Commento
al Vangelo della XIX Domenica TO 2015 B (Gv
6,41-51)
Il
discorso garba poco agli Ebrei…
Gli
Ebrei, alle parole di Gesù, rimasero increduli. Erano andati da Lui
con la pretesa di vedere dei miracoli, e credevano di poter essi
disporre del suo potere; non ammettevano altro che quello che passava
per la loro testa, e avevano sempre la presunzione di dovere avere
essi di diritto i doni del Signore, nel modo che a loro garbava;
credevano quasi che il mondo si fermasse senza il loro volere. Per
questo, Gesù aggiunse: Tutto
ciò che il Padre mio mi dà, arriverà a me, ed io non respingerò
chi viene a me, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia
volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato.
E voleva
dire: la vostra mancanza di fede non distrugge il disegno di Dio,
poiché il Signore, mandandomi in mezzo a voi, non ha ristretto
l’opera mia a voi soltanto; Egli mi dona le anime di tutto il
mondo, Egli le chiama, e quando esse vengono a me io non le caccio,
benché non appartengano al vostro popolo. È questa la volontà del
Padre mio, ed io la compio fedelmente: Egli vuole che io non perda
tutti quelli che mi dona, ma li risusciti nell’ultimo giorno, e
vuole che abbiano la vita in me e per me, credendo in me Io li
accolgo, li alimento di me con un dono di fede, di pura fede, nel
quale la vista, il tatto, il gusto s’ingannano, e nel quale si deve
solo credere alla mia parola. Essi vengono, credono, si alimentano,
vivono di me, risurrezione e vita, ed Io li risuscito dalla morte
nell’ultimo giorno. Gesù, dunque, prima di annunciare e promettere
formalmente il dono ineffabile dell’Eucaristia, ne pone i
fondamenti e ne determina il carattere: Esso è la nuova manna del
suo popolo peregrinante dall’esilio alla Patria; è Pane disceso
dal cielo, è Lui stesso che è venuto in terra per alimentare le sue
creature, per saziarle d’amore divino, e spegnere in loro la sete
delle passioni disordinate. L’Eucaristia non è un dono ristretto
alla sola nazione ebraica: è un Dono universale; dipende dalla
volontà del Padre e non dal diritto di eredità; affratella tutti
gli uomini senza distinzione di razza; li affratella perché Dio li
chiama alla stessa fede nel Redentore, e questi li accoglie, li
nutre, li santifica e, vincendo anche la morte corporale, li
risuscita gloriosamente nell’ultimo giorno. Chi
crede in Lui,
cioè
chi riceve il Pane della vita credendo che è Lui stesso vivo e vero,
ha la vita eterna. Chi lo crede solo un simbolo, un segno, un pane
comune e materiale, in realtà non
crede in Lui,
e perciò non ha la vita.
È
evidente, dal contesto, che Gesù non parla della fede in Lui in un
senso generale, e tanto meno parla della fede di semplice
assentimento a Lui Salvatore, o di fiducia nei suoi meriti, senza
curarsi delle opere buone; Egli parla del Pane di vita,
dell’Eucaristia, e asserisce che chiunque
vede il Figlio e crede in Lui ha la vita eterna;
vede
il Pane di vita, lo crede sostanzialmente il Figlio di Dio Incarnato,
crede in Lui ivi presente, se ne ciba, ed ha la vita eterna.
Tutte
le volte che Gesù in questo capitolo parla della fede in Lui, parla
della fede nella sua reale presenza nel Pane di vita, e ogni volta
che parla del Pane disceso dal cielo, parla di se stesso vivo e vero,
fatto cibo delle anime. Non si può equivocare sulle sue parole né
si può dare ad esse un senso simbolico che non hanno.
Gesù
Cristo parlava in senso tanto reale, chiamandosi Pane
vivo disceso dal cielo
che
il popolo cominciò a mormorare di Lui, dicendo: Non
è forse costui Gesù, figlio di Giuseppe, di cui noi conosciamo il
padre e la madre? Come dunque dice Costui: Io sono disceso dal cielo?
San
Giuseppe probabilmente era già morto quando Gesù cominciò la sua
vita pubblica, ma il popolo l’aveva conosciuto, e l’aveva sempre
creduto padre vero di Gesù, ignorando il mistero dell’Incarnazione
per opera dello Spirito Santo. Credendo dunque di conoscerne il padre
e la madre, si stupivano che Egli si chiamasse Pane
vivo disceso dal cielo,
e
mormoravano di questa espressione, come chi ascolta una cosa ardua,
non assurda. Era tale l’accento di verità che traspariva dalle
parole di Gesù che essi non osavano direttamente tacciarlo di dire
una cosa assurda, come sarebbe stato naturale, ma s’interrogavano a
vicenda per cercare di interpretare quello che diceva.
