Commento al Vangelo: Corpus Domini C 2013 (Lc 9,11b-17)
La prima moltiplicazione dei pani
Quando
il popolo vide che Gesù si ritirava, osservò – come dice san Marco (6,33) –,
quale direzione prendeva, perché in barca si allontanava verso il luogo deserto
di Betsaida. La sua parola e il suo divino aspetto erano così affascinanti, e i
miracoli che compiva così grandi che il popolo non seppe distaccarsene e – secondo
san Marco (ivi) –, corse e lo
prevenne nel luogo dove supponeva che Egli dovesse sbarcare. Viveva giorni di
entusiasmo e di schietta fede, perché la propaganda ostile degli scribi e dei
farisei non lo aveva ancora avvelenato. Sembra quasi di vederla questa turba
devota, entusiasmata dai discorsi di Gesù, correre in grande gioia, e fare a
gara nel passo, superando le balze della strada montagnosa, per trovarsi
nuovamente da Gesù. Era dimentica di tutto, l’attraeva il Signore e correva,
percorrendo un lungo cammino, senza pensare che si allontanava di più dai
centri da cui era venuta. Gli stessi infermi si sforzavano di fare il cammino,
sperando di ottenere la guarigione.
Quando
Gesù vide quell’immensa moltitudine, nella quale solo gli uomini erano circa
cinquemila, ne fu commosso; l’accolse con infinita amorevolezza, parlò del
regno di Dio, e risanò tutti quelli che avevano bisogno di cura.
Può rilevarsi dal contesto
che mentre Gesù parlava alle turbe e guariva gl’infermi, gli apostoli dovettero
rifocillarsi. Essi, infatti, si erano appartati per questo dal popolo ed,
andando in un luogo deserto per rimanervi poi in orazione, avevano dovuto
portare con loro qualche provvista abbondante. Il non aver altro che cinque
pani e due pesci, quando Gesù disse che provvedessero al popolo, fa supporre
che avessero dovuto già cibarsi. Forse, proprio mentre mangiavano, notarono che
il giorno declinava e che era necessario rimandare la turba perché avesse
cercato, nei villaggi circostanti, vitto e alloggio.
È psicologico, infatti che
uno noti per gli altri quello di cui si preoccupa per sé e compatisca negli
altri quello che egli soffre; essi, stanchi dal viaggio e bisognosi di cibo,
nel sedersi su qualche poggio a rifocillarsi ponderarono meglio che cosa
significava essere stanchi e digiuni e, accostatisi a Gesù, lo esortarono a
licenziare la turba perché si fosse provveduta, perché il giorno declinava e si
stava in luogo deserto.
Gesù rispose alle loro
insistenze, dicendo che avessero dato essi da mangiare a quella gente. Ma non
avevano che cinque pani e due pesci e quel comando sembrò loro uno scherzo. Il
Redentore, invece, non parlava per modo di dire: esigeva veramente che avessero
provveduto al popolo facendo un atto di fede in Lui.
Non avevano già fatto
miracoli in suo Nome?
Non avevano sperimentato,
nella missione compiuta, quanto fosse stata feconda la loro fiducia?
Egli avrebbe voluto che il
miracolo l’avessero fatto essi in suo Nome, perché avrebbe voluto accrescere il
loro ascendente sul popolo, ai fini dell’apostolato. Ma non erano da tanto, e
Gesù, compatendoli, volle che almeno avessero avuto fiducia in Lui, e ingiunse
loro di far sedere la gente sul fieno, a gruppi di cinquanta. Fu così che essi
poterono contare approssimativamente quanti uomini erano presenti, perché,
raggruppandoli in cento comitive da cinquanta persone, notarono che la
maggioranza erano uomini, pur essendovi parecchie donne e bambini. Gesù volle
far constatare loro la grandiosità del miracolo, per sanare la sfiducia che
avevano avuta in Lui, sia volendo far licenziare il popolo, sia non avendo fede
di poterlo alimentare in suo nome.
Quando furono tutti
seduti, il Redentore si fece portare i cinque pani e i due pesci, alzò gli
occhi al cielo per mostrare a tutti che pregava, e li benedisse. Poi cominciò a
spezzare sia i pani che i pesci, ponendo le porzioni nei panieri che gli
apostoli avevano portati con loro, o che avevano domandati in prestito da
qualcuno che li aveva. È evidente, dal contesto, questa circostanza, sia perché
sarebbe stata lunghissima la distribuzione fatta pezzo per pezzo, sia perché
nel Testo è detto esplicitamente che furono raccolti gli avanzi in dodici
panieri.
Gesù spezzava il pane, e
il pane cresceva di nuovo, di modo che da ogni pane ricavò più di mille
porzioni, e da ogni pesce più di duemila e cinquecento porzioni.
Il pane
veniva fresco e saporosissimo, poiché Gesù, quando mutò l’acqua in vino a Cana
di Galilea, somministrò un vino di ottima qualità.
