sabato 30 luglio 2016

NON PREOCCUPARSI DEI BENI TERRENI

Commento al Vangelo della XVIII Domenica TO 2016 C (Lc 12,13-21)
Don Dolindo Ruotolo

Non preoccuparsi dei beni terreni
Mentre Gesù parlava per gettare nei suoi discepoli e nella sua Chiesa le basi granitiche d’un forte carattere cristiano di fronte alle lotte e alle persecuzioni, un giovane dalla turba lo interruppe, pregandolo d’intervenire con la sua autorità presso un suo fratello, per la divisione dell’eredità. Per simili questioni di testamenti e di eredità spesso i rabbini erano chiamati come giudici, e quel giovane, appellandosi a Gesù, volle appellarsi al più autorevole dei maestri.
Il Redentore guardava in quel momento i secoli futuri, considerava il cammino della sua Chiesa nel mondo, e gettava le basi del carattere cristiano di fronte alla vita terrena; si direbbe che era tutto preso da questa grande idea, e per questo si rifiutò di giudicare, dicendo: O uomo, chi mi ha costituito giudice o arbitro tra voi?
Egli era Giudice di tutti, e poteva essere arbitro, ma, in quel momento, si occupava della sua grande missione di Redentore, pensava alla sua Chiesa e protestava che Egli non era venuto per trattare di misere questioni di avarizia o d’interesse e non era costituito capo dell’umanità per questo.
Evidentemente quel giovane contendeva col fratello non per una questione di giustizia, ma di avarizia e domandava l’intervento di Gesù non per farlo arbitro assoluto, ma per avere da Lui una sentenza favorevole alla propria avidità; ora, Gesù non era costituito giudice e arbitro per assecondare l’avarizia e l’ingiustizia. Egli, poi, guardò più lontano e, rispondendo a quel giovane, volle gettare un’altra base del carattere cristiano, dicendo a tutti: Guardatevi con grande cura da ogni avarizia, poiché la vita dell’uomo non sta nella sovrabbondanza dei beni che possiede.
I beni materiali non sono la vita dell’uomo né possono costituire la sua meta, tanto meno può costituirla l’avidità di questi beni; il concentrarsi in questa sola preoccupazione è causa della viltà del carattere, poiché l’uomo non ha il coraggio di affrontare il mondo e la tirannide quando vuol salvare i propri interessi temporali, il proprio posto, l’impiego e la situazione nel mondo.
Egli, allora, diventa servile, accondiscende alla prepotenza degli empi, dissimula la propria fede e i propri doveri, è praticamente apostata della verità e del bene. Il non riporre la fiducia nei beni terreni e il non preoccuparsene è essenziale al carattere cristiano, perché l’arma preferita dai tiranni è proprio quella di spogliare e di affamare; per questo Gesù provò con una parabola quanto fosse vano riporre la speranza in quei beni che si debbono lasciare e quanto fosse stolto compromettere la propria situazione eterna per quello che è fugace e non può conservarsi.
Se ciò che si può avere in terra durasse sempre, sarebbe meno stolto attaccarvisi; ma, sapendo che inesorabilmente passa, e che è per noi una posizione provvisoria, è vera stoltezza stabilirvi il cuore.

La parabola di Gesù
Ecco la parabola che disse Gesù, la quale può applicarsi a ciascuna creatura. Ad un uomo ricco fruttò molto la campagna. L’abbondanza del raccolto gli dava una sicurezza incrollabile per l’avvenire e pensò di tutelare quella ricchezza per renderla stabile. Decise, perciò, di demolire i vecchi depositi, angusti e ristretti, e di fabbricarne altri più grandi. Era questa la sua sicurezza, e si riprometteva già una vita ricca e abbondante per parecchi anni, quando la voce di Dio gli si fece sentire, e gli disse che in quella stessa notte sarebbe morto.
A che cosa, allora, poteva servirgli quello che aveva raccolto se doveva lasciarlo? E di chi sarebbe stato il frutto delle sue fatiche? Non avendo egli pensato ai beni dell’anima che cosa poteva portarsi nell’altra vita, innanzi a Dio?
Ogni uomo si preoccupa di procurarsi un benessere materiale, una casa elegante, delle entrate sicure, delle comodità signorili, e fa spesso immensi sacrifici per riuscirvi, anzi a volte compromette persino l’anima sua. Ma i beni materiali non allungano la vita e tanto meno la rendono eterna; passano gli anni, i mesi, i giorni, e tutto deve lasciarsi. È un pensiero terribile che dovrebbe renderci sapienti.
Ci sono quelli che accumulano denaro, case, oggetti di arte, gioielli, monete d’oro, libri rari, e si attaccano a queste cose; ma a che servono? Dopo la morte vengono dilapidate dagli altri, e non danno altra eredità che una tomba! Chi si attacca a queste cose si preoccupa solo di conservarle, non ha il cuore libero in Dio, non ha un carattere capace di resistere al male e, posto nell’occasione, cade nell’abisso del peccato o dell’apostasia. A volte si teme più la privazione dei beni materiali che la morte stessa e, di fronte al pericolo di perdere la propria posizione, si rimane titubanti e si ricorre a tutti i sotterfugi dell’opportunismo.
È questa la vera causa dell’acquiescenza dei buoni alle prepotenze dei tiranni, ed è la causa per la quale questi finiscono per prendere il sopravvento. Si giunge ad ogni viltà e si accettano le più empie sopraffazioni, perché si teme per il posto, per la scuola, per l’avvenire materiale dei figli e si soggiace alle più turpi ed esiziali leggi anticristiane. Eppure basterebbe confidare in Dio e affrontare con intransigenza assoluta l’empietà, per costringerla alla resa.

