Commento al Vangelo della XIII Domenica del TO C 2013 (Lc 9,51-62)
Don Dolindo Ruotolo
Gesù viaggia verso Gerusalemme
Avvicinandosi
il tempo dell’assunzione di Gesù al cielo dopo la Passione e Morte, Egli
si mostrò risoluto di andare a Gerusalemme. Sapeva bene che in quella città
sarebbe stato condannato a morte, e poiché l’amor suo lo spronava a dare la vita
per la salvezza di tutti, vi andava risoluto, cioè pronto ad accettare gli aspri tormenti che lo
aspettavano. Siamo agli ultimi sette mesi della sua vita, ed Egli, dopo aver
evangelizzato la Galilea ,
iniziava il viaggio verso Gerusalemme, per predicare la buona novella nella
Perea e nella Giudea, e compiere la sua missione sul Calvario.
I
Samaritani rifiutano di ospitare Gesù
Avendo
con sé non solo gli apostoli ma numerosi discepoli, Egli spedì avanti alcuni
incaricati per preparare a tutti l’alloggio e il vitto e per disporre il popolo
a riceverlo con frutto.
La
via più breve per andare a Gerusalemme era quella che attraversava la Samaria , regione sommamente
ostile ai Giudei, specialmente quando si recavano al tempio per adorarvi il Signore.
I Samaritani, infatti, avevano anch’essi edificato un tempio sul Garizim,
rivale di quello di Gerusalemme e pretendevano che là vi si dovesse adorare Dio
invece che nella santa città. Quando sapevano che un Galileo o un Giudeo si
recava al tempio, gli mostravano tale ostilità da costringerlo o a desistere o
a cambiare strada, facendo un cammino più lungo attraverso la Perea.
È
questa la ragione per la quale, quando i messi di Gesù entrarono in una città
della Samaria per preparargli l’alloggio, i Samaritani non vollero riceverli e
li scacciarono.
Giacomo
e Giovanni ne furono indignati, e avrebbero voluto invocare il fuoco dal cielo
su quell’ingrata città. Essi sul Tabor avevano visto Gesù nella gloria, e con
Gesù anche Mosè ed Elia; il ricordo della Maestà del Maestro provocava sdegno
contro quelli che lo rigettavano, e il ricordo di Elia che, aveva chiamato il
fuoco dal cielo contro i suoi nemici, faceva venire loro il desiderio d’imitare
il suo gesto e di punire i Samaritani.
Ma Gesù li redarguì severamente,
dicendo: Non sapete di quale, spirito siete. Il Figlio dell’uomo non è
venuto a perdere le anime ma a salvarle. Essi credevano di parlare per
zelo, e invece quei pensieri di severa giustizia venivano loro da satana e
dalla natura; essi non sapevano discernere lo spirito che in quel momento li
animava. Il rifiuto che ebbero fu sgarbato, li disgustò, li offese, e il loro
desiderio di giustizia era un sottile e subcosciente desiderio di vendetta.
Volevano mostrare ai Samaritani non solo la superiorità del divino Maestro, ma
anche la loro autorità; immaginavano che un segno spettacoloso avesse dovuto
umiliarli, e far loro capire la loro inferiorità; c’era in quel desiderio di vendetta
anche l’ostilità che sentivano in particolare contro i Samaritani, stimandoli
scomunicati e maledetti.
Ma
Gesù non era andato nella Samaria per perderla; vi si era recato per salvarvi
le anime, a Lui carissime, e non voleva diffondervi che misericordia e perdono;
compatì quei poveretti che lo rigettarono e se ne andò in un altro villaggio.
Gesù non ci vuole a sé con la forza
Egli
condannò, in tal modo, tutte le irruenze del falso zelo, e col suo esempio
c’insegnò a cercare le anime con grande mansuetudine e bontà. Le irruenze a che
giovano? Provocano solo la reazione e una maggiore ostinazione di volontà nel male.
Il Signore non ci vuole a sé con la forza, ma con l’amore; se a volte ricorre
al castigo salutare, lo fa solo per trarre a sé le anime che hanno ancora una
possibilità di convertirsi e di amarlo. I flagelli pubblici hanno sempre un
carattere di misericordia, e sono l’ultimo assalto del suo amore alle anime
ostinate nel male, sono l’ultima purificazione per quelle che sono sante. Lo
zelo impetuoso, in realtà, sorge sempre dalla natura, ha sempre un carattere
d’ira, di vendetta o di ritorsione e, lungi dal salvare, può perdere più presto
le anime.
Come seguire Gesù nella vocazione religiosa
Mentre
Gesù camminava, uno gli disse di volerlo seguire dovunque fosse andato. Era un
giovane o un uomo che, entusiasmato dalle sue parole, non voleva perderne una e
voleva seguirlo, presumendo di eleggersi da sé come suo discepolo, per un
sentimento tutto naturale. Ma la vocazione all’apostolato non può nascere dalla
natura, comportando sacrifici e rinunce che non possono farsi senza una grazia
particolare, e perciò Gesù gli disse: Le volpi hanno le tane, gli uccelli
dell’aria i nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove riposare il capo. Se voleva
seguirlo, doveva essere pronto ad una vita di privazione e di povertà, alle
quali, evidentemente non doveva sentirsi disposto intimamente, pur credendo di
avere ferma volontà di seguirlo.