Era secondo la sua
infinita generosità dare un cibo ottimo, come lo diede Dio nella manna del
deserto agli Ebrei che emigrarono dall’Egitto. Forse Gesù stesso, prendendo il
pezzo abbondante di pane, vi pose in mezzo la porzione di pesce. Nelle sue mani
onnipotenti il pane e il pesce erano quasi come sementi vive che
istantaneamente crescevano. Ciascuna particella, obbedendo alla sua volontà
creatrice, diventava feconda di un’altra, quasi, diremmo, come in natura si
generano le cellule nuove per gemmazione, e molto più velocemente di quello che
non cresca in una notte il gigantesco fungo equatoriale.
Data l’enorme quantità del
pane avanzato, si può supporre che Gesù abbia fatto le porzioni uguali per
tutti, e naturalmente le donne, i bambini e chi aveva minore appetito ne
mangiarono meno e ne lasciarono una parte. Forse di un pane faceva due parti,
perché, dividendolo a metà, poteva più facilmente spezzarsi; una metà la dava
agli apostoli con la metà di un pesce, e l’altra metà, cresciuta nelle sue
mani, la spezzava nuovamente in due; l’ultima metà di ciascun pane e pesce la
dava com’era. Se fosse così, ne verrebbe che dieci porzioni di pane e quattro
di pesce furono cavate da ciò che avevano gli apostoli, e furono naturali, e
che le altre furono miracolose. Dio, pur essendo generosissimo, non fa opere
superflue, e Gesù utilizzò certamente i pani e i pesci che aveva.
Il miracolo fu grandioso,
ma fatto con tanta prontezza e naturalezza che la gente e gli apostoli stessi,
in quello stesso momento, non lo ponderarono. Il cibo miracoloso, poi, aveva
con sé la grande benedizione di Gesù, e non poté non produrre anche nelle anime
qualche frutto spirituale, almeno in quelle meglio disposte.
Certo, in quel momento
regnava in quel luogo una grande pace, e satana doveva essere tanto lontano
dall’insidiare quelle anime.
Nel deserto aveva preteso
che Gesù oziosamente avesse mutato le pietre in pane; in questo altro deserto
avrebbe voluto mutare quel pane in pietre, perché la sua invidia ringhia quando
Dio ci benefica: ma l’onnipotenza di Gesù Cristo lo confondeva e dovette
preferire inabissarsi nell’Inferno.
Gesù Cristo non volle operare il miracolo senza la cooperazione degli apostoli,
e anziché far discendere il pane dal cielo, moltiplicò quello che c’era. Diremmo
quasi che ci diede la proporzione della nostra cooperazione alla sua grazia:
uno per mille, ovvero uno per duemila e cinquecento. Pretendere che Egli operi
in noi senza il minimo della nostra cooperazione è un’illusione.
Egli moltiplicò il pane e
i pesci per il cibo corporale, ma si può dire che prima aveva moltiplicato
anche il pane spirituale, facendosi ascoltare da tutta quella massa di gente.
La sua voce si doveva naturalmente disperdere in quel deserto, tanto più che il
brusio della moltitudine, provocato dai bambini e da altri, doveva soffocarla;
invece è evidente che l’ascoltarono tutti, diversamente non gli sarebbero
andati dietro con tanta premura. Il popolo andò per ascoltare la divina Parola,
trascurando le sue necessità, e Gesù vi provvide Egli stesso, mostrando così
con i fatti che chi cerca il regno di Dio e la sua giustizia ha per sovrappiù,
dalla Provvidenza, le cose temporali.
Il vivo Pan del cielo
Gesù Cristo, moltiplicando
il pane e i pesci, simboleggiò una moltiplicazione più bella, quella del Pane
eucaristico, quella del suo Corpo e del suo Sangue come sostegno nostro nel
deserto della vita.
Nell’Ultima Cena, Egli
operò come nel deserto: alzò gli occhi al cielo, spezzò il pane, lo diede ai
suoi apostoli, moltiplicò in essi la sua Presenza sacramentale, conferì loro il
potere di dare quel Pane di vita alle moltitudini sterminate delle cinque parti
del mondo in tutti i secoli. Ogni giorno noi assistiamo a questo miracolo nella
Santa Messa: Gesù ci parla dall’altare nel deserto della vita attraverso le
grandi voci della liturgia; dopo averci parlato, ci fa sedere alla sua mensa e
ci nutre di sé. Non dovrebbe mai avanzare questo Cibo di vita, e le pissidi
dovrebbero sempre vuotarsi. Certo, se il popolo avesse capito appieno il
miracolo che aveva avuto, avrebbe lasciato dodici panieri di avanzi? Ognuno
avrebbe portato con sé, come preziosissima cosa, il pane miracoloso, per cibarsene
ancora.
Rimangono piene le pissidi
quando sono vuoti i cuori, e quando non s’intende l’immenso beneficio del Dono
eucaristico. O caro Gesù, non permettere che ti siamo ingrati; donaci una
grande fame del Pane di vita!
Don Dolindo Ruotolo
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