Commento
al Vangelo – XXXIV Domenica del TO 2015 B (Gv
18,33-37)
N.S.
Gesù Cristo, Re dell’Universo
«Sei tu il re dei, Giudei?»
Pilato,
visto che essi erano più che mai decisi e che per indurlo ad
assentire alla loro richiesta, accusavano Gesù di sedizione contro
l’autorità romana dichiarandosi re dei Giudei, rientrò nel
pretorio e, chiamato il Redentore, gli domandò: Sei
tu il re dei Giudei? La
domanda era come la base necessaria dell’inchiesta che voleva fare
per assodare la verità o meno dell’accusa fattagli. Se Egli fosse
stato realmente re dei Giudei per legittima discendenza, l’accusa
aveva un fondamento, e diventava compromettente per Pilato innanzi a
Cesare il non prenderne conto, perché un vero re, per quanto
spodestato, poteva realmente essere, nel popolo, un elemento di
rivolte e di rivendicazioni nazionali. Se non fosse stato re per
discendenza, ma avesse egli preso quel titolo, allora sarebbe stato
meno pericoloso, e sarebbe bastato infliggergli una pena infamante,
come la flagellazione, per farlo desistere. Pilato, poi, non poteva
ignorare, benché forse la conoscesse confusamente, l’aspirazione
degli Ebrei al Messia e quindi era per lui importantissimo assodare
se Gesù fosse il re aspettato, o se si proclamasse tale Egli stesso,
per una strana ambizione; perciò gli domandò: Sei
tu il re dei Giudei?
La
domanda di Pilato, in realtà, era confusa, e comprendeva tutti
insieme i sospetti che egli aveva fatti, e Gesù, nella sua altissima
sapienza, volle che fosse precisata per rispondergli in modo
inequivocabile. Perciò gli disse: Dici
questo da te stesso, oppure altri te lo hanno detto di me? Se,
infatti, Pilato gli avesse fatto quella domanda per un suo sospetto,
la parola re aveva il valore di rivendicatore politico; se egli,
invece, l’avesse fatta perché altri gliene avevano parlato, quella
parola poteva avere o il valore di sobillatore o quello di Messia, a
seconda che quelli che gliene avevano parlato erano suoi nemici o
suoi amici.
Gesù
Cristo sapeva bene, per la sua scienza infinita, in qual senso Pilato
l’aveva interrogato e, se gli fece quella domanda chiarificatrice,
la fece non per essere illuminato Lui, ma per illuminare Pilato.
Scelse quella forma interrogativa e dubitativa per indurre il preside
alla riflessione, perché quegli, per carattere, prendeva le cose
superficialmente, e lo aveva interrogato se era re confondendo in uno
la sua discendenza regale, l’accusa che gli avevano fatto di
proclamarsi re contro Cesare, e l’accusa di proclamarsi il Messia
aspettato, Figlio di Dio. Egli non poteva rispondere senza
costringere Pilato ad uscire da quella confusione.
Il
preside, però, da autentico romano, disdegnando di mostrarsi
interessato alle vicende di un popolo soggiogato, e mostrando
d’interrogarlo unicamente sulla base delle accuse fattegli,
soggiunse: Sono
io forse Giudeo? Potrei
io mai interessarmi se tu sei re o non lo sei? Anche se tu lo fossi
non saresti sotto il mio potere, come capo di una nazione vinta? Se
interrogo, dunque, lo faccio non perché tema o m’interessi di un
re dei Giudei, ma perché
la tua nazione e i pontefici ti hanno deferito a me e
ti hanno accusato di sobillazione; ora tu dimmi: Che
hai fatto? Che
cosa c’è di vero in quest’accusa? Hai veramente congiurato
contro Cesare?
«Il mio regno non è di questo mondo»
Alla
specifica domanda sull’accusa di sobillazione, Gesù rispose con
una solennità veramente regale, escludendola con un argomento
inoppugnabile: Il
mio regno non è di
questo
mondo; se fosse di
questo
mondo il mio
regno,
i miei servi certamente avrebbero combattuto perché non cadessi
nelle mani dei Giudei; ora, invece, il mio regno non è di qua. È
necessario approfondire queste grandi parole di Gesù per non
fraintenderle. Egli non disse: Io non sono Re di questo mondo, ma il
mio regno non è di questo mondo, cioè
io non sono re come lo sono i re della terra che conquistano il regno
con le armi e lo conservano con la forza. Il
mio regno non è di qua, non
viene cioè dalla terra, non è frutto di un diritto temporale, ma
viene dal diritto divino, ed è un regno d’amore e di pace, un
regno di anime che non ha nulla di comune con i regni del mondo. Egli
sta al di sopra dei regni e dei re terreni, anche loro malgrado, e vi
sta visibilmente per il suo vicario, il Papa: Egli domina non per
sottoporre i sudditi ad un regime d’oppressione, ma per elevarli
nella verità e condurli con Lui nell’eterna gloria. Per questo, a
Pilato, che nelle sue parole avvertì una regalità veramente grande
e, impressionato, gli disse: Tu
dunque sei re?
Egli rispose: Tu
lo dici, io sono Re. Io per questo sono venuto nel mondo, per rendere
testimonianza alla verità; chiunque sta per la verità ascolta la
mia
voce.
Era
un orizzonte troppo magnifico per essere capito da Pilato che, come
governatore, viveva di politica, ossia di doppiezze e di menzogne. Al
regno politico, Gesù opponeva il regno dell’intelligenza e dei
cuori che è regno di vera libertà, di vera uguaglianza innanzi a
Dio, e di vera fraternità soprannaturale. I regni terreni sono
fondati sulla forza e sulla violenza, di modo che i sudditi non
seguono la verità ma l’imposizione, non sono conquisi dall’amore
ma dalla forza; il regno di Gesù Cristo, invece, è verità
splendente che conquide la mente, è luce che guida la volontà al
bene e ai beni eterni, ed è amore che affascina nell’amore.
Padre Dolindo Ruotolo
Nessun commento:
Posta un commento