Commento
al Vangelo – IV Domenica del T.O. 2014 A (Lc
2,22-40)
La
presentazione
al
tempio
Maria Santissima, essendo
purissima Vergine e Madre di Dio, non era soggetta alla legge della
purificazione né a quella della presentazione e del riscatto del suo
Figlio divino. La donna, infatti che partoriva un maschio era
considerata immonda per 40 giorni per tutto quello che di macchiato e
di sensuale accompagna la generazione, e il figlio primogenito era
considerato, per legge, appartenente a Dio e non poteva essere della
madre senza che ella lo avesse riscattato. Ora, Maria aveva generato
per opera dello Spirito Santo, senza che il parto stesso avesse
minimamente violato la sua verginità immacolata; Gesù, poi, come
vero Figlio di Dio, non aveva bisogno né di essergli consacrato né
tanto meno di essere riscattato. Egli, però, e la sua Santissima
Madre si sottoposero alle usanze legali per umiliarsi e per darci
l’esempio di ogni virtù, e quindi vollero comparire innanzi al
mondo come creature qualunque.
D’altra parte, era logico che
fosse così, dato che non era ancora giunto il momento di far
conoscere il grande mistero che si era compiuto; ora, se Maria non
fosse andata al tempio e non avesse offerto Gesù, sarebbe apparsa
agl’ignoranti come una violatrice della Legge, il che Dio non volle
permettere. Ella, in realtà, più che purificarsi, andava a
purificare, profumando di purezza immacolata la terra e il tempio
delle figure e delle promesse; più che offrire a Dio il Figlio
divino che già gli apparteneva, lo offriva alla terra come Redentore
e Re d’Amore; si umiliava legalmente, ma era Regina nel compiere la
Legge e i Profeti.
La sacra Famiglia giunse al
tempio, attraversò l’atrio dei pagani e l’atrio delle donne, e
salì i quindici scalini che portavano all’ingresso posto tra
l’atrio delle donne e quello degli Israeliti. Il sacerdote di turno
al tempio asperse Maria col sangue di una vittima, e fece su di Lei
alcune preghiere. Maria era curvata, tutta soffusa di ineffabile
purezza, tutta santa, fiore purissimo, aspersa di sangue come di
rugiada di umiltà. Subito dopo fece l’offerta prescritta che
consisteva, per i meno poveri, in un agnello di un anno, dato in
olocausto, e di un colombo o di una tortora, e per i poveri in due
colombi o due tortorelle.
Maria scelse l’offerta dei
poveri, perché era povera; ma, in realtà, Ella non poteva offrire
l’agnello, avendo nelle braccia il vero Agnello di Dio, non poteva
dare un simbolo quando ne presentava il compimento. Era andata al
tempio sotto le apparenze dell’umiliazione legale, ma in realtà
Ella compiva, in quel momento, le figure e le profezie del passato, e
donava al Trono di Dio la vera Vittima per i peccati degli uomini.
Per il riscatto del primogenito
si versava un obolo di cinque sicli; cinque monete ridonavano il
figlio alla madre e al padre, i quali venivano così a riconoscere il
diritto di Dio sulle sue creature. Maria presentò il Figlio divino
al Padre, ed offrì i cinque sicli per riaverlo; era l’ultima
figura che splendeva nel tempio, poiché quei cinque sicli
adombravano le cinque piaghe con le quali il Redentore avrebbe
riscattato l’uomo per darlo a Dio. Gesù Cristo, coperto della
veste dei nostri peccati, rappresentava, in quel momento l’uomo e,
riscattato con i cinque sicli, esprimeva in sé il riscatto che
avrebbe avuto l’uomo; Egli era il Redentore che doveva riscattarlo
ma, offrendosi a Dio con la veste dei nostri peccati, rappresentava,
innanzi a Lui, l’uomo peccatore, e lo segnava simbolicamente nel
prezzo del riscatto che Egli stesso gli avrebbe dato con le sue
piaghe e la sua morte.
Il santo vecchio Simeone
Il grande mistero che si compiva
sarebbe sfuggito a tutti, se un santo vecchio, chiamato Simeone, non
l’avesse svelato per ispirazione divina. Egli era decrepito, giusto
e timorato di Dio,
cioè, secondo
il testo greco, santo
e contenzioso osservatore di tutto ciò che riguardava la religione.
Aveva passato la
vita aspettando
la consolazione d’Israele,
ossia il
Redentore, ed aveva pregato intensamente perché il tempo della sua
venuta fosse abbreviato. Ora, nelle sue preghiere aveva avuto dallo
Spirito Santo, per ispirazione interna, la rassicurazione che non
sarebbe morto senza vedere il Messia. Essendo egli molto vecchio, la
rassicurazione equivaleva ad un annuncio dell’imminente compimento
delle promesse divine.
