Commento
al Vangelo: Santissima Trinità A 2014 (Gvv3,16-18)
Don
Dolindo Ruotolo
La
redenzione è misericordia di Dio
Nicodemo
pensò allora ai pagani che opprimevano il popolo ebreo, pensò alle
scelleratezze da essi commesse, e al giudizio terribile che
meritavano, e dovette domandarsi internamente: Come si concilia
questa misericordia universale col giudizio severo promesso agli empi
nelle Sacre Scritture? Il suo spirito, abituato a considerare i
pagani come una massa dannata, e il popolo ebreo come l’unico erede
della promessa, abituato a concepire il Messia come un re terribile e
inesorabile che doveva schiacciare e annientare i nemici d’Israele,
non sapeva capire come potesse attuarsi la redenzione senza una
condanna inesorabile del mondo. Fu un pensiero che gli dovette
sorgere in mente come un lampo, e può arguirsi dalla risposta di
Gesù: «Dio
non ha mandato il suo Figlio nel mondo per condannarlo, ma perché il
mondo per mezzo di Lui sia salvato».
Il
Giudizio severo ci sarà non contro le altre stirpi o nazioni, ma
contro chi non crede in Lui; e
non sarà neppure un giudizio fatto con apparati esterni di grandezza
o di forza, poiché chi non crede nel Figlio di Dio, non usufruendo
della sua misericordia, può dirsi già giudicato, perché rimane nel
suo peccato e da se stesso si condanna, non avendo come risorgere ed
avere la vita eterna.
Il
Giudizio
–
soggiunge Gesù per stabilire definitivamente l’esclusione assoluta
di ogni principio di razza o di nazionalismo dal concetto della
redenzione –, non riguarda più la massa umana decaduta, perché la
redenzione la rialza; riguarda gli uomini singolarmente che, avendo
la luce, preferiscono le tenebre alla luce e
operano il male. Gli ignoranti, e quelli che senza loro colpa non
hanno la luce e operano naturalmente il bene, troveranno un giudizio
di misericordia, i cui limiti li conosce Dio solo, ma quelli che
facendo il male odiano la luce, e non vi si accostano, positivamente,
per non sentire rimorso e non sentirsi rimproverare, saranno già
giudicati, trovandosi fuori del regno di Dio. Chi opera secondo
verità,
cioè
secondo la legge naturale posta da Dio nel cuore umano, si accosta
alla luce appena la vede e non ne ha timore, perché cerca il bene,
simile a colui che, operando onestamente, non teme, come i ladri, la
luce del giorno e, anzi, ha piacere di essere visto nelle opere buone
che fa.
La redenzione non è un trionfo politico…
È
questa dunque la retta idea del Messia e l’economia della
redenzione, espressa dal discorso di Gesù a Nicodemo: non si tratta
di un trionfo politico esterno, riservato al solo popolo ebreo, ma di
una rinascita spirituale nell’acqua del Battesimo e nello Spirito
Santo, possibile a tutti gli uomini. Le idee di un diritto al regno
di Dio conseguente alla generazione della carne e alla discendenza
naturale dal popolo ebreo non reggono poiché il vero popolo eletto
sarà quello formato dallo Spirito Santo per la grazia, sarà la
Chiesa universale.
È
questo ciò che hanno annunciato i profeti, ed è questo che annuncia
Gesù, portando sulla terra, piena e completa la luce di Dio. Egli
non è semplicemente un uomo eletto e privilegiato, è Colui che era
in principio presso di Dio, è disceso in terra facendosi uomo, e non
ha cessato di essere in cielo, essendo anche vero Dio. È disceso in
terra per immolarsi ed essere innalzato sulla croce, e per salvare
col suo sacrificio tutti gli uomini. Egli non limita il suo
sacrificio ad alcuni soltanto, ma dà la pienezza della redenzione e
dei meriti a tutti; tocca agli uomini usufruirne, credendo in Lui e
incorporandosi a Lui nella sua Chiesa. Dio, invece di colpire il
mondo con un giudizio ed una condanna inesorabile, com’esso
meriterebbe, gli dà la massima testimonianza d’amore, donandogli
il suo Figlio, e glielo dona perché sia salvato credendo in Lui,
operando per Lui il bene e osservando i suoi precetti.
La
redenzione, quindi, non è un giudizio di condanna ma un dono di
misericordia; solo chi non l’accetta si condanna da se stesso.
Chi
non conosce la redenzione senza sua colpa è già un redento poiché
il Redentore ha salvato tutti ed ha pagato per tutti, virtualmente,
il prezzo del riscatto. Se opera il bene, anche naturalmente, e vive
secondo i dettami della legge naturale, appartiene all’anima della
Chiesa e trova misericordia. Perisce chi, conoscendo la luce,
preferisce ad essa le tenebre e vive da malvagio, odiando la luce per
non lasciare la vita perversa che mena.
Come
si vede, il discorso di Gesù non è involuto, è completo nella sua
mirabile sintesi, degna della sua mente divina. Egli, poi, parlando,
come abbiamo detto, lo illuminava della sua luce e penetrava
profondamente l’anima di Nicodemo.
Il
Sacro Testo non ci dice che cosa abbia detto Nicodemo in fine del
discorso, ma questa medesima reticenza ci fa capire che rimase in
silenzio profondo, tutto compreso della verità che lo illuminava.
Per la prima volta da quando approfondiva la legge, aveva avuto
un’idea chiara sul Messia e sulla sua divina Missione. L’anima
sua ardeva in quel momento, poiché un mondo nuovo gli si era aperto
davanti. Egli, allora, non seguì materialmente Gesù, ma gli rimase
attaccato, e si propose di osservare attentamente come si sviluppasse
la sua missione. Quando il sinedrio decise di far catturare Gesù e
ucciderlo, egli insorse per difenderlo, protestando che, secondo la
Legge, non lo si poteva condannare senza
ascoltarlo (7,50-51).
Era ancora impressionato dal discorso di quella notte, e sperava che
il sinedrio, parlandogli direttamente, si sarebbe ricreduto sul suo
conto.
Rimase
sempre… di
notte,
è
vero, non osando apertamente schierarsi per il Redentore, ma lo fece
con animo retto, stimando che, come parte dell’autorità suprema,
egli non poteva impegnare il proprio giudizio in un fatto che aveva
tanti aspetti di innovazione religiosa. Credé di attendere in un
prudente riserbo, e il Signore lo compatì, nella sua misericordia.
Ma, quando seppe che Gesù era stato crocifisso, e lo vide pendente
dalla croce, allora certamente si ricordò delle solenni parole
ascoltate nella beata notte nella quale gli aveva parlato: Come
Mosè innalzò il serpente nel deserto, così è necessario che sia
innalzato il Figlio dell’uomo,
la
sua fede si scosse, germinò, fiorì, e volle egli insieme a Giuseppe
d’Arimatea togliere il Corpo divino dalla croce, diventando subito
un seguace aperto del Maestro divino (19,39-41). Staccando il Corpo
divino dalla croce, ne contemplò le piaghe e, commovendosi, si
sdegnò contro il sinedrio che l’aveva così martoriato, ne
contemplò la calma divina, ravvisò in quel volto l’amore col
quale gli aveva parlato in quella notte e, staccandosi
definitivamente dal sinedrio, si unì alla Chiesa nascente.
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