sabato 26 novembre 2016

I segni della catastrofe

Commento al Vangelo – I Domenica di Avvento 2016 A (Mt 24,37-44)

I segni della catastrofe
Altro segno remoto, e potremmo dire caratteristico della fine del mondo, sono le guerre e le voci di guerre, le sollevazioni di popolo contro popolo e di gente contro gente, le conseguenti pestilenze e carestie, e gli sconvolgimenti tellurici. Gesù Cristo avverte che tutto questo deve avvenire, ma non è ancora la fine, perché le guerre e le tribolazioni sociali ci furono anche al tempo delle persecuzioni contro il cristianesimo, e furono così aspre da far credere prossima la fine anche ad alcuni Padri della Chiesa. Gesù Cristo volle appunto prevenire questo equivoco, dicendo che le guerre non indicavano la fine imminente. Egli determina velatamente di quali guerre intenda parlare e di quali sconvolgimenti, parlando di persecuzioni in tutte le parti del mondo, di odio generale al nome cristiano, di scandali caratteristici, di tradimenti, di odi, di falsi profeti, di seduzioni universali, e soprattutto di raffreddamento della carità verso Dio e verso il prossimo, dovuto al sovrabbondare dell’iniquità; Egli specifica che questo avverrà quando il Vangelo sarà stato già diffuso per tutto il mondo. Si può dire che Gesù abbia parlato intenzionalmente in modo un po’ velato, quasi confondendo i segni prossimi e quelli remoti della fine del mondo, e i segni della fine di Gerusalemme; Egli volle eccitare le anime di tutti i tempi alla vigilanza, e non volle terrorizzare eccessivamente quelle che si sarebbero un giorno trovate nei terribili avvenimenti. Sapere con certezza assoluta il tempo della fine potrebbe essere, per quelli che ne sono lontani, un motivo per darsi bel tempo, e per quelli che ne sono vicini un motivo di scoraggiamento e d’ignavia. L’incertezza ci fa essere vigilanti e nello stesso tempo ci fa continuare nel compimento dei nostri doveri, tanto nella vita familiare che in quella sociale.
Dai segni remoti caratteristici della fine del mondo, Gesù passa a quelli prossimi, riguardanti la fine di Gerusalemme. E, prima di tutto, l’abominazione della desolazione, cioè la desolazione abominevole posta nel luogo santo, nel tempio. Il Sacro Testo soggiunge: Chi legge comprenda, per indicare che non si parla solo della profanazione del luogo sacro, ma anche di quella dei ministri del santuario e dei fedeli.
Abominazione desolante furono non solo i segni del dominio pagano nel tempio, ma soprattutto le stragi commesse nel suo recinto dalla setta dei zeloti, i quali se ne impossessarono con le armi, e per tre anni e mezzo vi commisero le più orrende scelleratezze, facendovi perire più di 8500 uomini, come racconta Giuseppe Flavio nella guerra giudaica (6,3).
In questo periodo vi era il tempo di fuggire dalla città, mentre, quando i Romani l’assediarono, non fu più possibile, e per questo Gesù Cristo esortò tutti a porsi in salvo senza indugio, con espressioni che mostrano l’imminenza del pericolo. Quando cominciarono, infatti, le ostilità tra gli Ebrei e i Romani, nessuno pensava che si sarebbe giunti all’ultima desolazione; i Romani crederono si trattasse di una semplice sedizione, facilmente domabile, e gli Ebrei che si trattasse di una rivendicazione nazionale vittoriosa, illusi com’erano dai falsi cristi e dai falsi profeti. Solo i cristiani, ricordando le parole del Redentore, abbandonarono la città e si rifugiarono a Pella, nelle montagne di Galaad al di là del Giordano, prima che le armate di Tito ponessero l’assedio alla città. Il terribile assedio sorprese quasi all’improvviso gli Ebrei, e perciò Gesù Cristo, profetizzandolo, disse che era necessario pregare che la fuga dalla città non fosse avvenuta né in giorno di sabato, nel quale gli Ebrei credevano di non poter percorrere più di due miglia né d’inverno, per le difficoltà che offriva un viaggio lontano, fatto in montagna. Logicamente le persone più infelici in quelle tragiche circostanze sarebbero state le donne o incinte o allattanti, per le grandi difficoltà che avrebbero trovato in una fuga precipitosa.
