Commento
al Vangelo: Corpus Domini 2014 A (Gv 6,51-58)
Io
sono il Pane della vita
Stabiliti
i
fondamenti
del dono ineffabile che voleva elargire agli uomini, Gesù Cristo ne
parla più determinatamente, perché non si fosse potuto equivocare
sulla sua reale natura, ed esclama: Io
sono il Pane della vita;
non
della vita materiale ma di quella spirituale; e poiché gli Ebrei
avrebbero desiderato vedere un prodigio come quello della manna nel
deserto, Gesù mostra la superiorità del Pane della vita sulla
manna, soggiungendo: I
vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il
Pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Io sono il
Pane vivo che sono disceso dal cielo. Chi mangerà di questo Pane
vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita
del mondo.
La
manna era un cibo che sosteneva la vita del corpo, ma non liberava
dalla morte; il Pane vivo disceso dal cielo, invece, sostiene una
vita immortale, quella dell’anima, e la libera dalla morte eterna,
salvandola per sempre nella felicità eterna; questo pane, poi, è la
carne stessa del Redentore, quella che Egli darà per la vita del
mondo sulla croce e che sarà data continuamente nel sacrificio
dell’altare per la vita delle anime. Non si poteva, dunque,
equivocare in nessun modo: Gesù parlava non di un simbolo della sua
Carne ma della sua vera Carne, poiché Egli non la offrì
simbolicamente ma veramente e sanguinosamente sulla croce. Gli Ebrei
lo capirono perfettamente, e se ne stupirono discutendo fra loro e
dicendo: Come
mai può Costui darci da mangiare la sua carne? Se
la divide fra noi muore, e allora come può chiamarsi più
pane vivo?
Come
mai può darcela viva? Se le parole di Gesù non avessero avuto
l’accento della verità, essi non avrebbero discusso animatamente
fra loro, ma le avrebbero disprezzate come una pazzia; essi, invece,
sentivano che erano vere e assolute, e ne discutevano perché ne
avrebbero voluto una spiegazione.
Com’era
possibile una spiegazione naturale?
Ma,
in un mistero di fede e d’amore così grande, la spiegazione
naturale non era possibile; Gesù Cristo esigeva solo la fede,
poiché, mangiando il suo Corpo e bevendo il suo Sangue sotto le
Specie del pane e del vino, si sarebbe capito il mistero dai suoi
mirabili effetti, vivendone. D’altra parte, Egli non parlava per
stabilire una discussione, possibilissima, ma sproporzionata alla
mentalità di quelli che l’ascoltavano; il suo Cuore ardeva
d’amore, e l’amore anelava solo a donarsi; non ammetteva la
discussione, voleva essere ricevuto e, promettendo un tanto dono
d’amore, voleva come risposta l’amore; perciò soggiunse,
rivolgendosi agli Ebrei e a tutto il mondo: Se
non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo
sangue non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il
mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo
giorno. Egli
non alludeva, come pretesero gli eretici, all’immolazione che
avrebbe subito né voleva dire che se non l’avessero ucciso non
avrebbero avuto la vita, perché sarebbe empio e assurdo supporre che
un delitto spaventoso, quale la morte che gli avrebbero dato, un
delitto punito da Dio, poi, con la distruzione della nazione, avesse
potuto portare la vita eterna e la risurrezione gloriosa a quelli che
l’avrebbero consumato. Perciò Gesù Cristo, per evitare che si
fosse frainteso, e per confermare che Egli parlava del suo Corpo e
del suo Sangue come di vero alimento di vita spirituale, replicò: La
mia carne è veramente cibo e il mio Sangue è veramente bevanda. Chi
mangia la mia carne e beve il mio Sangue rimane in me e io in lui.
Con
una sublime analogia, poi, mostrò in quale maniera chi mangiava
della sua Carne e beveva del suo Sangue aveva la vita e rimaneva in
Lui: Come
il Padre che ha la vita in sé, ha inviato me, e io vivo per il
Padre, così, chi mangia di me, vivrà anch’egli per me.
Quando
la corrente elettrica percorre un filo…
È
un mistero altissimo che bisogna approfondire, per cercare di
apprezzarne la magnificenza: La
carne di Gesù è veramente cibo dell’anima,
e
il suo Sangue è veramente bevanda.
È
la sublime glorificazione del Corpo e del Sangue assunti dalla
Persona del Verbo, è la carne veramente umana e il sangue veramente
umano, resi così santi, spirituali e vivificanti, da poter
trasfondere la vita all’anima. La Persona divina che li termina, li
trasforma in spirito e vita, pur rimanendo essi vera carne e vero
sangue.
Quando
la corrente elettrica percorre un filo e si comunica, rende il filo
non più un metallo inerte, ma un trasmettitore immediato
dell’energia elettrica che elettrizza, muove, accende, illumina.
Quando una vasca di liquido per la galvanoplastica è percorsa ai due
poli dalla corrente, l’oro che vi è contenuto si depone sul rozzo
metallo che vi è immerso, rendendolo poi come una massa splendente
d’oro.
Può
dirsi, così per intenderci, che la Carne di Gesù, divina per
l’unione ipostatica, alimentando il nostro corpo informato
dall’anima, trasmette, attraverso di esso, la divina corrente della
grazia, e che il Sangue, splendente per la vita divina che lo
termina, investe l’anima, spirito limitato e poverello, e la
riveste dei fulgori della divina santità, saturandola di vita
soprannaturale.
