Commento
Vangelo della XVIII Domenica TO 2017 A (Mt
17,1-9) – Trasfigurazione di Gesù
Don
Dolindo Ruotolo
Un
saggio della divina gloria di Gesù Cristo
Il programma proposto da Gesù ai suoi seguaci:
rinnegarsi e prendere la croce, aveva dovuto abbattere non poco gli
apostoli, e perciò Egli, nella sua carità infinita, volle
sollevarne lo spirito, con una manifestazione gloriosa che doveva
imprimersi nella loro mente per i giorni tristi che sarebbero venuti.
Partendo dai pressi di Cesarea di Filippo, giunse alle
falde di un monte che la tradizione individua nel Tabor e, presi con
sé i suoi apostoli prediletti, Pietro, Giacomo e Giovanni, ascese
alla sua cima, elevata a 780 metri sul lago di Genesaret e a 400
sulla pianura di Esdrelon. Non prese con sé
tutti gli apostoli, perché avrebbero fatto pubblicità inopportuna,
ma volle solo tre testimoni affinché avessero potuto sostenere la
fede vacillante negli altri apostoli, scossa dalla continua
propaganda ostile degli scribi e farisei.
Dal modo come san Luca narra l’avvenimento, si rileva
che dovette avverarsi nella notte (cf Lc
9,28ss); Gesù era infatti salito sul monte per pregare, ciò che
faceva di notte, e ne discese il giorno dopo, passando la notte
sull’altura. Le tenebre e la solitudine diedero all’avvenimento
un maggiore risalto. Il Redentore si mise in orazione, e si raccolse
tutto nella gloria del Padre. L’anima sua, attratta dalla divinità,
si trovò in piena visione beatifica, e il Corpo fu reso glorioso
dalla luce divina. L’ineffabile purezza di quel Corpo divino non
offrì neppure il più piccolo ostacolo alla luce eterna che tutto
l’avvolgeva, lo penetrava e lo rischiarava, di modo che fu tutto
luce e splendore. Il volto divenne come sole, in un’ineffabile
espressione di gloria e le vesti per la gran luce che emanava dal
corpo, si fecero bianche come la neve o,
come dice il testo greco, come la luce. Era
uno spettacolo grandioso, ineffabile che rapiva l’anima, e la
trasfondeva tutta di pace, di godimento e d’amore.
I tre apostoli – come nota san Luca –, prima
aggravati dal sonno, si svegliarono certamente allo splendore di
quella luce divina, videro due personaggi che discorrevano con Gesù
e, per divina ispirazione, riconobbero in essi Mosè ed Elia.
Furono presi da timore e subito dopo da una gioia
interiore così grande che non sapevano esprimerla.
Psicologicamente, nelle grandi gioie che danno
all’anima un senso di riposo e di raccoglimento, la fantasia si
accende e fa progetti per conservare o accrescere il benessere che si
prova. Gli apostoli si voltarono intorno, videro
giù le oscure valli e d’ogni parte le tenebre, ebbero orrore del
mondo nel quale vivevano e pensarono subito di voler rimanere sempre
in quella felicità.
Si scambiarono certamente delle parole, perché nelle
grandi sorprese, ognuno crede che chi gli sta vicino non se ne renda
abbastanza conto, e ci tiene a manifestare le proprie impressioni, e
a tener desta l’altrui attenzione.
Scambievolmente si additavano lo splendore di quella
gloria, e scambievolmente si dicevano di non volere ad ogni costo
staccarsene; perciò san Pietro, parlando a nome di tutti, si
avvicinò a Gesù e gli disse: Signore, è
buona cosa per noi stare qui; se vuoi, facciamo qui tre tende, una
per te, una per Mosè e una per Elia.
Egli non sapeva quello che diceva – dice san Luca –,
e difatti le sue parole erano povere e inceppate, come lo sono sempre
in una grande emozione di gioia, e innanzi ad una grande maestà. San
Pietro avrebbe voluto dire tante cose e non sapeva quello che dovesse
dire; voleva esprimere tanti progetti di felicità stabile, e non
seppe proporre che l’erezione di tre tende. È profondamente
psicologico, poiché, nelle grandi emozioni, i progetti della
fantasia, quando si esprimono, sfumano e di tutta una ridda
d’immagini che sembrano grandiose, non rimane che l’espressione
di un semplice desiderio rozzamente manifestato. I progetti della
fantasia sfumano come un sogno che si dilegua e la parola diventa
anche più povera, non sapendosi adeguare a ciò che è già di per
sé inafferrabile.