Nel dire
Gesù: Io
sono il Pane vivo disceso dal cielo,
faceva
sentire che Egli era la Verità che era per donarsi come pane che
questo pane doveva essere pane
vivo,
pane
negli accidenti e vita nella sostanza, pane
disceso dal cielo,
perché
era Lui stesso donato in cibo alle anime.
Gesù
sapeva bene quanto
gli
sarebbero stati ingrati gli uomini
In questo
mirabile discorso eucaristico, Gesù fu di una recisione precisa,
poiché l’amore del suo Cuore traboccava, ed Egli sapeva bene
quanto gli sarebbe stato ingrato l’uomo. Non erano solo gli Ebrei i
suoi oppositori, erano gli eretici di tutti i secoli, e specialmente
i protestanti. Egli li vedeva con la sua divina prescienza, e poiché
voleva darsi per amore, non tollerava che si fosse potuto dubitare di
questo suo dono; preferiva che quelli che non volevano credergli se
ne fossero andati, rinunciava alle anime loro, pur amandole
infinitamente, ma non rinunciava ad essere esplicito e preciso in
quello che voleva donare. Perciò, quando gli Ebrei cominciarono a
mormorare perché s’era chiamato pane
vivo disceso dal cielo, invece
di rispondere alla loro obiezione, disse: Non
mormorate fra voi; nessuno può venire a me se non lo attiri il Padre
che mi ha mandato, ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno,
e
voleva dire: quello che io affermo può capirlo solo chi
è attratto dal Padre mio,
cioè
chi ne riceve una grazia particolare, e questi avrà la vita gloriosa
nell’ultimo giorno. Voi non l’intendete perché non siete
attratti dal Padre mio, per colpa vostra. Non crediate poi che
chiunque, a suo arbitrio, potrà prendere il Pane di vita che io
prometto; sarà necessaria una speciale attrazione di grazia, e
questa attrazione sarà data a
chi sarà ammaestrato da Dio,
secondo
il detto dei profeti (cf Is
54,13), cioè sarà preparata da una diffusione più viva della
divina Parola, della mia parola, e chi l’ascolterà con docilità e
con fede verrà a me, Pane di vita. Non parlerà direttamente il
Padre, perché Dio è invisibile all’uomo, eccetto a
Colui
che è da Dio, cioè all’Uomo-Dio, ma parlerà per me, e per quelli
che io manderò. In conclusione – soggiunse Gesù con decisione che
non ammetteva repliche –, qui non si tratta di discutere, perché
il Pane di vita è un mistero di fede, chi
crede in me vivo
e vero nel Pane di vita, questi ha
la vita eterna.
Gesù
Cristo aveva presenti tutti i secoli, e guardava a quello nel quale
il Pane di vita sarebbe stato distribuito e diffuso a piene mani,
negli ultimi tempi, più prossimi alla fine del mondo e alla
risurrezione dell’ultimo giorno. Egli stabilì formalmente che
questa diffusione eucaristica non sarebbe stata frutto di arbitrio
personale, ma frutto di attrattiva divina, e ne diede come
contrassegno specifico una diffusione così viva della divina Parola
nella Chiesa e nel mondo, da potersi dire col profeta: Sono
tutti ammaestrati da Dio.
La
luce della verità sarà così viva, da sembrare quasi di vedere Dio,
benché Egli sia invisibile all’uomo mortale.
Noi
assistiamo già al preludio di questo tempo di vivissima vita
eucaristica, ne abbiamo raccolto il segreto, e cominciamo ad
usufruirne, benché fra tante nostre ingratitudini.
Ecco, la
Parola di Dio, chiara e luminosa per tutte le menti, si diffonde già
e inonda la terra; ecco, non l’arbitrio ma l’attrazione del Padre
celeste ci conduce a Gesù, Pane di vita, poiché è assurdo che si
possa partecipare a questo Dono ineffabile senza una particolare
attrazione di Dio. I Congressi eucaristici medesimi, caratteristica
del nostro tempo e prima preparazione alla diffusione del regno
dell’amore eucaristico, non sono una diffusione luminosa della
Parola di Dio nelle discussioni e nelle prediche, e una divina
attrazione per le anime che si cibano del Pane di vita?