Il
nostro corpo influisce sull’anima, perché ne è strumento, e il
sangue, portando con sé le miserie o le buone qualità
dell’atavismo, la trascina, per così dire, nella sua corrente
limpida o limacciosa, salutare o avvelenata.
Il
sangue porta nelle membra e negli organi, strumenti e ambienti della
vita dell’anima, i relitti della vita buona o cattiva che eredita,
e l’anima è quasi naufraga tra questa impetuosa corrente che
deposita sul suo percorso, nel cuore, nel cervello, nei nervi, negli
organi i rifiuti o le ricchezze della vita, annebbiando o
illuminando, deprimendo o elevando le potenze puramente spirituali
che costituiscono la vita dell’anima: l’intelletto e la volontà.
Possiamo
dirlo? È ardito ma è ancora una pallida idea di fronte alla realtà:
il Corpo e il Sangue di Gesù, unendosi al nostro corpo e nostro al
sangue per il contatto sacramentale, portano nell’anima l’atavismo
divino della sua santità, del suo amore, dei suoi pensieri, della
sua carità, della sua immolazione, della sua fortezza; l’anima è
come innesto dell’olivastro sull’ulivo – come dice san Paolo –,
vive nuovamente, a poco a poco si trasforma, rimane
in Gesù perché
vive di Lui, e Gesù rimane
in lei perché
domina placidamente e sostituisce insensibilmente la sua vita,
mutandola in vita soprannaturale, glorificante Dio.
Abbiamo
quasi – come dicono i Padri –, uno stesso corpo e uno stesso
sangue con Lui, e siamo quasi trasformati in Lui.
L’analogia
portata da Gesù ci fa capire questo grande e profondissimo mistero
anche meglio di qualunque analogia umana: il Padre ha la vita in sé
e, generando il Figlio ab
aeterno
gliela comunica, di modo che il Figlio vive per il Padre; è l’eterna
comunione del Padre col Figlio che fa vivere il Figlio della vita del
Padre. Comunicandogli la vita, il Padre lo genera, e il Figlio gli è
consustanziale, Dio come il Padre. Nella stessa maniera – dice Gesù
–, chi
lo riceve sacramentato riceve la sua vita, è generato ad una nuova
vita, vive in Lui e per Lui, ed è come un altro Gesù. Rimanendo in
Lui tutto Gesù, è evidente che col Corpo c’è il Sangue e col
Sangue il Corpo, come col Corpo e il Sangue c’è anche l’Anima e
la Divinità; ossia chi riceve anche una Specie sola riceve il Corpo,
il Sangue, l’Anima e la Divinità del Redentore.
Gesù
Cristo, concludendo il suo mirabile discorso, soggiunse: Questo
è il pane disceso dal cielo. Non come la manna che mangiarono i
vostri padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.
Egli
si chiamò pane
disceso dal cielo, dunque,
non in senso figurato, ma in senso proprio, tanto è vero che la vita
eucaristica non è un simbolo, ma è una vita vera che si comunica
sotto le specie del pane e del vino.
Gesù
parla di un cibo che deve mangiarsi con i denti, secondo
l’espressione del testo greco; quindi parla della comunione della
sua vita alle anime attraverso il Cibo eucaristico. Egli dona un Cibo
che non è, come la manna, sostentamento momentaneo della vita
corporale, ma è sostentamento dell’anima, a cui dà la vita
immortale, e la ricongiunge poi al corpo gloriosamente nell’ultimo
giorno. Egli ci dona una vita deifica
–
come
la chiamano i Padri –, poiché ci fa vivere di Lui, vero uomo e
vero Dio che riceve la vita dal Padre per la comunione della
generazione eterna, termina la natura umana assunta e, comunicandosi
a noi, ci dona la sua stessa vita.
Il
dono che promette è ineffabile, divino, rifulgente d’amore; non
può ammettere le interpretazioni stiracchiate che ne fanno i
protestanti per negarlo; è il vero cibo di vita, è Lui stesso che
vuol donarsi, e che veramente si donò poi nell’Ultima Cena.
Se
fosse un simbolo che cosa potrebbe produrre?
E
non sarebbe strano l’aver dato come simbolo e memoria della sua
dolorosa morte un banchetto di pane e di vino?
Qual
padre, morendo, darebbe ai suoi figli, come ricordo della morte, un
pezzo di pane e una coppa di vino?
Ma
non occorre discutere per capire l’assurdo dei protestanti; basta
vedere la loro vita: lungi dal rimanere in Gesù essi se ne staccano
sempre più, cadono miseramente nell’abisso della loro stolta e
cieca ragione, diventano per necessità prima razionalisti che non
ragionano, poi indifferenti che non hanno nessuna premura di vivere
di un Redentore umanizzato e storicamente deformato, poi atei, perché
il loro Cristo non li porta a Dio, non essendo più il Cristo Dio, e
finalmente, vuoti di tutto, vanno riesumando i loro idoli,
abbrutendosi nelle moderne eresie.
Noi
lo vediamo nelle nazioni protestanti apostate dalla Chiesa; lo
vediamo soprattutto nella Germania nazista, il cui processo di
dissolvimento spirituale e morale è stato più rapido a causa del
suo triste ed avvelenato patrimonio di falsa filosofia, informe
massicciata di errori che l’ha divisa dagli ultimi raggi
vivificanti del Pane della vita!
Padre Dolindo Ruotolo
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