Commento al Vangelo: Assunzione della B.V. Maria C 2013 (Lc 1,39-56)
L’incontro con santa Elisabetta
Maria si pose in viaggio per le vie
deserte dei monti e camminava frettolosamente. Cercava la solitudine, perché
aveva un gran bisogno di amare in silenzio, e correva perché era quasi come
spirito e non avvertiva il peso del corpo.
Chi
ha provato un momento d’intimo amore con Dio sa quanta vita esso trasfonde in
tutto il corpo, rendendolo più sottomesso all’anima, più docile strumento dello
spirito; questa vita dovette essere immensa in Maria, tutta avvolta dalla
fiamma dell’eterno Amore. Non poggiava quasi sul suolo e, come colomba librata
al volo, divorava la via. Correva senza affannare, spinta come da un vento,
perché la creazione le faceva quasi riverenza, e l’aria stessa si apriva
innanzi a Lei, per non opporre resistenza ai suoi passi. Correva, esultando nel
suo spirito, con passo sicuro e senza timore, perché la gioia pura dell’anima
dà anche al corpo un novello vigore e una maggiore decisione nei suoi movimenti.
I suoi sentimenti si arguiscono da quelli espressi a santa Elisabetta,
espressione magnifica dell’anima sua benedetta: glorificava Dio, esultava in
Lui Salvatore, vivente nel suo seno, si umiliava e considerava la sua grande
missione nei secoli, attribuiva al Signore tutta la propria grandezza, e
considerava le conseguenze della misericordia fatta da Dio alla terra, la
dispersione dei superbi, l’umiliazione dei grandi e l’elevazione degli umili.
Era piena di Dio, conversava con Lui, lo amava d’intenso amore, piena di riconoscenza
per il compimento delle promesse da Lui fatte ad Abramo e alla sua discendenza;
cantava nell’esultanza del suo spirito, ed esplose nella pienezza del suo amore
innanzi alla santa cugina.
Il saluto di
Maria
Giunse
presto in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta, dice il Sacro Testo. Non salutò il consorte di lei o
per delicatezza, sapendolo muto e non volendolo mortificare parlando, o perché
sapeva che era momentaneamente assente. Salutò con le parole allora più in uso.
La pace sia con te, o
con altra simile espressione e, al suono della sua voce, il bambino di
Elisabetta trasalì di gioia nel seno di lei, ed ella fu ripiena di Spirito Santo.
La
voce benedetta di Maria era come la voce stessa del Verbo Incarnato in Lei,
perché Egli ne possedeva e ne elevava tutta la vita; era voce santa e
santificante che operò quello che diceva come augurio di pace e, operandolo
nello stesso tempo, santificò il Battista nel seno materno, e ne santificò la
madre, riempiendola di Spirito Santo.
Elisabetta vide Maria nello splendore della sua
sovrumana bellezza e ne rimase profondamente colpita. Il cammino, fatto
sollecitamente, le aveva anche fisicamente ravvivato il colore del volto:
l’espansione con la quale le si rivolse aveva fatto come affiorare tutta
l’anima sua nelle linee del corpo purissimo; era come un’opera d’arte mirabile,
un misto di semplicità e di maestà grande, un insieme di umiltà e di gloria,
un’armonia di gioia profonda e di compostezza imperturbabile; era bellissima
come non lo fu mai nessuna creatura, e rapiva perché spirava santità e pace da
ogni movimento e da ogni parola.
Era
ancora fanciulla: aveva poco più di quindici anni e, benché fosse già sviluppata,
portava nella sua persona la casta e affascinante ingenuità propria
dell’adolescenza. Era come un fiore aperto alla vita e, perché aperto per virtù
dello Spirito Santo, conservava intatto quel candido fulgore d’integrità che è
proprio delle vergini. Sembrava un angelo del Paradiso, più di un angelo,
fulgente nei raggi della divinità che in Lei riposava, e diffondeva intorno una
soavissima unzione di grazia che saziava lo spirito e lo inebriava d’amore
verso di Dio. La sua voce non era voce di creatura umana: aveva qualcosa di misterioso,
penetrava il cuore come grazia, e lo pacificava con una grande soavità; era
come una melodia sommamente espressiva, tratta da uno strumento dolcissimo.
