Commento al Vangelo della XXXI Domenica TO 2014 A
(Gv 3,37-40)
Commemorazione
di tutti i fedeli defunti
Il
discorso garba poco agli Ebrei…
Gli Ebrei, alle parole di Gesù, rimasero increduli. Erano
andati da Lui con la pretesa di vedere dei miracoli, e credevano di poter essi
disporre del suo potere; non ammettevano altro che quello che passava per la
loro testa, e avevano sempre la presunzione di dovere avere essi di diritto i
doni del Signore, nel modo che a loro garbava; credevano quasi che il mondo si
fermasse senza il loro volere. Per questo, Gesù aggiunse: Tutto ciò che il
Padre mio mi dà, arriverà a me, ed io non respingerò chi viene a me, perché
sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che
mi ha mandato.
E voleva dire: la vostra mancanza di fede non
distrugge il disegno di Dio, poiché il Signore, mandandomi in mezzo a voi, non
ha ristretto l’opera mia a voi soltanto; Egli mi dona le anime di tutto il
mondo, Egli le chiama, e quando esse vengono a me io non le caccio, benché non
appartengano al vostro popolo. È questa la volontà del Padre mio, ed io la
compio fedelmente: Egli vuole che io non perda tutti quelli che mi dona, ma li
risusciti nell’ultimo giorno, e vuole che abbiano la vita in me e per me,
credendo in me Io li accolgo, li alimento di me con un dono di fede, di pura
fede, nel quale la vista, il tatto, il gusto s’ingannano, e nel quale si deve
solo credere alla mia parola. Essi vengono, credono, si alimentano, vivono di
me, risurrezione e vita, ed Io li risuscito dalla morte nell’ultimo giorno.
Gesù, dunque, prima di annunciare e promettere formalmente il dono ineffabile
dell’Eucaristia, ne pone i fondamenti e ne determina il carattere: Esso è la
nuova manna del suo popolo peregrinante dall’esilio alla Patria; è Pane disceso
dal cielo, è Lui stesso che è venuto in terra per alimentare le sue creature,
per saziarle d’amore divino, e spegnere in loro la sete delle passioni disordinate.
L’Eucaristia non è un dono ristretto alla sola nazione ebraica: è un Dono
universale; dipende dalla volontà del Padre e non dal diritto di eredità;
affratella tutti gli uomini senza distinzione di razza; li affratella perché
Dio li chiama alla stessa fede nel Redentore, e questi li accoglie, li nutre,
li santifica e, vincendo anche la morte corporale, li risuscita gloriosamente
nell’ultimo giorno. Chi crede in Lui, cioè chi riceve il Pane della vita credendo che è Lui
stesso vivo e vero, ha la vita eterna. Chi lo crede solo un simbolo, un segno,
un pane comune e materiale, in realtà non crede in Lui, e perciò non ha la vita.
È evidente, dal contesto, che Gesù non parla
della fede in Lui in un senso generale, e tanto meno parla della fede di
semplice assentimento a Lui Salvatore, o di fiducia nei suoi meriti, senza
curarsi delle opere buone; Egli parla del Pane di vita, dell’Eucaristia, e
asserisce che chiunque vede il Figlio e crede in Lui ha la vita eterna; vede il Pane di vita, lo
crede sostanzialmente il Figlio di Dio Incarnato, crede in Lui ivi presente, se
ne ciba, ed ha la vita eterna.
Tutte le volte che Gesù in questo capitolo
parla della fede in Lui, parla della fede nella sua reale presenza nel Pane di
vita, e ogni volta che parla del Pane disceso dal cielo, parla di se stesso
vivo e vero, fatto cibo delle anime. Non si può equivocare sulle sue parole né
si può dare ad esse un senso simbolico che non hanno.
Gesù Cristo parlava in senso tanto reale,
chiamandosi Pane vivo disceso dal cielo che il popolo cominciò a mormorare di Lui, dicendo: Non è
forse costui Gesù, figlio di Giuseppe, di cui noi conosciamo il padre e la
madre? Come dunque dice Costui: Io sono disceso dal cielo? San Giuseppe probabilmente
era già morto quando Gesù cominciò la sua vita pubblica, ma il popolo l’aveva
conosciuto, e l’aveva sempre creduto padre vero di Gesù, ignorando il mistero
dell’Incarnazione per opera dello Spirito Santo. Credendo dunque di conoscerne
il padre e la madre, si stupivano che Egli si chiamasse Pane vivo disceso
dal cielo, e
mormoravano di questa espressione, come chi ascolta una cosa ardua, non
assurda. Era tale l’accento di verità che traspariva dalle parole di Gesù che
essi non osavano direttamente tacciarlo di dire una cosa assurda, come sarebbe
stato naturale, ma s’interrogavano a vicenda per cercare di interpretare quello
che diceva.
Nel
dire Gesù: Io sono il Pane vivo disceso dal cielo, faceva sentire che Egli era la Verità che era per
donarsi come pane che questo pane doveva essere pane vivo, pane negli accidenti e vita
nella sostanza, pane disceso dal cielo, perché era Lui stesso donato in cibo alle anime.Dolindo Ruotolo
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