Crescerà
la diffusione della Parola luminosa di Dio, e crescerà la diffusione
del Pane di vita, fino a porre termine all’ingratitudine umana che
ha dimenticato il Dono ineffabile che ci fa vivere di Gesù Cristo,
ci unisce in Lui in una sola famiglia e ci dona la pace nel fulgore
della gloria di Dio per tutta la terra.
Stabiliti
i
fondamenti
del dono ineffabile che voleva elargire agli uomini, Gesù Cristo ne
parla più determinatamente, perché non si fosse potuto equivocare
sulla sua reale natura, ed esclama: Io
sono il Pane della vita;
non
della vita materiale ma di quella spirituale; e poiché gli Ebrei
avrebbero desiderato vedere un prodigio come quello della manna nel
deserto, Gesù mostra la superiorità del Pane della vita sulla
manna, soggiungendo: I
vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il
Pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Io sono il
Pane vivo che sono disceso dal cielo. Chi mangerà di questo Pane
vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita
del mondo.
La
manna era un cibo che sosteneva la vita del corpo, ma non liberava
dalla morte; il Pane vivo disceso dal cielo, invece, sostiene una
vita immortale, quella dell’anima, e la libera dalla morte eterna,
salvandola per sempre nella felicità eterna; questo pane, poi, è la
carne stessa del Redentore, quella che Egli darà per la vita del
mondo sulla croce e che sarà data continuamente nel sacrificio
dell’altare per la vita delle anime. Non si poteva, dunque,
equivocare in nessun modo: Gesù parlava non di un simbolo della sua
Carne ma della sua vera Carne, poiché Egli non la offrì
simbolicamente ma veramente e sanguinosamente sulla croce. Gli Ebrei
lo capirono perfettamente, e se ne stupirono discutendo fra loro e
dicendo: Come
mai può Costui darci da mangiare la sua carne? Se
la divide fra noi muore, e allora come può chiamarsi più
pane vivo?
Come
mai può darcela viva? Se le parole di Gesù non avessero avuto
l’accento della verità, essi non avrebbero discusso animatamente
fra loro, ma le avrebbero disprezzate come una pazzia; essi, invece,
sentivano che erano vere e assolute, e ne discutevano perché ne
avrebbero voluto una spiegazione.
Com’era
possibile una spiegazione naturale?
Ma, in un
mistero di fede e d’amore così grande, la spiegazione naturale non
era possibile; Gesù Cristo esigeva solo la fede, poiché, mangiando
il suo Corpo e bevendo il suo Sangue sotto le Specie del pane e del
vino, si sarebbe capito il mistero dai suoi mirabili effetti,
vivendone. D’altra parte, Egli non parlava per stabilire una
discussione, possibilissima, ma sproporzionata alla mentalità di
quelli che l’ascoltavano; il suo Cuore ardeva d’amore, e l’amore
anelava solo a donarsi; non ammetteva la discussione, voleva essere
ricevuto e, promettendo un tanto dono d’amore, voleva come risposta
l’amore; perciò soggiunse, rivolgendosi agli Ebrei e a tutto il
mondo: Se
non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo
sangue non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il
mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo
giorno. Egli
non alludeva, come pretesero gli eretici, all’immolazione che
avrebbe subito né voleva dire che se non l’avessero ucciso non
avrebbero avuto la vita, perché sarebbe empio e assurdo supporre che
un delitto spaventoso, quale la morte che gli avrebbero dato, un
delitto punito da Dio, poi, con la distruzione della nazione, avesse
potuto portare la vita eterna e la risurrezione gloriosa a quelli che
l’avrebbero consumato. Perciò Gesù Cristo, per evitare che si
fosse frainteso, e per confermare che Egli parlava del suo Corpo e
del suo Sangue come di vero alimento di vita spirituale, replicò: La
mia carne è veramente cibo e il mio Sangue è veramente bevanda. Chi
mangia la mia carne e beve il mio Sangue rimane in me e io in lui.
Con
una sublime analogia, poi, mostrò in quale maniera chi mangiava
della sua Carne e beveva del suo Sangue aveva la vita e rimaneva in
Lui: Come
il Padre che ha la vita in sé, ha inviato me, e io vivo per il
Padre, così, chi mangia di me, vivrà anch’egli per me.
Padre Dolindo Ruotolo
Padre Dolindo Ruotolo
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