Il saluto di santa Elisabetta
Santa
Elisabetta, perciò, al vederla così grande e così bella, esclamò per ispirazione
interna dello Spirito Santo: Benedetta sei tu fra le donne, e benedetto il
frutto del tuo seno. L’abbracciò, la strinse al cuore quasi con effusione
materna, perché ella era già avanzata di età; ma, nello stringerla, sentì in
lei qualcosa di divino, capì per grazia il mistero della sua Maternità divina,
sentì che abbracciava la Regina
del cielo e soggiunse: E da dove viene a me questa grazia che la Madre del mio Signore, cioè del mio Dio fatto uomo
per la salvezza di tutti, venga a me?
Con
queste ispirate parole fu come scolpita per i secoli la testimonianza della divina
Maternità di Maria e della sua ineffabile grandezza. Ella non è indifferente ai
salvati dal Redentore: lo porta loro, lo dona, effonde la sua grazia e la sua
misericordia, dona la sua gioia, santifica in suo nome, ed è inseparabile da
Lui nell’opera della salvezza.
Se
fosse stata solo un canale per il quale passò il Redentore – come dicono stoltamente
i poveri protestanti –, Elisabetta, ripiena dello Spirito Santo, si sarebbe
rivolta non a Lei ma al Figlio divino che le stava nel seno; ella, invece, la
esaltò benedetta fra le donne, e
chiamò Frutto suo il Redentore, Frutto della sua pianta purissima che, evidentemente,
Ella sola poteva dare. La pianta non è un semplice canale del frutto, lo
genera, lo nutre, lo matura e lo dona; bisogna andare dalla pianta per averlo
e, senza la pianta, è impossibile coglierlo.
Elisabetta
vide in Maria tutto quello splendore di vita, e lo paragonò inconsciamente
all’umiliante abbattimento nel quale il suo sposo, muto e sordo era venuto da
lei dopo la visione dell’angelo, capì che la fede nella parola dell’angelo
aveva realizzato in lei il grande mistero, come l’incredulità del marito gli
aveva causato la mutezza e la sordità. Psicologicamente quell’infermità del
marito le era stata motivo di non pochi fastidi nel governo della casa, e
quindi esclamò: Te beata che hai creduto poiché si adempiranno le cose dette
a te dal Signore.
Il cantico sublime di Maria
Maria,
a quelle parole di lode, sentì l’anima sua tutta tratta in Dio; l’umiltà le
dava il senso della sua nullità innanzi a Lui; la riconoscenza le faceva
attribuire tutto alla sua infinita misericordia; la luce divina che la
illuminava le faceva guardare i suoi disegni su di Lei e i trionfi delle sue misericordie
nei secoli, fino alla fine del mondo; perciò, elevando gli occhi al cielo,
esclamò: L’anima mia magnifica il Signore.
Mai
uscì da labbro umano un cantico più sublime di gioia; mai un cuore si aprì a
Dio con tanto riconoscente amore; mai l’umiltà più profonda fu armonizzata così
mirabilmente con la verità, in modo da formare una melodia di annientamento e
di grandezza, di piccolezza e d’immensità, di bontà e di forza che affascina
l’anima e la unisce alla gioia e ai sentimenti di Maria.