«Questo
è il mio Figlio diletto: ascoltatelo»
Mosè ed Elia conversavano con Gesù e – come dice
san Luca –, parlavano della sua dipartita dal mondo tra i dolori
amarissimi della Passione. Essi rappresentavano la Legge e i Profeti,
e parlavano del compimento di ciò che avevano predetto e figurato.
Non è detto nel Vangelo se gli apostoli ascoltarono questi discorsi;
è possibile, e in questo caso può credersi che san Pietro abbia
proposto di rimanere stabilmente su quel monte non solo per
conservare quella felicità, ma anche per sfuggire alle insidie di
morte che si preparavano a Gesù Cristo. Egli non sapeva quel che
dicesse, non potendo penetrare nel disegno del Signore. Avrebbe
voluto dirigere gli eventi e prevenire quelli futuri, senza capire
che doveva farsi guidare dalla parola del Redentore. Dio stesso,
perciò, si degnò rispondere alle ansietà degli apostoli; una nube
luminosa avvolse Gesù, Mosè ed Elia, e dalla nube, che era segno
della presenza di Dio, si sentì la voce placida, solenne e grandiosa
del Padre che disse: Questi è il mio Figlio
diletto nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo. Non
si trattava dunque di fare progetti, ma di seguire il Figlio divino e
ascoltarlo. Quelle parole furono piene di tanta maestà che i tre
apostoli caddero bocconi per terra e furono presi da un gran timore.
La sublime visione era terminata, e Gesù li scosse e li esortò a
non temere. Essi alzarono gli occhi e videro solo Gesù, ritornato
come prima, nelle sue umili apparenze.
Albeggiava e cominciarono a scendere dal monte; sorse
anche il sole, ma quella luce dovette sembrare
loro un’ombra di fronte a quella che avevano vista. Ferveva in loro
il desiderio di raccontare l’accaduto e può supporsi che facessero
uno speciale progetto di confondere gli scribi e farisei.
La loro fede, infatti, si era accresciuta, ed essi, nel
loro cuore, l’avevano ora ben salda; si stupivano come gli scribi
dicessero che prima del Messia doveva venire Elia, e ne domandarono
spiegazione. Gli scribi, per dimostrare alle turbe che Gesù Cristo
non era il Cristo, affermavano recisamente che doveva essere
preceduto da Elia, secondo le profezie. Gli apostoli, certi ormai
della verità, domandarono come gli scribi avessero potuto fare
quella affermazione. Gesù Cristo, leggendo nei loro cuori l’ansia
di parlare dell’avvenimento grandioso della trasfigurazione, lo
vietò loro fino a dopo la sua risurrezione. La divulgazione di un
fatto così importante, per il malanimo degli scribi e farisei,
sarebbe servita solo ad aumentarne l’ostilità e li avrebbe resi
maggiormente rei.
Ad essi, come a gran parte del popolo, ignorante e
prevenuto, sarebbe apparsa una fiaba, e si sarebbe così svalutato un
dono di Dio. La parte del popolo che ci avrebbe creduto, si sarebbe
abbandonata a dimostrazioni politiche, rendendo vano, in tante anime,
il disegno di Dio, e concentrandole in una falsa aspirazione
temporale. Gesù, dunque, volle che non se ne parlasse se non quando
la gloria inoppugnabile della risurrezione l’avesse reso non solo
credibile ma salutare per le anime.
Rispondendo poi alla domanda degli apostoli riguardante
Elia, Gesù Cristo distinse due venute del profeta: una alla fine del
mondo per restaurare tutto e vincere l’anticristo, e una mistica e
simbolica in un grande santo che avrebbe preparato a Lui la strada
nello spirito di Elia. Questa seconda venuta s’era già realizzata
in san Giovanni Battista, austero e forte come Elia, e martire come
lui. Il popolo non lo riconobbe, e gli scribi e farisei lo
ostacolarono in tutti i modi, come ostacolavano Lui stesso,
tendendogli insidie e desiderandone la morte. Se non avevano
riconosciuto il Battista, e non avevano ascoltato la sua voce, pur
avendo essa tanto prestigio, come avrebbero potuto credere alla
gloria della trasfigurazione?
In quel momento non c’era da pensare che alla
Passione e Morte, unica via scelta dalla Provvidenza per la
redenzione degli uomini.
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