Commento al Vangelo della XXI Domenica TO 2013 C (Lc 13,22-30)
Sforzarsi di giungere al Cielo
Mentre Gesù s’incamminava verso
Gerusalemme, un uomo gli domandò se erano pochi quelli che si salvavano. Perché
gli fece questa domanda? Forse perché, avvicinandosi a Gerusalemme, considerò i
peccati dell’ingrata città, o considerò i ruderi delle rovine causate dalle
antiche guerre; forse anche perché avvicinandosi al centro, si constatava di
più nel popolo il rilassamento e la corruzione.
Gesù
Cristo non rispose direttamente alla questione proposta, perché essa non interessava
gli uomini ma Dio. Che importa, infatti, a noi, sapere se sono pochi o molti
quelli che si salvano? Ciò che è necessario, per noi, è salvarci e, poiché non
c’è un destino di perdizione per alcuni o di salvezza per altri, salvarci
dipende dal nostro sforzo nel fare il bene e dal nostro filiale appello alla
divina misericordia.
Più
che sapere il numero degli eletti, bisogna sforzarsi di appartenervi, senza
presumere di poter avere una posizione di privilegio nel Paradiso solo perché
la si è avuta sulla terra, facendo parte del popolo eletto. È questo il senso
fondamentale della risposta di Gesù. Egli esortò ad entrare in Cielo per la
porta stretta, cioè
per la via delle rinunce alle passioni disordinate e della fedeltà alla divina
Legge.
Il
mondo crede stretta e opprimente questa via, e Gesù la chiama stretta in
questo senso, ma, in realtà, la vera porta stretta e opprimente è quella del
male, perché stringe l’anima nei lacci della più terribile schiavitù. La porta
del Cielo appare stretta, ma in realtà è immensamente larga e bella; basta
introdurvisi per intenderlo.
Porta
stretta può chiamarsi
anche l’ultimo epilogo della vita, quando si va a Dio con quello che si è
operato, ed essendo finito il tempo della prova, non si può mutare più la propria
condizione.
La
giustizia divina allora è come una stretta, una valutazione precisa, evidente e perciò
inappellabile della vita. Molti, in quel momento, vorrebbero entrare, cioè vorrebbero mutare la
loro condizione, ma non lo potranno perché sarà chiusa la porta, sarà finita la vita del
tempo, e non si potrà presumere di ricominciarla. Il pensare, come fanno tanti
stolti, che dopo la morte si possa riprendere, in altro modo e in una nuova
esistenza terrena, il cammino sulla vita, è una fantasia pericolosa; quando si
è giunti si è giunti, e quando si è chiusa la porta della vita non c’è altra alternativa:
o si rimane dentro col Padre di famiglia a godere, o si rimane fuori,
nell’eterna perdizione, a soffrire.
Rivolgendosi
direttamente al popolo ebreo, Gesù fa notare che la sua posizione di privilegio
tra i popoli della terra non costituiva un titolo per il conseguimento
dell’eterna gloria. Se non avranno operato il bene, si troveranno così lontani
da Dio nell’eternità, com’è lontano dal padrone di casa uno che gli è
completamente sconosciuto; saranno riguardati puramente e semplicemente come
operatori d’iniquità, e saranno condannati alla perdizione eterna, lontani dai
loro santi, e lontani anche da tutte le creature salve che verranno da ogni
parte del mondo.
Avverrà
allora che gli ultimi chiamati da Dio nel suo regno saranno i primi, e
che i primi, cioè tanti che fanno parte del popolo eletto, chiamato per primo
da Dio, saranno gli ultimi.
La
via della salvezza è stretta, perché molti la insidiano e cercano di porvi
ostacoli. C’è nel mondo una strana inimicizia contro tutto quello che è bene,
un’inimicizia che viene da suggestioni diaboliche, e che a volte abbindola
anche i buoni, rendendoli strumento di male involontariamente.
È
necessario tirare dritto e guardare l’ultima Meta che dobbiamo raggiungere.
Padre Dolindo Ruotolo
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