Le
reminiscenze scritturali del cantico di Anna, dei salmi e dei profeti che si trovano
nel sublimissimo cantico non mostrano solo la familiarità di Maria con le Sacre
Scritture, ma sono come la luce delle profezie e delle figure passate che
s’incontrano con la realtà e col compimento delle promesse di Dio e, lungi
dall’offuscare l’originalità del canto, lo rendono nella sua concisa semplicità
più splendente e più bello. Esso è come il fiore di tutto l’antico patto ed è
la gemma feconda del nuovo; è il compimento delle antiche speranze e la
speranza nelle nuove misericordie; è la sintesi delle compiute aspirazioni del
passato, è un rapido sguardo alla storia del futuro, fino al compimento dei secoli,
è il programma della vita di un’anima redenta e la sintesi delle sue elevazioni
d’amore; è, infine, lo sprazzo fulgente della vita del Verbo Incarnato e della
medesima Madre che lo portava nel seno. In tutta la storia del regno di Dio è
una voce sempre viva, in tutto lo sviluppo della Chiesa è un programma sempre
attuale, in tutte le ascensioni dei santi, è una voce sempre armoniosa che può
raccogliere in un suono d’amore le mirabili armonie della grazia in loro; è un
cantico fecondo e verginale, come il Cuore dal quale sgorgò ricco di
significati e semplice nella sua espressione che la Chiesa canta e ricanta ogni
giorno, senza che esso esaurisca la sua gioiosa e fresca scaturigine, è il
canto dei pellegrini che vanno verso la Patria eterna, degli apostoli che percorrono la
terra diffondendo il lieto messaggio, dei martiri che attestano la verità col
loro sangue, dei confessori che la propagano, delle vergini che la vivono, dei
contemplativi che la gustano, degli angeli che la esaltano, delle creature
tutte nelle quali ha echi d’amore, ed è nota squillante del cantico eterno
nell’eterna gloria.
Se
si recita, è una preghiera soave; se si canta è un inno trionfante che lancia
lo spirito esultante in Dio; se si medita è come orto fiorito, ricco di profumi
celesti. Ha un sapore sempre nuovo, un fascino sempre vivo, una delicatezza
sempre verginale che i secoli non hanno potuto mai invecchiare, perché è un
cantico di vita. Che gioia, o Vergine Santa, ricevere la grazia, ricevere Gesù
e poter cantare con te: Magnificat anima mea Dominum! Che pace trovarsi
sul Calvario della prova e poter ripetere con te, anche lacrimando, nella piena
rassegnazione del cuore: Magnificat anima mea Dominum! Che dolcezza
interiore elevarsi a Dio, sprezzando le gioie del mondo, e ripetere nel volo
dell’anima al Bene eterno: Magnificat anima mea Dominum! Che poesia
d’amore recitare con la Chiesa le grandi preghiere liturgiche, sentirsi sazi di
elevazioni interiori, e volgere tutta l’anima a Dio in questo canto dell’anima
tua, o Maria: Magnificat anima mea Dominum! Che conforto nelle aridità
dello spirito, quando la povera nostra fontana si è come essiccata e non dà una
goccia, ravvivare la scaturigine del cuore con questo tuo canto, e dare la vita
alla povera terra inaridita: Magnificat anima mea Dominum!
Anche a costo di dilungarci, noi non
possiamo passare oltre senza dare almeno uno sguardo fugace a questi aspetti
luminosi del cantico di Maria, e a dilettarci nella molteplice rifrazione di
questa gemma preziosissima del Nuovo Patto.
Non
possiamo non commentare il profondo significato di questo canto d’amore che c’è
stato donato per cantare a Dio la riconoscenza del nostro amore, perché uniti
alla voce verginale della Mamma nostra, possiamo essere meno ingrati all’Amore
che per noi discese dal cielo, e per amore ci redense col suo preziosissimo
Sangue.
San
Zaccaria non credé all’angelo e rimase muto e sordo fino al compimento della
promessa; Maria credé e parlò, anzi cantò con una melodia che abbracciò tutti i
secoli. Noi, figli suoi, cantando con Lei viviamo della sua grande fede,
partecipiamo alla beatitudine del suo Cuore: Beata quae credidisti, e ci rendiamo meno inetti al
compimento dei disegni di Dio in noi.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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