Nel giorno nel quale Gesù fu
presentato al tempio Simeone sentì una di quelle ispirazioni interne
alle quali è difficile resistere: avvertì una profonda gioia
nell’anima, un senso di raccoglimento e, nel medesimo tempo,
un’espansione di cuore che gli faceva volgere il pensiero a Dio,
pregando con facilità, con impeto d’amore e con la sicurezza di
essere esaudito. Sono infatti questi i sentimenti che comprendono
un’anima circonfusa da una luce speciale dello Spirito Santo. Era
attratto verso il tempio e si
sentiva un
vigore particolare in tutta la persona che lo spingeva come se fosse
stato sorretto. Uscì in fretta, andò alla casa di Dio e vi trovò
Maria, Giuseppe e il Bambino divino.
Fu una visione per Lui: l’umiltà
e il candore della Madre Immacolata erano come aureola di luce
intorno al Bambino che aveva tra le braccia; il raccoglimento e la
semplicità di san Giuseppe
erano come
profumo di fiori che lo adornavano; egli capì subito il mistero
dell’Infante divino, e domandò, in grazia, di prenderlo fra le
braccia. Lo prese e si sentì tutto vivificare dalla grazia; il cuore
gli ardeva nel petto e lo Spirito Santo gli effondeva nella mente una
grande luce di verità. Volse gli occhi al cielo e, sostenendo il
Bambino, esclamò: Ora
lascia che se ne vada in pace il tuo servo, o
Signore, secondo
la tua parola, perché gli occhi miei hanno visto la tua salvezza, da
te preparata al cospetto di tutti i popoli, luce per illuminare le
nazioni, e gloria del popolo tuo Israele. Parlò
tutto d’un fiato, senza interrompersi e senza posare, come san
Zaccaria nel suo cantico; le idee erano in lui non una riflessione ma
una gran luce, e fluivano da lui come un fascio di splendori che
niente poteva arrestare.
L’accento ispirato col quale
Simeone parlava era così solenne che Maria e Giuseppe rimasero
meravigliati delle cose che si dicevano di Gesù. Non
si meravigliarono che Simeone le avesse dette – come spiegano
alcuni interpreti –, ma si stupirono di ciò che egli diceva del
Bambino, come dice esplicitamente il Sacro Testo. Essi avevano una
fede immensamente più grande di quella di Simeone, e conoscevano più
profondamente quello che egli diceva; ma è proprio della fede il
godere della luce che conferma la verità, e l’ammirarne di più
l’armonia nei riflessi che essa spande d’intorno. Maria e
Giuseppe vivevano più ardentemente di quello che credevano, poiché
la conferma che ne dava Simeone era per la loro mente una luce viva e
per il cuore una fiamma d’amore.
Simeone era vecchio, e come tale
sentiva un senso di paternità per quelli che erano giovani, e
un’espansione di bontà verso di loro. Vedendo Maria e Giuseppe in
un grande raccoglimento d’amore, ne fu maggiormente intenerito, e
li benedisse con l’effusione affettuosa di un vecchio pieno di
bontà. Preso poi da una nuova ispirazione, si rivolse a Maria e le
disse in tono solenne, parlando di Gesù: Ecco
che questi è posto come rovina e come risurrezione di molti in
Israele, e per segno di contraddizione e la tua stessa anima sarà
trapassata da una spada, e così verranno svelati i pensieri di molti
cuori.
In poche parole aveva tracciato
il cammino doloroso del Redentore e quello di sua Madre: in Israele,
molti gli avrebbero creduto e si sarebbero salvati, ma molti
l’avrebbero rinnegato e si sarebbero perduti; Egli sarebbe stato
segno di contraddizione delle autorità costituite e per le anime
prive di rettitudine; l’anima di Maria, poi, sarebbe stata
trapassata da una spada di amarissimo dolore nelle contraddizioni del
Figlio e nella sua dolorosa morte.
Le contraddizioni opposte al
Redentore sarebbero derivate da malanimo, e perciò avrebbero svelato
la malignità di quelli che le avrebbero opposte.
Così avvenne a Gesù e così
avviene in ogni tempo alla sua Chiesa, Corpo mistico nel quale
continua la sua opera salvifica e la sua Passione: quelli che non
seguono la verità si perdono, e traggono motivo di dannazione da
quello stesso che dovrebbe salvarli.
La Chiesa è segno di perenne
contraddizione da parte degli empi di tutti i secoli, e l’anima sua
è trapassata dalla spada del dolore morale in mezzo alle
persecuzioni violente e sanguinose. È così che si manifestano i
pensieri di molti, e si rivelano le loro intenzioni.
