Commento
al Vangelo – II Domenica di Avvento 2016 A (Mt
3,1-12)
La
voce che grida nel deserto
L’età
legale e tradizionale per diventare dottore e ministro di Dio –
come può rilevarsi anche dal Primo libro delle Cronache (23,3) –,
era di trent’anni. In questa età san Giovanni il Battista uscì
dalla solitudine e cominciò la sua predicazione per preparare il
popolo a ricevere il Redentore, vicino anche Lui al trentesimo anno
di età.
È probabile che la causa
occasionale per la quale san Giovanni si ritirò nel deserto sia
stata la persecuzione di Erode; la madre sua, per timore, vi si
dovette rifugiare e, passato il pericolo, il bambino, già prevenuto
dalla grazia, vi rimase per prepararsi alla sua missione con una vita
di aspra penitenza. Non è raro, nella storia dei santi, una
precocità di vita penitente né può stupire vedere un bambino
prodigio di virtù come non ci stupiamo di vedere bambini-prodigio di
musica, di pittura, di arti e di lettere, dei quali abbiamo molti
esempi nella storia contemporanea. Se le doti naturali possono
rendere più che adulto un piccolo, molto più lo può la grazia e la
particolare elezione di Dio.
Che cosa faceva Giovanni nel
deserto, tutto solo? Guidato dalla luce dello Spirito Santo, meditava
la grandezza di Dio, pregava, riparava per l’ingratitudine umana, e
teneva in penitenza il suo corpo, con ogni specie di disagio, per
amore di Dio.
Si può credere, con ogni
verosimiglianza, che la Vergine Santissima, sua dolcissima zia,
l’abbia personalmente guidato nelle vie di Dio, perché i suoi
genitori dovettero morire presto. Non è supponibile, infatti che la
Vergine Santissima, così piena di bontà e di grazie, abbia
trascurato colui che era andato a visitare e a santificare, stando
ancora egli rinchiuso nel seno materno.
Il deserto dove Giovanni si
ritirò e dal quale uscì per invitare il popolo al regno di Dio era
una vasta estensione di terra ad est di Gerusalemme e lungo il Mar
Morto, quasi disabitata; il suo abito consisteva in una
veste-cilizio, formata di peli di cammelli, cioè di peli duri che
tormentavano il corpo, e che egli stringeva ai lombi con una cintola
di cuoio, per meglio sentirne il fastidio. Egli stesso, logoratesi le
sue vesti d’infanzia, aveva dovuto formarsi questo rozzo indumento,
forse utilizzando i peli di cammelli, morti nel deserto. Si cibava di
locuste – cibo comune allora come oggi in oriente –, e se ne
cibava come le trovava, non certo cotte in acqua, o disseccate al
forno che era il modo più comune di mangiarle. Alle locuste
aggiungeva un po’ di miele selvatico, di quel miele formato dalle
api silvestri nelle fessure delle rocce.
Uscì dal deserto, scarno,
coperto di quella veste di penitenza e di povertà che era stata
indossata da tanti profeti, ammantato spiritualmente dallo splendore
della grazia che lo arricchiva, e sembrò una visione soprannaturale,
al popolo che incuriosito gli andava dietro.
Con Malachia sembrava essere
cessata la profezia, e l’apparizione di Giovanni, novello profeta
agli occhi di tutti quelli che lo vedevano, fece anche più
impressione per questo. Rinasceva la solenne poesia degli antichi
profeti, e il popolo, oppresso dalla dominazione straniera, vedeva,
nella misteriosa figura del Battista, il felice annuncio di qualche
mutamento politico importante.
Ma Giovanni non era venuto per
suscitare una rivolta: era venuto per preparare i cuori con la
penitenza al regno di Dio, alla redenzione, cioè che doveva compiere
il Cristo promesso, alla Chiesa militante che Egli doveva fondare, e
a quella trionfante che doveva essere la meta finale della salvezza.
Con pochissime parole, il
Battista capovolgeva tutte le aspirazioni falsate dal popolo, frutto
del rilassamento religioso: la nazione aspirava a godere; s’era
paganizzata, ed aveva visto prosperare in essa la setta dei sadducei
che negavano persino la risurrezione futura e l’esistenza degli
spiriti. Nella sua parte che sembrava ancora sana per lo scrupoloso
attaccamento alla Legge, nei farisei, era deformata dal formalismo
ipocrita, senz’anima, aspirante al dominio e ai posti alti. Il
giogo romano le pesava, ed aspirava a scuoterlo per inaugurare un
nuovo regno d’Israele. A queste aspirazioni, il Battista oppose la
penitenza e la speranza del regno di Dio; mostrò in se stesso
l’esempio della penitenza, e cominciò a battezzare i peccatori che
accorrevano a Lui confessando le proprie colpe, per segnarli con un
segno di umiltà, per dare a tutti una promessa e una figura della
remissione dei peccati che doveva venire dal Redentore, e per
suscitare, con quel segno esterno, il desiderio della purificazione
dell’anima.
