Il tenero spettacolo della peccatrice
penitente ai piedi di Gesù
Uno dei farisei, Simone, volle mostrare
a Gesù di essere cordiale e generoso, e lo pregò che andasse a mangiare con
lui. Sperava forse di ragionare con Lui e confutargli tante sue idee; aveva
forse un segreto desiderio di scrutarlo, stimandolo un illuso. Il non avergli
fatte le cortesie rituali dovute agli ospiti ce lo fa supporre; se l’avesse
invitato per aver l’onore di ospitarlo, lo avrebbe trattato con cordialità e
con onore. È probabile pure che avesse avuto qualche beneficio da Gesù, e che,
per una convenienza umana, l’avesse invitato per disobbligarsi; questo può rilevarsi
dalla parabola dei due creditori che il Redentore gli raccontò.
Gesù
accettò l’invito non tanto per il fariseo, quanto perché la sua misericordia
aspettava una povera peccatrice e voleva darle modo di rintracciarlo
comodamente.
Gli
orientali solevano lasciare aperte a tutti le porte d’un banchetto, perché si
potesse curiosare sui convitati; Simone, quindi, seguì questo uso, anche perché
molti ricercavano Gesù.
Una
donna – identificata in Maria Maddalena dai migliori interpreti –, peccatrice
nella città, cioè peccatrice pubblica, appena seppe che Gesù era a tavola,
presa da un grande pentimento delle sue colpe e da un grande amore
soprannaturale, entrò nella sala e si gettò ai piedi di Gesù.
Gli
antichi mangiavano su divani, coricati sul lato sinistro, e con i piedi che
sporgevano indietro, di modo che fu facile alla donna genuflettersi e
abbracciare i piedi di Gesù. Essi erano nudi, perché a tavola si lasciavano i
sandali per non imbrattare i divani.
Era
una povera peccatrice, traviata più dall’ardente suo cuore che da una profonda degenerazione;
aveva ascoltato Gesù, aveva assistito forse al miracolo del giovane
risuscitato, e aveva sentito nel cuore un profondo rammarico delle sue colpe.
Il volto di Gesù l’aveva conquisa con un amore purissimo che tutta la
trasfigurava, e aveva sperimentato e controllato, in questo nuovo amore, tutta
l’abiezione della sua vita.
Era stata ella a Nain un’insidiatrice del giovane, morto
prematuramente? Aveva sentito, in quella morte, il primo rimorso cocente del
proprio peccato, vedendo piangere la desolata madre? Aveva visto, nel miracolo
di quella risurrezione, la possibilità per lei di risorgere dalle sue colpe? Si
può anche supporre, perché pare certo che ella era una peccatrice pubblica
proprio a Nain.
Entrò
nella casa del fariseo senza curarsi di nessuno, tutta presa da rimorsi e da
angustie, portando con sé un vasetto di prezioso unguento; genufletté, si
abbracciò ai piedi Gesù e, a quel divino contatto, sentì tanto dolcissimo
pentimento a tanto purissimo amore che cominciò a piangere, a piangere e, come
facevano le donne supplicanti sulle soglie del tempio che le bagnavano di
lacrime e le asciugavano con i capelli, ella discioltasi la chioma, sentendo in
quel Corpo divino un mistero più arcano di un tempio, cominciò ad asciugare i
piedi divini con i suoi capelli e ad ungerli con l’unguento.
Nelle lacrime, espandeva il suo pentimento, nell’unguento
manifestava il suo amore, e l’amore la rinnovava tutta, perché attraeva in lei
la misericordia di Dio. Fu un momento dolcissimo: ella si liquefaceva di
pentimento e d’amore, e si espandeva il Cuore di Gesù in una tenerezza infinita.
Egli le si comunicava nella misericordia e nella purezza, ed
ella, in quella comunione, sentiva che cos’era il suo Signore. Aveva tutta
l’esperienza dei contatti umani, sapeva bene le tormentose fiamme che accendono
nei sensi, conosceva il lezzo della carne e controllava che cosa mirabile e
divina era il Corpo di Gesù.
Quale vita le si trasfuse nell’anima, e con quale fede ella
sperò il perdono di tutte le sue colpe! Sentì che Gesù era la fonte della
misericordia, e non si mosse dai suoi piedi senza aver ricevuto la remissione.
