Commento
al Vangelo – I Domenica di Avvento 2016 A (Mt
24,37-44)
I
segni della catastrofe
Altro
segno remoto, e potremmo dire caratteristico della fine del mondo,
sono le guerre e le voci di guerre, le sollevazioni di popolo contro
popolo e di gente contro gente, le conseguenti pestilenze e carestie,
e gli sconvolgimenti tellurici. Gesù Cristo avverte che tutto questo
deve avvenire, ma non
è ancora la fine,
perché le guerre e
le tribolazioni sociali ci furono anche al tempo delle persecuzioni
contro il cristianesimo, e furono così aspre da far credere prossima
la fine anche ad alcuni Padri della Chiesa. Gesù Cristo volle
appunto prevenire questo equivoco, dicendo che le guerre non
indicavano la fine imminente. Egli determina velatamente di quali
guerre intenda parlare e di quali sconvolgimenti, parlando di
persecuzioni in tutte le parti del mondo, di odio generale al nome
cristiano, di scandali caratteristici, di tradimenti, di odi, di
falsi profeti, di seduzioni universali, e soprattutto di
raffreddamento della
carità verso Dio e
verso il prossimo, dovuto al sovrabbondare dell’iniquità; Egli
specifica che questo avverrà quando il Vangelo sarà stato già
diffuso per tutto il mondo. Si può dire che Gesù abbia parlato
intenzionalmente in modo un po’ velato, quasi confondendo i segni
prossimi e quelli remoti della fine del mondo, e i segni della fine
di Gerusalemme; Egli volle eccitare le anime di tutti i tempi alla
vigilanza, e non volle terrorizzare eccessivamente quelle che si
sarebbero un giorno trovate nei terribili avvenimenti. Sapere con
certezza assoluta il tempo della fine potrebbe essere, per quelli che
ne sono lontani, un motivo per darsi bel tempo, e per quelli che ne
sono vicini un motivo di scoraggiamento e d’ignavia. L’incertezza
ci fa essere vigilanti e nello stesso tempo ci fa continuare nel
compimento dei nostri doveri, tanto nella vita familiare che in
quella sociale.
Dai
segni remoti caratteristici della fine del mondo, Gesù passa a
quelli prossimi, riguardanti la fine di Gerusalemme. E, prima di
tutto, l’abominazione
della desolazione,
cioè la desolazione
abominevole posta nel luogo santo, nel tempio. Il Sacro Testo
soggiunge: Chi legge
comprenda,
per indicare che non
si parla solo della profanazione del luogo sacro, ma anche di quella
dei ministri del santuario e dei fedeli.
Abominazione
desolante furono non solo i segni del dominio pagano nel tempio, ma
soprattutto le stragi commesse nel suo recinto dalla setta dei
zeloti, i quali se ne impossessarono con le armi, e per tre anni e
mezzo vi commisero le più orrende scelleratezze, facendovi perire
più di 8500 uomini, come racconta Giuseppe Flavio nella guerra
giudaica (6,3).
In
questo periodo vi era il tempo di fuggire dalla città, mentre,
quando i Romani l’assediarono, non fu più possibile, e per questo
Gesù Cristo esortò tutti a porsi in salvo senza indugio, con
espressioni che mostrano l’imminenza del pericolo. Quando
cominciarono, infatti, le ostilità tra gli Ebrei e i Romani, nessuno
pensava che si sarebbe giunti all’ultima desolazione; i Romani
crederono si trattasse di una semplice sedizione, facilmente
domabile, e gli Ebrei che si trattasse di una rivendicazione
nazionale vittoriosa, illusi com’erano dai falsi cristi e dai falsi
profeti. Solo i cristiani, ricordando le parole del Redentore,
abbandonarono la città e si rifugiarono a Pella, nelle montagne di
Galaad al di là del Giordano, prima che le armate di Tito ponessero
l’assedio alla città. Il terribile assedio sorprese quasi
all’improvviso gli Ebrei, e perciò Gesù Cristo, profetizzandolo,
disse che era necessario pregare che la fuga dalla città non fosse
avvenuta né in giorno di sabato, nel quale gli Ebrei credevano di
non poter percorrere più di due miglia né d’inverno, per le
difficoltà che offriva un viaggio lontano, fatto in montagna.
Logicamente le persone più infelici in quelle tragiche circostanze
sarebbero state le donne o incinte o allattanti, per le grandi
difficoltà che avrebbero trovato in una fuga precipitosa.