Non
si va all’apostolato o alla vita religiosa per entusiasmo naturale o per vedute
umane, ma ci si va per divina chiamata e rinnegandosi; e Gesù, per mostrarlo meglio,
si rivolse ad un altro, e gli disse: Seguimi. Era un’anima che aveva
dovuto sentire spesso l’impulso interiore della grazia, ma vi aveva opposto difficoltà,
non sentendosi il coraggio di abbracciare una vita randagia, fatta tutta di
rinunce e di prove; era però un’anima desiderosa della perfezione che aveva
bisogno di una spinta di grazia per seguire la sua vocazione, e per questo Gesù
decisamente lo chiamò: Seguimi. Egli oppose ancora una difficoltà: aveva
il padre vecchio e voleva prima chiudergli gli occhi e seppellirlo; ma Gesù gli
replicò: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti, ma tu va’ e annuncia
il regno di Dio.
Quell’uomo
forse doveva avere in casa persone ostili al Signore e morte alla grazia; ora,
se egli avesse frapposto indugio alla propria vocazione, come l’avrebbe potuta
custodire? L’atto di pietà che voleva fare verso suo padre potevano farlo i
suoi parenti, e non era necessario che lo facesse lui, con pericolo della
vocazione e con danno dell’apostolato. Aveva avuto molte grazie, aveva
ascoltato la parola della vita, poteva trasmetterla agli altri, e poteva
impedire questo bene per compiere un atto di pietà che avrebbero compiuto i
suoi familiari? Per essi, morti alla grazia, sarebbe stato almeno un merito e
un’opera buona; per lui, chiamato ad una vita santa di apostolato, sarebbe
stato un ostacolo; era dunque conveniente che i morti alla grazia facessero
questo atto di virtù naturale e che egli, rinato alla grazia, annunciasse il
regno di Dio.
Alle
recise parole di Gesù, un altro che era stato chiamato già, com’è evidente dal
contesto e che sentì in quell’esortazione il dovere di seguire completamente il
Signore, gli domandò almeno il permesso di salutare quelli di casa. Ma andare a
salutarli per lui sarebbe stato lo stesso che farsi dissuadere, poiché
l’ambiente della sua famiglia doveva essergli ostile, e Gesù che lo sapeva e
prevedeva quello che sarebbe avvenuto, glielo avvisò, dicendogli in altri
termini: Guarda bene che tu, andandovi, non mi sarai più fedele, e sarai come
uno che mette prima mano all’aratro per lavorare, ma poi si scoraggia e lascia
a metà il suo solco. Ti volgerai indietro, cioè penserai alle comodità lasciate, alla libertà di
casa tua, alla tranquillità che potrai avervi rinnegandomi, e finirai per
cedere alla natura e per essere infedele.
Sono
ammonimenti preziosi per la vocazione allo stato ecclesiastico o a quello religioso:
chi vi è guidato non dalla chiamata di Dio ma dall’entusiasmo di un momento o
da visuali più o meno poetiche, non pensa ai sacrifici che deve abbracciare, e
quando li incontra finisce per conturbarsi, vi si rifiuta, ritorna al mondo con
lo spirito sconvolto o rimane in una falsa vocazione con lo spirito disperato.
È
necessario, perciò, farsi chiamare dal Signore, implorare da Lui la grande grazia della vocazione, e
abbracciarla per solo suo amore, nello spirito del sacrificio più completo. Chi
è chiamato da Dio, può trovare difficoltà ad obbedire, nella stessa tenerezza
del proprio cuore, e con la scusa o della pietà verso i propri cari, o delle
convenienze umane, può rendersi infedele.
Per essere tutti di Dio non si può guardare la naturale
affezione del cuore: è indispensabile, anzi, anche rinnegarla esternamente e in
tutto ciò che ha di naturale o di terreno, perché i parenti spesso non
intendono né le vie di Dio né gli interessi della sua gloria.
Chi
abbraccia lo stato matrimoniale non fa lo stesso per amore di una creatura? La segue,
si distacca, piangendo dai propri cari, ama quella creatura più di tutti, e se
prevede che qualcuno voglia allontanargliela, lo fugge.
Chi
ha mai tacciato questo di inumanità o di esagerazione? E per Dio non si può
fare almeno lo stesso?
I parenti, poi, non sono eterni sulla terra, passano, ed è
anche giusto e sapiente badare prima di tutto ai loro e ai nostri interessi
eterni; lasciarli per amore di Dio significa renderli ricchi di un merito
grande, perché un figlio o una figlia consacrati a Dio sono un grande titolo di
salvezza eterna per i genitori e per i parenti, e significa provvedere al
proprio imprescindibile bene eterno.
È più bello donarsi a Dio, quando Egli ci chiama,
donarsi rinunciando a tutto per amor suo, e ritrovarci poi nell’eternità, tutti
insieme, in un imperituro godimento.
Padre Dolindo Ruotolo