Di nuovo, Gesù guardò anche agli eventi della fine del mondo insieme con quelli di Gerusalemme, ed esclamò che la tribolazione sarebbe stata senza precedenti e tale che, se quei giorni non fossero stati abbreviati per amore degli eletti, nessuno sarebbe scampato alla catastrofe. Concludendo con la sua profezia, Gesù parla in modo determinato di un falsario che si farà credere il Cristo: Ecco qui il Cristo e eccolo là, e di falsari che lo sosterranno, inducendo moltissimi in errore e facendo pericolare persino gli eletti. Questo falsario, circondato dal prestigio di falsi miracoli, trarrà dalla sua parte moltissima gente. Gesù, però, ammonisce che Egli verrà in modo da farsi scorgere da tutti in un momento, come il lampo, verrà gloriosamente con grande maestà, e non sarà necessario andarlo a rintracciare nel deserto o nelle case private. Come le aquile, o meglio gli avvoltoi, si raccolgono là dove sono i corpi, così le anime si sentiranno tratte al luogo del giudizio, dove apparirà Gesù Cristo nella maestà di Giudice, e dove esse verranno per assistere all’epilogo finale della storia del mondo. L’epilogo sarà terribile, perché la giustizia esigerà una piena riparazione di tutte le scelleratezze commesse nei secoli. Il mondo si scompaginerà, il sole si oscurerà, forse per raffreddamento interno e la luna non darà più luce. Frammenti di astri o asteroidi cadranno sulla terra con immenso frastuono, e le potenze dei cieli appariranno sconvolte. In questi terribili momenti apparirà nel cielo la croce, e giustamente, perché allora, quasi tutte le genti l’avranno rinnegata e profanata. Il segno aborrito dai seguaci dell’anticristo apparirà in una gran luce di fuoco, e le genti risorte o ancora superstiti sulla terra piangeranno, alcune disperatamente, altre ancora fedeli per immensa gioia. Verrà Gesù Cristo sulle nubi del cielo, con grande maestà, in una luce abbagliante che risplenderà più bella sullo sfondo cupo e rossiccio del cielo; apparirà non più umiliato, ma nella maestà della sua regale e divina grandezza, e sarà visibile a tutti. Gli angeli, mandati da Lui, chiameranno allora gli eletti da tutte le parti del mondo, come si chiama con la tromba un esercito alla raccolta. Forse si farà sentire veramente un suono solenne in tutte le parti del mondo, e in ogni caso si farà sentire la voce del comando della divina volontà che esigerà la glorificazione dei giusti, disprezzati e manomessi nella loro vita mortale.
L’annuncio dato da Gesù Cristo è terribile sia per gli Ebrei che per gli uomini di tutti i secoli; la rovina della nazione ebraica e quella di tutta la terra esigeva una grande vigilanza, soprattutto quando si sarebbero cominciati a verificare i segni precursori delle due catastrofi. Quando il fico mette le foglie, si capisce che l’estate si avvicina, e non si può dubitare che sia così; nella stessa maniera i segni preannunciati sarebbero stati certissimo annuncio della venuta imminente del Redentore glorioso e della manifestazione della divina giustizia. Gesù soggiunse: Non passerà questa generazione prima che siano successe tutte queste cose, intendendo parlare della generazione a Lui contemporanea che avrebbe visto la distruzione di Gerusalemme, come di fatto avvenne, e del terzo periodo della vita del mondo che non sarebbe trascorso senza che tutto si fosse avverato. Egli aveva inaugurato il nuovo patto e il periodo storico nel quale doveva svilupparsi, ed Egli doveva concluderlo per sempre con una manifestazione solenne di potenza. Lo inaugurò con l’umiliazione del Calvario, e lo compirà con la glorificazione del Giudizio universale.
Questo è certissimo – soggiunse il Redentore –, ma quanto al giorno e all’ora in cui avverrà, cioè quanto al tempo preciso, nessuno lo sa, eccetto il Padre; Egli voleva dire che era un segreto di Dio che neppure il Figlio sapeva per comunicarlo agli uomini. Egli lo conosceva certamente in quanto Dio e in quanto uomo ma, non potendolo comunicare, doveva dire di non saperlo neppure Lui, quasi ambasciatore legato dal segreto. Avverrà come al tempo del diluvio: gli uomini spensierati continuarono nella loro vita e nei loro peccati, nonostante le esortazioni di Noè, e non crederono al flagello che quando ne furono colpiti. Così avverrà che di due persone che sono nel medesimo campo, o al medesimo lavoro, una sarà salva e una sarà perduta, perché quella che è buona non sospetterà la fine e non penserà a convertire l’altra, e quella che è cattiva continuerà nelle sue occupazioni materiali e nei suoi peccati.

Occorre dunque vigilare e vivere come se fosse sempre imminente il giorno del Giudizio. Bisogna vigilare come un padre di famiglia che teme, in qualunque ora, l’assalto del ladro, e come servo fedele che, in attesa del suo padrone, si comporta bene e, quando egli ritorna, riceve il premio della sua fedeltà. Chi, credendo lontano il Giorno di Dio, si dà bel tempo, e maltratta gli altri, è simile al servo infedele che è sorpreso nel compiere il male dal padrone, ed è diviso, cioè è punito, scacciato e tagliato in due, come si usava fare con gli schiavi ribelli, precipitando così nell’eterna perdizione.
Don Dolindo Ruotolo

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