Le sue lacrime erano una confessione fatta a Lui, i suoi singulti erano una
riparazione pubblica, e il suo cuore si spezzava d’amore e di pena. Sentì che
Gesù era Dio che l’offeso dai suoi peccati era Lui, e che la misericordia
poteva venirgli solo dalla sua assoluzione.
Pianse,
pianse ancora; la tenerezza di Gesù per lei da Lei avvertita nella comunione speciale
del suo Corpo divino, le fece intendere l’amore che Egli portava alle anime, e
pianse per quelle che ella aveva scandalizzate. Furono le sue più cocenti
lacrime.
Come
una mamma, carezzata dalle morbide mani del suo piccino, s’intenerisce, e quel
soave contatto d’amore tutta la commuove, così Gesù, alle lacrime della donna e
al contatto dei capelli di lei, espressione di adorazione e di amore s’intenerì
e mostrò, dal suo volto luminosamente divino, la misericordia che lo commoveva.
Era
soavissimo, dolcissimo, bellissimo e, negli occhi suoi cerulei, sfavillava la
grazia e rifulgeva la carità. Era assorto nel grande mistero della
rigenerazione e pensava al gran dono che voleva fare all’umanità del suo Corpo
e del suo Sangue come redenzione e come Cibo di vita. Si comunicava per la
prima volta in quel modo speciale ad un’anima, ed era quello un’anticipazione
del banchetto della vita.
Fluiva
da Lui una virtù arcana, non per risanare un corpo ma un’anima, e dava le primizie
dell’amore del suo Cuore adorabile.
Il fariseo non poté minimamente scandalizzarsi che
Gesù permettesse alla donna di toccarlo, tanta era la luce di divina purezza
che traspariva da Lui; si scandalizzò, anzi, che la sua santità potesse
sopportare quel contatto e giudicò subito che Egli non poteva essere un
profeta, non accorgendosi che quella donna era una peccatrice. Questa
circostanza ci fa vedere quale stima avesse dell’immacolato candore di Lui,
nonostante che, come fariseo, fosse sempre sospettoso.
Gesù
Cristo mostrò a Simone che era un profeta, rispondendo subito con una parabola
al suo pensiero, e facendogli intendere che Egli conosceva i cuori e li
scrutava. Gli propose una questione e gliela propose quasi lusingandolo nella
sua saggezza, reclamando da lui un parere. Fu un atto di delicatezza divina,
perché volle riabilitare ai suoi occhi la povera donna, costringendolo a
dargliene quasi il fondamento.
Un
creditore – disse –, aveva due debitori; uno gli doveva cinquecento denari e un
altro cinquanta. Non avendo essi di che pagare, condonò il debito ad entrambi.
Chi, dunque, lo amerà di più? E Simone rispose che, per gratitudine, doveva
amarlo colui al quale era stato condonato di più. Gesù disse al fariseo, quasi
facendogli un plauso: Hai giudicato bene.
Poi gli manifestò in tono di amicizia quello che lui non aveva fatto nel
riceverlo in casa, e lo contrappose a quello che gli aveva fatto la donna.
Era
uso onorare gli ospiti, prima di tutto facendo loro lavare i piedi, o lavandoli
personalmente, perché impolverati. Dopo la lavanda si dava loro il bacio di
pace e di amicizia e si ungevano con olio profumato i loro capelli e la barba.
Simone non aveva fatto nulla di tutto ciò, mentre la donna gli aveva lavato i
piedi con le lacrime, li aveva asciugati con i capelli, e li aveva
ripetutamente baciati, cospargendoli con l’unguento.
Con delicatezza
divina, Gesù non volle essere severo verso Simone, attribuendo i mancati uffici
di ospitalità a scortesia, ma li attribuì solo ad un debito minore di
riconoscenza che egli aveva verso di Lui. La donna, invece, aveva avuto un
beneficio immenso, cioè il perdono di tutte le sue colpe, e perciò era stata
così piena di amorosa gratitudine. Indirettamente e con la stessa divina
signorilità, Gesù avvertì Simone che egli aveva ricavato poco frutto dalla sua
visita, e per questo aveva amato poco. La presenza di Gesù che avrebbe potuto
rinnovargli il cuore, appena appena gli aveva tolto qualche difetto e qualche
ruggine dall’anima. Aveva amato poco perché aveva raccolto poco.
