sabato 19 novembre 2016

L'agonia di Gesù

Vangelo della XXXIV Domenica TO 2016 C (Lc 23,35-43)
Don Dolindo Ruotolo

L’agonia di Gesù
I sacerdoti soprattutto e gli scribi ci tenevano a sfatarne il prestigio innanzi al popolo, e con i loro insulti volevano farne rimarcare l’impotenza: Ha salvato gli altri, salvi se stesso se Egli è il Cristo, l’eletto di Dio. Ad essi facevano eco i soldati, i quali, vedendo sulla croce la scritta postavi da Pilato, dicevano: Se Tu sei il re dei Giudei, salva te stesso. Lo dicevano per prendersi beffe non solo di Lui che si era dichiarato re innanzi a Pilato, ma anche per insultare il popolo ebreo in Lui.
Se Pilato aveva messo quella scritta, era per essi evidente che il Crocifisso era veramente il re spodestato; insultandolo e sfidandone la potenza, volevano far constatare lo stato di soggezione piena nel quale era ridotto il popolo che aveva il suo re in croce, senza dire neppure una parola di protesta, anzi approvandone la condanna e la morte.
I biechi sacerdoti del tempio non si erano accorti che, con quel delitto spaventoso, avevano stretto di più le catene della loro schiavitù a Roma.

Il buon ladrone
I due ladri che erano crocifissi con Gesù, al principio si unirono tutti e due al coro di quelli che insultavano Gesù (cf Mt 27,44), ma poi uno di essi, vedendo che il compagno insisteva nel provocare il Signore a mostrare la sua potenza e la sua dignità, liberando se stesso e loro dalla croce e notando la pazienza divina di Lui, ne ebbe compassione e cominciò a sgridare il compagno.
Fu questo il primo anello di grazia che doveva condurlo al possesso del Paradiso. Egli soffriva terribilmente, aveva fastidio di sentire il vociare dei nemici del Redentore, perché i suoi nervi erano spasmodicamente tesi e contratti; considerò quanto doveva essere terribile per il Signore quel coro d’insulti e di feroci ironie stando in quello stato e, non osando rimproverare i sacerdoti, gli scribi e i farisei sgridò il compagno, dicendogli: Neppure tu temi Dio, trovandoti nel medesimo supplizio? cioè: tu non compatisci, dunque, le sue pene, pur soffrendole tu stesso e ancora lo provochi e lo insulti? Quindi, dando uno sguardo ai peccati commessi, notandone forse le vestigia nel compagno e pentendosene di tutto cuore perché vedeva e sentiva quanto era innocente Gesù, esclamò: Per noi, certamente è giusto, perché riceviamo ciò che meritiamo per i nostri delitti; questi, invece, non ha fatto nulla di male.
E, dicendo queste parole, lo guardò.
La compassione per le sue pene era diventata proclamazione della sua innocenza e, nel guardarlo di nuovo in questa luce, notò che quell’innocenza non era umana, come non era umana la pazienza che mostrava. Lo fissò, e gli venne una grande pace; lo guardò ancora e anche Gesù dovette guardarlo, alleggerendogli le atroci pene. Nel considerarlo, scorse la maestà placida di quel volto, e dal volto spontaneamente passò a leggere la scritta: Gesù Nazareno, re dei Giudei. Aveva un vero aspetto di Re, spirava maestà, spirava, anche così contraffatto, ammirabile bellezza; era Re, ma non poteva esserlo di questo mondo. Forse l’aveva sentito dire innanzi a Pilato solennemente: Il mio regno non è di questo mondo, e quelle parole ora gli ritornavano in mente. La fede nel Messia gli si rinnovò nell’anima; lo guardò ancora, sentì che era Lui, credé, sperò, gli si confidò, gli si abbandonò, esclamando: Signore, ricordati di me quando sarai giunto nel tuo regno. La sua fede era piena e completa; aveva confessato le proprie colpe e la grazia l’aveva tutto avvolto e vivificato; si era pentito, aveva amato il suo Redentore, aveva accettato come espiazione la pena che soffriva, e Gesù, perdonandogli, esclamò: In verità ti dico: Oggi sarai con me in Paradiso. Oggi stesso, sarai con me perché l’avrebbe preceduto nella morte e, morendo, l’avrebbe redento, ridonandogli l’adozione di Figlio di Dio e dandogli il possesso della felicità eterna.
Fu un atto di misericordia immenso, al quale non poté essere estranea la Vergine Santissima. Nella sua materna misericordia, Ella pregò per tutti, e pregò molto più per quelli che erano crocifissi col suo Figlio divino.
Pregò, e il meno ostinato e cattivo raccolse i frutti della sua preghiera, compassionando Gesù e pentendosi dei propri peccati. Quale fiume di grazia sarebbe disceso su tutti i carnefici del Calvario, se avessero avuto un momento solo di pentimento? Il buon ladro aprì la serie dei peccatori che ai piedi del Crocifisso avrebbero trovato la luce, la misericordia e la pace, e fu il primo a raccogliere il conforto e la tranquillità che si diffondono dalla croce.

Quante volte la sua breve preghiera è stata ripetuta dai peccatori, stretti dalle tribolazioni: È giusto, Signore, ricevo ciò che merito per i miei delitti, ricordati di me! E quante volte Gesù ha risposto nel profondo del cuore pentito, dandogli la pace e promettendogli la vita eterna! Sono peccatore, mio Dio, lo confesso, e tutte le pene della mia vita sono un atto di giustizia, lo riconosco; ma la tua misericordia ha le braccia aperte per accogliermi, e io mi rifugio sul tuo Cuore, dicendoti: Ricordati di me. Tu conosci bene quello che io sono, e se tu volessi ricordarti delle mie colpe dovresti scacciarmi da te; ma il tuo ricordo è misericordia e Tu mi guardi per perdonarmi e per salvarmi.

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