Commento al Vangelo della XX Domenica TO 2013 C
(Lc 12,49-53)
Amore vero e sacrificio eroico
Molti hanno poetato sul nome di Roma,
dicendo che è un nome d’amore: Roma =
Amor. Essi non pensano però
che, considerata, nella sua vita pagana, Roma è un amore rovesciato che
equivale all’odio implacabile. Roma imperiale specialmente, ha disseminato il
mondo di rovine e di stragi, asservendo tutto al suo imperialismo tiranno e
alla fatua gloria di pochi capi. Tutte le storie, del resto, delle conquiste
umane hanno questa triste eredità di odio e di sangue.
Gesù
Cristo si proclama, invece, Conquistatore d’amore per il suo sacrificio cruento
e pone come base del carattere cristiano l’amore, il sacrificio eroico e la
carità. Egli è venuto a portare sulla terra il fuoco, non quello della distruzione
ma quello della carità e desidera solo che esso si accenda; è venuto a
portarlo, sottomettendosi Egli al completo sacrificio e ai dolori che dovevano
inondarlo come un battesimo, e l’amor suo glieli fa desiderare con ansia vivissima
che lo tiene in angustia finché non li abbia subìti tutti. Questo amore e
questo sacrificio Egli li lascia come bella eredità anche ai suoi seguaci,
poiché la conversione del mondo comporterà, per essi, il subire persecuzioni e
dolori persino dalle persone più care di famiglia.
Non
c’è dunque da illudersi: la predicazione del Vangelo, contrastando le passioni
umane, produrrà reazioni violente che saranno causa di gravi dolori agli
apostoli della divina Parola e a quelli che li seguiranno.
Questo fu già annunciato dai profeti, ed il vederne
il compimento dev’essere per tutti un argomento di verità. Gli scribi e farisei
si condannavano da se stessi, rifiutando la verità, poiché sapevano distinguere
gli aspetti del cielo dalle nubi o dal soffiare dei venti e non volevano
distinguere i segni inconfondibili della venuta del Messia, nelle stesse
persecuzioni che muovevano a Lui e ai suoi discepoli. Compivano essi stessi i
vaticini dei profeti, e non si accorgevano che il loro compimento era il
segno della maturità delle divine promesse.
L’allusione all’ostinazione degli scribi
e farisei nel rinnegare la verità è come un inciso al discorso di Gesù, ed Egli,
subito dopo, continua il suo annuncio profetico delle grandi persecuzioni che avrebbero
sofferte i suoi seguaci, esortandoli alla mansuetudine, alla prudenza e alla
carità. Era questa l’unica e grande forza alla quale dovevano far appello per
difendersi, perché il cristiano è figlio di pace e messaggero di carità; deve
cercare in tutto l’accordo, la tranquillità e la carità, evitando, con la
prudenza, quello che può inasprire gli avversari e renderli più violenti.
È
questo il programma della Chiesa, al quale essa rimane fedele nei secoli: di
fronte alla brutalità dei suoi nemici che vorrebbero soffocarla cerca sempre
l’accordo e la pace, e la sua diplomazia è sempre ispirata all’onore di Dio e
al bene delle anime.
Dev’essere questo lo spirito di ogni suo ministro e
di ogni suo fedele, poiché l’accordo con gli avversari, o almeno la prudenza
nel trattarli, quando si mostrano incapaci di un accordo, salva il bene
dall’estrema distruzione. Dalla parabola che Gesù dice è evidente che Egli non
vuole che i suoi seguaci siano amanti di liti, poiché nelle liti ci sono le
dissensioni, le avversioni, gli odi, e questo sta agli antipodi del bene che
bisogna fare alle anime. Anche quando si ha ragione, in una lite che non
compromette l’anima o la coscienza, bisogna cedere, per non correre rischio
d’incontrare impedimenti nel fare il bene, e per evitare d’averne la peggio
anche innanzi ai giudici, come spesso avviene.
Padre Dolindo Ruotolo
PP
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