Questa
verità, Gesù gliela disse attribuendo quasi a sé il poco che aveva avuto, per
non mortificarlo innanzi agli altri. Lo giustificò nei mancati uffici di
ospitalità, lo riprese con estrema delicatezza del poco frutto che aveva ricavato
dalla sua visita, e manifestò il grande frutto che ne aveva tratto la
peccatrice. Logicamente non trattò della fondamentale questione che il fariseo
si era proposta tra sé, cioè come permettesse ad una peccatrice di toccarlo,
perché ella era già rigenerata; perciò, rivolto a lei, disse in tono d’amore
onnipotente: Ti sono rimessi i peccati.
Quest’ultima
espressione di misericordia ci fa intendere con quanta umiltà la peccatrice
avesse accolto la discussione che si faceva su di lei. Lungi dal giustificarsi
o dallo scusarsi, ella doveva convenire, con le lacrime e con i gemiti che era
una grande peccatrice e, poiché ella stessa si esponeva al disprezzo dei
convitati, Gesù volle riabilitarla, dicendole: Ti sono rimessi i peccati. Glieli
aveva già perdonati, ma con queste parole le diede la certezza
dell’assoluzione.
Parlò con tanta divina maestà e con tale
accento di verità che i convitati non poterono dubitare che le avesse realmente
perdonato i peccati, e perciò dissero stupefatti: Chi è costui che rimette
anche i peccati? E Gesù, ancora una volta, confermò alla donna la
misericordia che le aveva fatta, dicendole: La tua fede ti ha fatta salva,
vattene in pace. Non l’aveva salvata una fede sterile né le era bastato
credere per essere giustificata; aveva confessato i peccati piangendo e ne
aveva ricevuto formalmente l’assoluzione da Gesù. Gli atti d’amore poi che gli
aveva fatto, erano stati la sua penitenza riparatrice. Questo è un argomento
perentorio contro i poveri protestanti che negano la confessione, dicendo che
basta credere per essere giustificati.
Noi peccatori e la misericordia di Dio
La soavissima scena della povera
peccatrice deve farci aprire il cuore alla penitenza e all’amore. Siamo
peccatori, ma non dobbiamo mai diffidare della divina misericordia e dobbiamo
implorarla ai piedi del confessore che rappresenta Gesù Cristo. Nella Chiesa,
dov’Egli siede a mensa nel banchetto della vita, cerchiamo i suoi piedi,
umiliandoci nel tribunale della penitenza; piangiamo i nostri peccati,
serviamoci delle stesse cose che abbiamo nella vita, figurate dai capelli, per
purificarci con la carità e profumiamo Gesù col prezioso unguento delle virtù
contrarie ai peccati commessi. È questa la migliore penitenza che possiamo fare.
Che cosa gioverebbe una semplice
preghiera espiatoria, senza togliere dall’anima gli abiti dei vizi? Se si pecca
di superbia, bisogna dare a Gesù profumi di umiltà, se d’impazienza, profumi di
mansuetudine, se di avarizia, profumi di generosità, se d’impurità bisogna
dargli profumi di gigli.
Piangere,
astergere, baciare, profumare: ecco gli atti di una vera penitenza;
piangere col pentimento, astergere con la riparazione, baciare con l’amore,
profumare con la virtù.
Piangere
innanzi agli altri e non soltanto nel proprio cuore, perché la penitenza è atto
anche di riparazione esterna al male commesso; astergere i piedi di Gesù cioè i
poveri – come spiegano i Padri –, riparando i peccati con la carità; baciare
Gesù, confidando in Lui, perché la penitenza non è mai disgiunta dall’amore e,
infine, profumare Gesù che siede a mensa, espandendo il cuore in Lui, Sacramentato.
Il
mondo abbonda dolorosamente di peccatrici pubbliche, non solo di quelle che
sono vendute al peccato, ma di quelle che allettano al male ostentando
l’impurità dell’anima e del loro corpo.
Che
cos’è la moda invereconda; che cosa sono le spiagge, i balli, e gli sports nei
quali si baratta il decoro femminile, se non un meretricio di anime? Vanno in
giro le peccatrici per attrarre gl’incauti nei lacci dei sensi, ma hanno un
marchio d’infamia che le distingue; vanno in giro le mondane per attrarre le
anime nelle degradazioni della loro eleganza e sono anche più funeste e
pericolose. Le prime esigono il prezzo del loro peccato, le seconde si esibiscono
senza prezzo, moltiplicando i peccati.