La predicazione del Battista –
come si rileva da san Luca (3,7-14) –, consisteva in pochi precetti
pratici atti a rinnovare la vita; non aveva splendore di parole
sublimi né di miracoli, era rude come il suo abito, e ciononostante
fece tanta impressione, da trarre a lui le turbe da Gerusalemme,
dalla Giudea e da tutta la regione del Giordano. Il popolo ricordò o
trovò chi gli ricordò le parole del profeta Isaia: Voce
di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi
sentieri; capì che
quelle parole non si riferivano solo al ritorno degli Ebrei da
Babilonia, ma che annunciavano la voce che doveva preconizzare il
ritorno delle anime dalla schiavitù della colpa.
La figura stessa di Giovanni,
scarna e spettrale, sembrava che avesse solo la voce con la quale
chiamava a penitenza; era quasi tipicamente una voce che sembrava
venire dalle profondità del mistero, e corsero le turbe per farsi
battezzare, confessando i propri peccati. Sentivano tutti il bisogno
di purificarsi, erano stanchi di una vita di peccati, e avevano il
desiderio di vederla mutata. Il battesimo di Giovanni non rimetteva
di per sé le colpe; ma, eccitando l’anima a compunzione e a
pentimento, attraeva la misericordia di Dio e non era una semplice e
sterile cerimonia.
Al popolo che andava da
Giovanni si unirono anche dei farisei e dei sadducei, i quali
andarono ad osservare il nuovo profeta, più per curiosità che per
vera compunzione; più per criticare che per sanzionare la sua
missione; è evidente dalle parole severe che il santo Precursore
rivolse loro. Essi erano abituati ad avvelenare il popolo con le loro
false teorie religiose e perciò Giovanni li chiamò razza
di vipere,
cioè anime
avvelenate che non sapevano propinare che veleno, subdolamente e
quasi senza farsi scorgere, ammantati d’ipocrisia gli uni, e di
fasto gli altri. Li esortò particolarmente a far penitenza, come
quelli che ne avevano più bisogno, e a non presumere di potersi
salvare perché figli di Abramo, poiché i veri figli della
discendenza spirituale di lui dovevano essere suscitati dalla grazia
e non dalla natura.
San Giovanni, quando disse
queste severe parole, battezzava a Betabara, dove Israele, sotto la
guida di Giosuè, aveva miracolosamente attraversato il Giordano. Vi
erano là ancora le dodici pietre poste a ricordo del miracolo, e il
Precursore, additandole, gridò che Dio per mantenere la promessa
fatta ad Abramo di una discendenza spirituale non si sarebbe fermato
alla progenie naturale di lui, ma avrebbe suscitato anche dalle
pietre i suoi figli spirituali, tagliando, anzi, come alberi inutili
e infruttuosi, quelli che, fidando sulla discendenza naturale da
Abramo, non avrebbero fatto buoni frutti di penitenza. Era
necessario, per formare la progenie eletta, non tanto discendere da
Abramo, quanto dal Redentore; Egli avrebbe costituito negli apostoli
le dodici pietre fondamentali della Chiesa universale, testimonianza
viva del passaggio dalla morte alla vita operato da Lui, e da quelle
pietre sarebbero nati i veri figli di Abramo, i veri discendenti ed
eredi della grande promessa.
Quest’allusione mirabile
all’opera del Redentore gli diede modo di umiliarsi al ricordarlo,
e di presentarlo alle turbe come l’unica via di salvezza: egli
battezzava con l’acqua, per indurre sentimenti di penitenza, ma
Colui che stava per manifestarsi, infinitamente più potente, avrebbe
battezzato le anime, infondendo loro lo Spirito Santo e infiammandole
del fuoco della divina carità. Egli è così grande – disse
Giovanni – che io non sono degno neppure di prestargli gli umili
uffici degli schiavi ai padroni, portandogli i sandali; Egli è così
santo e giusto che verrà quale Giudice di tutti, e come col
ventilabro si separa il grano dalla paglia per bruciarla, così Egli,
diffondendo nel mondo la sua Chiesa, attraverso il vento delle prove
e delle lotte separerà i buoni dai cattivi, raccoglierà i buoni nel
suo regno, come si raccoglie il grano nel granaio, e condannerà i
cattivi alle fiamme eterne dell’Inferno.
Giovanni
non aveva ancora visto il Redentore; parlava per divina ispirazione
e, in poche ed efficaci parole, determinava i caratteri del suo
regno: Egli non avrebbe raccolto solo le anime della promessa, ma
avrebbe adottato le creature di qualunque nazione come figlie di Dio
e discendenza spirituale di Abramo; non le avrebbe contrassegnate con
un segno esterno, ma le avrebbe rinnovate con la grazia dello Spirito
Santo, lasciando integra la loro libertà e separando alla fine, come
Giudice supremo, definitivamente, i buoni dai cattivi.
Don Dolindo Ruotolo
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