Commento al Vangelo della XXX Domenica TO 2014 A (Mt 22,34-40)
Don Dolindo Ruotolo
Il
comandamento più grande
I farisei, saputo che Gesù aveva ridotto al
silenzio i sadducei, ritornarono nuovamente all’assalto per conto loro,
sperando di confonderlo sulla Legge, e perciò lo fecero interrogare da un
dottore sul massimo precetto del Signore. Il Vangelo non ci dice chi sia stato
questo dottore, ma da ciò che dice san Marco si arguisce che doveva essere
retto di cuore, e che interrogò Gesù per sincerarsi sulle sue vere intenzioni.
Aveva sentito dire tante cose sul conto di Lui, e temeva che potesse
manomettere l’onore di Dio. Questo si rileva chiaramente dalla soddisfazione
che provò, sentendo dire da Gesù che bisognava amare Dio solo, come è detto in
san Marco (12,32-33). L’entusiasmo col quale assentì alle parole del Redentore,
mostra in lui un amore a Dio profondo e sincero che gli meritò la lode del
medesimo Gesù. I farisei incaricarono questo dottore della Legge d’interrogare
Gesù, forse proprio perché notarono la preoccupazione che aveva
sull’insegnamento di Lui, e forse anche perché stimarono che la sua rettitudine
lo rendesse meno sospetto al Signore.
La domanda fatta non era delle più semplici, benché
apparentemente non sembri. I rabbini elencavano 613 comandamenti della Legge,
divisi in 248 precetti e 365 proibizioni. Tanto i precetti quanto le
proibizioni erano distinti in gravi e leggeri, senza però determinarli
distintamente. Di qui derivavano interminabili questioni e casi morali. Non
tutti, poi, si accordavano sull’eccellenza di un precetto sull’altro; c’era,
per esempio, chi stimava l’osservanza del sabato il massimo dovere e chi
credeva, invece, che fosse la circoncisione, moltiplicando le dispute senza
venir mai a conclusioni uniformi, con danno gravissimo delle anime. La risposta
di Gesù fu solenne, e il modo stesso come la diede non ammetteva repliche.
Si sente, nelle sue parole, l’amore
grande del quale ardeva per il Padre, e il desiderio che aveva di unire tutti
gli uomini in questo unico amore; perciò soggiunse che c’era un altro precetto
simile al primo, ossia quello di amare il prossimo come se stessi. Amare Dio,
disprezzando o manomettendo la sua immagine viva non è possibile, e chi vuol
testimoniargli l’amore deve onorarlo nel prossimo. Sull’amore di Dio e del
prossimo è fondata la Legge che riguarda questi due doveri, e sono fondati i
profeti che richiamano le anime all’osservanza di questi due precetti fondamentali.
La risposta che Gesù aveva dato aveva confuso ancora una
volta i farisei, i quali si sarebbero aspettati chi sa quali discussioni, e
dovette indurre in molti di essi un sentimento di resipiscenza. Stimavano il
Redentore un pericoloso ribelle, e dovevano riconoscere, dall’accento medesimo
delle sue parole, che Egli amava Dio; qualcuno corse col pensiero al Messia
futuro, e poté anche pensare che poteva essere proprio Lui; certo ci fu
nell’ambiente un momento di ponderazione, e Gesù volle utilizzarlo per
costringerli a confessare che il Messia doveva essere Figlio di Dio, e per orientare
la loro anima verso questa grande e fondamentale verità. Citando il principio
del salmo 109, nel quale Davide chiama suo Signore il Messia, e nel quale
annuncia da parte di Dio il trionfo di Lui sopra tutti i nemici, Egli proponeva
loro una difficoltà ardua: se il Messia è Figlio di Davide, come mai questi lo
chiama suo Signore? La risposta poteva essere una sola: lo chiama suo Signore
perché è veramente Dio, ed è Re che domina ogni regno. Ma evidentemente i
farisei si confusero, non seppero che cosa rispondere, e non osarono più
interrogarlo.
Per la nostra vita spirituale
Siamo chiamati dal Signore al banchetto della vita eterna, e
non possiamo rifiutarci di prendervi parte senza essere puniti severamente. A
che servono le aspirazioni terrene? Le occupazioni della vita presente ci rendono
schiavi e sono piene di spine; occorre volgere gli occhi al Cielo, e occuparci,
prima di tutto, di conquistarlo.
Dolorosamente
la vita vertiginosa delle nazioni moderne concentra gli uomini negli affari
materiali, o li rende asserviti a Cesare: o s’idolatra la materia, come si fa
negli Stati apostati, o s’idolatra l’uomo, il potere e lo Stato, come avviene
spesso nelle nazioni cosiddette d’ordine; bisogna invece sottomettersi a Dio e
persuadersi che dobbiamo amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con
tutta la mente. In questo sta il sommo Comandamento della Legge, in questo la
suprema ragione della nostra vita. Tutto è vanità fuorché amare Dio, e tutto ci
è di angustia fuori di Lui. Il prossimo dobbiamo amarlo per amore di Dio, non
per simpatia naturale o, peggio, per semplice convenienza; è necessario
riguardare in lui l’immagine del Signore, e rispettarlo come tempio vivente di
Dio. È questa la vera base dell’armonia umana, è la legge suprema che non può
dimenticarsi senza andare incontro alla rovina, come lo abbiamo sperimentato e
sperimentiamo tuttora in tutta la terra. Disinganniamoci sulle concezioni della
vita che ci danno gli uomini moderni, i quali l’hanno resa insopportabile tanto
nelle nazioni in rivolta quanto in quelle cosiddette d’ordine. Volgiamo gli
occhi a Dio e pensiamo che Egli solo è tutto per noi. Al grido scellerato degli apostati, opponiamo il grido del nostro amore,
alle chimere della fantasia umana opponiamo la nostra fede, ad aspirazioni
folli, a felicità ipotetiche opponiamo la nostra incrollabile aspirazione alla
vita eterna.
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