Forse il peccato di pensiero e di
desiderio è meno grave di un peccato consumato? Lo disse Gesù: Chi guarda
una donna col desiderio di peccare ha commesso adulterio nel suo cuore.
Quante
peccatrici, che sono nelle città, hanno bisogno di andare ai piedi di Gesù e di
ricorrere alla sua misericordia!
Oh
se si capisse questa grande verità! È raro trovare una mondana che non sia peccatrice
nella città, poiché
è raro che essa non macchi le anime con la sua procacità.
Come
può rimanere tranquilla, sapendo di avere acceso in altri fiamme di concupiscenza?
Come può ostentare se stessa, invece di nascondersi? Con qual cuore può
presentarsi al medesimo tempio di Dio indegnamente, quando dovrebbe andarvi
solo per piangere i propri peccati?
Si
pecca con gli occhi: e piangano essi amaramente per essere purificati.
Si
pecca con le ostentazioni del lusso: e servano a lenire le pene dei poverelli.
Si
pecca attraendo coi belletti e coi profumi: se ne faccia rinuncia a Gesù per
amore.
Piangiamo
i nostri peccati, poiché nulla è più soave e dolce di questo pianto, e imploriamo
la misericordia di Gesù, perché dica anche a noi la consolante parola: Ti
sono rimessi i peccati.
La donna cooperatrice del regno di
Dio
Presso
gli Ebrei, benché la donna non fosse ridotta allo stato obbrobrioso al quale
l’aveva degradata il paganesimo, tuttavia si trovava in una condizione
d’inferiorità che, con gli abusi e le sopraffazioni degli uomini poco fedeli
alla Legge, poco differiva da quello pagano. Gesù Cristo la riabilitò in modo
mirabile, nascendo da Maria Vergine e formando di Lei un capolavoro stupendo di
grazia e di santità, ma non si contentò solo di questa mirabile elevazione che
formò di una donna la
Corredentrice e la
Madre degli uomini; volle servirsi delle donne come
cooperatrici dell’apostolato.
Le donne spesso soccorrevano i rabbini, provvedendoli del
necessario alla vita, ma non osavano seguirli e mostrarsi in pubblico; Gesù
Cristo, invece, permise che alcune pie donne lo seguissero nell’apostolato, e
formò di esse come le antesignane delle innumerevoli schiere che nella sua
Chiesa dovevano cooperare all’evangelizzazione del mondo. Possiamo dirlo con
sicura verità: fu il primo gruppo di Azione Cattolica femminile.
Le pie donne al seguito di Gesù
Gesù Cristo volle le donne alla sua sequela, non tanto per
avere un aiuto nelle necessità imprescindibili della vita terrena, alla quale
Egli si era sottomesso, quanto per formare il primo gruppo di cooperazione
nell’apostolato.
Le
pie donne che lo seguirono, furono attratte a Lui dai benefici spirituali o
corporali che avevano ricevuto, e per gratitudine misero a sua disposizione le
loro sostanze; ma fu la grazia divina che principalmente le attrasse e il
Signore fece loro il più gran dono chiamandole a sé.
Non furono molte, ma in cambio furono
fedeli fino al Calvario e, benché la loro fede fosse crollata, rimase in loro la fedeltà della
compassione fino al sepolcro del Maestro divino, ed ebbero per prime l’annuncio
della risurrezione.
Gli
apostoli persero la fede e fuggirono, le pie donne la persero senza fuggire, e
la compassione fu come il
terreno nel quale la grazia poté risuscitarla.
Il Sacro Testo enumera alcune di queste pie donne: Maria
Maddalena, la peccatrice, dalla quale Gesù aveva fatto uscire sette demoni,
quando l’aveva liberata dal peccato; Giovanna, moglie di Cusa, intendente e
tesoriere di Erode, probabilmente colui al quale Gesù guarì il figlio, e che
credé perciò in Lui con tutta la sua famiglia (cf Gv 4,53); Susanna, della quale non abbiamo notizie, e molte altre.
Maria Maddalena, riabilitata dal suo amore verso il Redentore, prima nel pio gruppo,
doveva dar coraggio nei secoli a tutte le povere donne traviate, e mostrare
loro come la sincera
penitenza può trasformare l’anima in creatura nuova.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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