Esulta
Anna, una santa donna del tempio
Mentre Simeone si estasiava di
gioia, tenendo nelle braccia Gesù Bambino, sopraggiunse una santa
donna chiamata Anna, vecchia di ottantaquattro anni che stava nel
tempio giorno e
notte che abitava,
cioè, in qualche stanza annessa al tempio, prestava i suoi servigi,
e si tratteneva in continue preghiere e digiuni, implorando il
compimento delle divine promesse. Questa donna, rimasta vedova dopo
sette anni di matrimonio era rimasta vedova fino a ottantaquattro
anni e, come può rilevarsi dal contesto, si era data ad un santo
apostolato fra le anime che frequentavano il tempio, mantenendo
acceso in loro il desiderio della venuta del Messia. Nel Sacro Testo
è detto, infatti, che ella, dopo averlo visto Bambino, parlava
di Lui a tutti quelli che aspettavano la redenzione d’Israele;
dunque, aveva
relazioni di apostolato con le anime più rette, e parlava loro dei
disegni di Dio. Era chiamata la profetessa proprio per questo, e
raccoglieva le confidenze di quelli che più erano oppressi dalle
pene della vita, incoraggiandoli con la speranza dell’imminente
redenzione.
Come Simeone, anche Anna si sentì
tratta al tempio da un’ispirazione interiore e, poiché aveva
familiarità con le misteriose operazioni di Dio, sentì subito nel
cuore un impeto di gioia che la fece erompere in benedizioni e lodi
al Signore che aveva mandato il Redentore.
Era misterioso e commovente che
due vecchi avanzatissimi negli anni rendessero testimonianza al nato
Messia; essi rappresentavano l’antico patto che confermava la
verità di ciò che si era compiuto.
Il piccolo Infante era una
visione divina,
poiché era Dio,
e l’opera che veniva a compiere era diretta all’eterna
beatitudine e
felicità di
quelli che vi avrebbero creduto e si sarebbero salvati. Con quel modo
delicato col quale Dio dispone tutto con sapienza, si può dire che,
nella soave scena della presentazione al tempio, fosse quasi scolpita
l’epigrafe vivente di quello che avveniva: Il
Verbo di Dio è disceso dal cielo fatto obbediente alle sue creature.
Dio ha esaudito il sospiro dei popoli, ed ha effuso la misericordia e
la grazia. Vedete nel piccolo Infante il Signore medesimo che viene a
ridonare agli uomini la pace e la beatitudine eterna. Ecco il
Salvatore, Gesù, ecco la Signora del mondo, Maria che avvicina le
anime alla vita, ecco il popolo nuovo che si accresce, Giuseppe, e
come vigoroso rampollo germina e si dilata. Si compiono le antiche
promesse, i Profeti e la Legge, lodate il Signore!
Questa non è una fantasia più o
meno ingegnosa, poiché Dio, attraverso gli eventi della nostra
piccola terra, scrive sempre le pagine scultoree delle sue meraviglie
e della sua gloria, e le piccole creature che passano, attraverso i
secoli fugaci che s’incalzano, sono come granelli d’arena nei
quali rifulgono, in un modo o in un altro, come riflessi di sole, i
disegni di Dio.
Nel Cielo saremo stupiti di
vedere un’armonia stupenda in tutto il groviglio delle vicende
umane, e una mirabile affermazione della gloria di Dio anche in
quello che ci sembra rovinoso. Curviamo la fronte, adoriamo,
preghiamo e, invece di turbarci negli eventi del mondo, attendiamo
fiduciosi la rivelazione della gloria di Dio.
È questa la sintesi d’una
giornata veramente cristiana. Rechiamoci anche noi, ogni giorno, al
tempio di Dio, offriamo Gesù al Padre per le mani della Chiesa,
presentiamolo come nostro dono, facciamoci circoncidere nel cuore dal
suo amore, facciamoci purificare dalla sua misericordia, e viviamo
nell’aspettazione del regno di Dio. Non concepiamo la vita come una
corsa di folli, o come una bolgia di crudele disperazione; la vita è
preparazione alla vita eterna, è compimento della divina,
amorosissima volontà di Dio in noi, ed è riposo nel suo amore
nell’attesa della risurrezione. È un Benedictus,
un Magnificat
e un Nunc
dimittis;
quando, invece,
si deforma nel peccato e nella trasgressione della divina Legge è
una maledizione, una disperazione ed una morte eterna. Oh! Dio ci
liberi dallo spirito del mondo, e ci faccia raccogliere, amando, i
tesori che la sua misericordia ci ha donati nella redenzione!
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo