Commento al Vangelo della XII Domenica del TO A 2014 (Mt 16,13-19)
La confessione della divinità di Gesù
La confessione della divinità di Gesù
Tra
le incertezze che agitavano l’anima degli
apostoli a causa della
propaganda degli scribi e farisei Gesù volle diffondere un raggio di
luce viva, inducendo i suoi cari a risvegliare in loro quella fede
che era quasi attutita. Egli andò nei pressi di Cesarea di Filippo –
città posta ai piedi dell’Ermon –, e in un momento di maggior
pace e solitudine domandò loro che cosa dicessero di Lui gli uomini.
Essi gli risposero, accennandogli le varie opinioni che si avevano di
Lui. Questa esposizione doveva far riflettere loro che le varie
opinioni non erano la verità, perché questa non poteva essere che
una sola.
Subito
dopo, illuminandosi di luce divina e fissando con uno sguardo arcano
i suoi cari, domandò: E
voi chi dite che io sia? All’opinione
degli uomini bisognava opporre la parola della verità, ed Egli volle
che la pronunciasse decisamente Pietro che doveva essere il maestro
della verità, lui e i suoi successori, fino alla consumazione dei
secoli.
Una
luce interiore gliela rivelò ed egli, acceso d’un tratto d’amore,
senza esitare, gridò con sicurezza assoluta: Tu
sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Fu
un momento solenne, una definizione dogmatica che si scolpì nel
fondamento stesso della Chiesa, una luce di verità che si accese per
illuminare i secoli. Fu come il crisma che consacrò la voce del
principe degli apostoli, la luce di una nuova beatitudine, quella
della verità che non conosce ombre che è assoluta e immutabile, e
perciò Gesù, rivolto a Pietro, lo chiamò beato per quella
rivelazione che gli era venuta dall’Alto e che non gli era stata
suggerita dalla
carne e dal sangue,
cioè
dalla debolezza dell’umana natura e dell’umana ragione. Lo chiamò
beato anche per quello che voleva annunciargli, e si potrebbe dire
che Gesù stesso, con questa parola, abbia assegnato al primo Papa e
ai suoi successori il titolo della loro dignità: la beatitudine, la
santità. Il Papa è chiamato santità
perché è il vicario del Santo dei santi, è custode della verità e
del bene: i due capisaldi della santità; è Colui che ha come
programma del suo regno la santità.
«Tu
sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa»
Gesù,
all’elogio fatto a san Pietro, fece seguire la promessa di un regno
di nuovo genere, dicendogli: E
io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia
Chiesa, e le porte dell’Inferno non prevarranno contro di essa.
In
aramaico, la lingua usata da Gesù Cristo, non c’è differenza di
genere tra il nome proprio Pietro e il nome comune pietra, ma l’uno
e l’altro si esprimono con la parola kefas
che
significa rupe,
macigno,
perciò
è chiarissimo, dal contesto medesimo, che Gesù volle esplicitamente
riferirsi a san Pietro come a fondamento della sua Chiesa. Egli non
additò se stesso – come dicono i protestanti –, perché questo
gesto non risulta in nessun modo dal Testo e dal contesto, ma parlò
a san Pietro proprio come al futuro fondamento saldissimo della
Chiesa. Le sue parole, nella lingua nella quale furono pronunciate,
equivalgono a questo: Tu
sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa;
non
parlò, dunque, di altri che di Pietro e, promettendogli di farlo
capo e fondamento del suo regno, gli promise la forza di difesa
soprannaturale, la giurisdizione giudiziaria e il potere della
sanzione.
Pietro,
dunque, doveva essere il capo della Chiesa non per onore, ma il capo
difeso da invisibili eserciti, il capo che comanda e sanziona, e alla
cui voce risponde il Cielo, cioè la potenza di Dio.
Il
Papa, capo della Chiesa di Cristo
Gesù
Cristo non poteva, in una maniera più completa e sintetica,
annunciare e promettere la suprema autorità del Papa nella Chiesa.
Le
porte dell’Inferno cioè
le potenze infernali, non potranno prevalere contro la Chiesa che è
il nuovo popolo di Dio, proprio perché essa avrà un unico capo e
sarà sorretta dalla compagine dell’unità. Dire che le
porte dell’Inferno non prevarranno è
lo stesso che annunciare la guerra che le potenze infernali faranno
alla Chiesa, e la sua vittoria in ogni tempo, fino alla consumazione
dei secoli.
Come
è ammirabile la luminosa laconicità delle parole di Gesù Cristo e
come sintetizzano la natura e la storia della sua Chiesa e della
potestà del Papa! D’allora ad oggi nessuno potrà negare che esse
si siano avverate, e che tra il fluttuare delle vicende umane siano
rimasti sempre incrollabili la Chiesa e il suo capo! Dopo la
risurrezione, Gesù donò a san Pietro ciò che gli aveva promesso
(cf
Mt
16,18) e i poteri che gli diede, riguardando un’istituzione
immortale, dovevano di necessità trasmettersi ai successori.
San
Pietro, nominato sempre per primo in tutti i Vangeli, esercitò
difatti la sua supremazia, come si vede chiaramente negli Atti degli
Apostoli. Egli, dunque, è il capo incontrastato della vera Chiesa.
Del resto, sarebbe assurdo pensare che Gesù Cristo avesse potuto
istituire un organismo che è una vera società visibile, senza un
capo visibile; se l’avesse fatto, avrebbe creato un regno diviso,
destinato a perire come si dividono e periscono le sette che si
distaccano dal vicario di Gesù Cristo.
Oggi
che l’onda limacciosa dell’ateismo, e quindi della violenza,
tenta cancellare dalla faccia della terra ogni culto e ogni idea di
Dio, i poveri protestanti, invece di farsi seminatori di scandali e
di discordie, devono sinceramente convertirsi al Signore e riunirsi
alla sua Chiesa.
Se
non lo fanno diventano – come già è avvenuto dove ferve la
persecuzione contro la Chiesa –, i cooperatori degli
scelleratissimi empi e i manutengoli dei loro tenebrosi disegni.
Niente
può sostituirsi alla Chiesa e nessuno può soppiantare il suo
augusto Capo; solo la Chiesa vive delle ammirabili ricchezze di Gesù
Cristo, e solo il Papa le trasmette in essa, quasi cuore e cervello
di quell’organismo meraviglioso.
Chi
si apparta dalla sua autorità perisce come un organismo che ha i
centri vitali paralizzati. La Chiesa e il Papa sono mirabili frutti
della redenzione dai quali sbocciano tutti gli altri; chi li
disprezza, raccoglie la zizzania, credendola grano, anzi raccoglie la
rovina temporale ed eterna.
Don Dolindo Ruotolo
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