Tutto è precario nella vita, fuorché la fiducia in Dio
Gesù Cristo, con parole tenerissime e paragoni mirabili esorta i suoi discepoli e i cristiani di tutti i tempi ad una fiducia così piena e illimitata in Dio da rendere il proprio carattere forte e incrollabile in qualunque prova: La vita vale più del cibo, e il corpo più del vestito; ora, Dio che ha dato la vita e che ha dato il corpo, non darà il cibo e il vestito a quelli che confidano in lui? Egli mostra la sua provvidenza persino negli animali e li provvede di cibo, benché essi non seminino, non mietano e non abbiano né dispense né granai. È un argomento perentorio sulla provvidenza di Dio, poiché è certo che nessun animale manca del suo cibo, pur non avendo speciali attitudini per accumularne riserve; esso va, lo cerca, e Dio glielo fa trovare; se si riscontra qualche eccezione a questa regola è proprio fra gli animali che convivono con gli uomini, e che dovrebbero essere più certi del loro sostentamento.
Per questo Gesù cita il paragone del corvo che vive liberamente nei campi. La sicurezza della provvidenza non viene dall’uomo ma da Dio, ed è proporzionata alla fiducia che si ha in Lui, non all’entità degli stipendi o delle entrate.
In questo il Signore ci vuole interamente abbandonati a Lui e mostra con i fatti come falliscono tutte le nostre iniziative per assicurarci una posizione materiale nel mondo. La nostra vera assicurazione sta in Dio, perché da Lui dipende la nostra vita.
Nessuno può accrescere la propria statura a furia di pensarci, se mai potrebbe diminuirla, consumandosi la salute nella preoccupazione. Ora se non si può fare quello che è meno, come si può pretendere di fare il più, provvedendo alla posizione stabile della vita? Quale posizione, poi, può essere mai stabile?
Se hai un posto, puoi perderlo o puoi ammalarti; se hai dei campi, possono isterilirsi; se delle case, possono crollare o essere oberate di tasse; se dei titoli di rendita, possono essere svalutati; se una persona cara che ti provvede, può venirti meno.
Tutto è precario fuorché la fiducia in Dio, il seguire la sua volontà, il servirlo e attendersi dalla sua bontà il sostentamento e il necessario alla vita.
Ecco i gigli del campo: non lavorano e non filano, eppure sono vestiti da Dio come neppure Salomone fu vestito nella sua magnificenza; ora, se Dio ha cura delle piante non l’avrà dell’uomo che lo serve e confida in Lui? Perché tormentarsi lo spirito nelle cose materiali, come fanno quelli che non credono in Dio? Pensare al proprio sostentamento sotto lo sguardo di Dio non è un male, ma tormentarsi lo spirito o, peggio, andare contro la divina volontà, presumendo di pensare meglio al proprio sostentamento e al proprio avvenire non è una vera pazzia?
Gesù, anzi, va oltre e insegna non solo a non tormentarsi lo spirito per accumulare o per procurarsi una posizione, ma ad allargarlo nella carità e nella generosità fatta per puro amore di Dio, e a cercare i beni eterni, per essere certi di avere anche quelli temporali. È una sublime legge della vita, questa, che rende l’anima veramente superiore a tutte le cose terrene, ed eroica nel conservare quei beni e quei tesori eterni che non periscono mai. Pensare che Dio si è compiaciuto di darci il regno, cioè costituirci come padroni nel mondo, confidando in Lui, e pensare che ci ha dato il regno, orientandoci alla vita eterna, è tale libertà e sicurezza di spirito da renderci dominatori del mondo, trionfatori della vita, e strumenti della divina provvidenza per gli altri.
Essere distaccati da tutto, vivere sempre provvisoriamente sulla terra, aspettare tutto da Dio e lavorare non tanto per guadagnare, quanto per compiere la sua volontà nella missione che ci dà: ecco il mirabile segreto di una superiorità placida di carattere e di una pace profonda che nessuno può turbare e nessuno può sopraffare.
Com’è commovente pensare: Dio si prende particolare cura di me, fino al capello del mio capo! Veder cadere un capello e pensare: Non è caduto senza la divina volontà ci fa sentire in pieno nelle braccia della divina provvidenza, e non ci fa apparire la vita come una confusione di eventi casuali o capricciosi.

Vivere non solo abbandonati alla divina provvidenza, ma esserne strumenti con la generosità, l’elemosina, il soccorso dato agli altri, guardando ai beni eterni che nessuno può sottrarci significa porre il proprio cuore nei cieli, cercarvi un eterno tesoro, e curare poco le violenze o le sopraffazioni degli uomini.
Padre Dolindo Ruotolo 

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