza occuparci del nostro ultimo fine ci renda piccoli di
statura spirituale, incapaci di elevarci alle cose celesti, e
oppressi dalla moltitudine degli affari come da folla tumultuante.
Non è possibile vedere Gesù in questa deprecabile piccolezza e
bisogna ascendere più in alto, facendo uno sforzo per staccarsi
dalle cose terrene. Un primo atto di virtù, una rinuncia, un
fioretto, anche minimo, offerto a Dio, può elevare d’un tratto la
nostra statura spirituale, farci vedere Gesù e metterci sotto il suo
sguardo per ottenere da Lui grazia e misericordia.
Gesù
c’invita a riceverlo nella nostra casa, comunicandoci di Lui
Sacramentato. È allora che Egli viene a noi per portarci la salvezza
e la santificazione. Con infinito amore, Egli c’invita dal santo
tabernacolo e, standovi come cibo e bevanda, ci dice veramente: Mi
occorre fermarmi nella tua casa. Scendiamo
presto dalle povere alture della vita terrena e andiamo a Gesù,
ricevendolo con
gioia,
come
nostro unico bene e unica vita. Dilatiamo il cuore nella carità,
affinché la bontà di Dio ci ricolmi di grazie, e ripariamo le colpe
commesse affinché ci usi misericordia.
Don dolindo Ruotolo
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