Di
nuovo, Gesù guardò anche agli eventi della fine del mondo insieme
con quelli di Gerusalemme, ed esclamò che la tribolazione sarebbe
stata senza precedenti e tale che, se quei giorni non fossero stati
abbreviati per amore degli eletti, nessuno sarebbe scampato alla
catastrofe. Concludendo con la sua profezia, Gesù parla in modo
determinato di un falsario che si farà credere il Cristo: Ecco
qui il Cristo e eccolo là,
e di falsari che lo
sosterranno, inducendo moltissimi in errore e facendo pericolare
persino gli eletti. Questo falsario, circondato dal prestigio di
falsi miracoli, trarrà dalla sua parte moltissima gente. Gesù,
però, ammonisce che Egli verrà in modo da farsi scorgere da tutti
in un momento, come il lampo, verrà gloriosamente con grande maestà,
e non sarà necessario andarlo a rintracciare nel deserto o nelle
case private. Come le
aquile,
o meglio gli
avvoltoi, si raccolgono là dove sono i corpi, così le anime si
sentiranno tratte al luogo del giudizio, dove apparirà Gesù Cristo
nella maestà di Giudice, e dove esse verranno per assistere
all’epilogo finale della storia del mondo. L’epilogo sarà
terribile, perché la giustizia esigerà una piena riparazione di
tutte le scelleratezze commesse nei secoli. Il mondo si scompaginerà,
il sole si oscurerà, forse per raffreddamento interno e la luna non
darà più luce. Frammenti di astri o asteroidi cadranno sulla terra
con immenso frastuono, e le potenze dei cieli appariranno sconvolte.
In questi terribili momenti apparirà nel cielo la croce, e
giustamente, perché allora, quasi tutte le genti l’avranno
rinnegata e profanata. Il segno aborrito dai seguaci dell’anticristo
apparirà in una gran luce di fuoco, e le genti risorte o ancora
superstiti sulla terra piangeranno, alcune disperatamente, altre
ancora fedeli per immensa gioia. Verrà Gesù Cristo sulle nubi del
cielo, con grande maestà, in una luce abbagliante che risplenderà
più bella sullo sfondo cupo e rossiccio del cielo; apparirà non più
umiliato, ma nella maestà della sua regale e divina grandezza, e
sarà visibile a tutti. Gli angeli, mandati da Lui, chiameranno
allora gli eletti da tutte le parti del mondo, come si chiama con la
tromba un esercito alla raccolta. Forse si farà sentire veramente un
suono solenne in tutte le parti del mondo, e in ogni caso si farà
sentire la voce del comando della divina volontà che esigerà la
glorificazione dei giusti, disprezzati e manomessi nella loro vita
mortale.
L’annuncio
dato da Gesù Cristo è terribile sia per gli Ebrei che per gli
uomini di tutti i secoli; la rovina della nazione ebraica e quella di
tutta la terra esigeva una grande vigilanza, soprattutto quando si
sarebbero cominciati a verificare i segni precursori delle due
catastrofi. Quando il fico mette le foglie, si capisce che l’estate
si avvicina, e non si può dubitare che sia così; nella stessa
maniera i segni preannunciati sarebbero stati certissimo annuncio
della venuta imminente del Redentore glorioso e della manifestazione
della divina giustizia. Gesù soggiunse: Non
passerà questa generazione prima che siano successe tutte queste
cose,
intendendo parlare
della generazione a Lui contemporanea che avrebbe visto la
distruzione di Gerusalemme, come di fatto avvenne, e del terzo
periodo della vita del mondo che non sarebbe trascorso senza che
tutto si fosse avverato. Egli aveva inaugurato il nuovo patto e il
periodo storico nel quale doveva svilupparsi, ed Egli doveva
concluderlo per sempre con una manifestazione solenne di potenza. Lo
inaugurò con l’umiliazione del Calvario, e lo compirà con la
glorificazione del Giudizio universale.
Questo
è certissimo – soggiunse il Redentore –, ma quanto al
giorno e all’ora in
cui avverrà, cioè quanto al tempo preciso, nessuno lo sa, eccetto
il Padre; Egli voleva dire che era un segreto di Dio che neppure il
Figlio sapeva per
comunicarlo agli uomini. Egli
lo conosceva certamente in quanto Dio e in quanto uomo ma, non
potendolo comunicare, doveva dire di non saperlo neppure Lui, quasi
ambasciatore legato dal segreto. Avverrà come al tempo del diluvio:
gli uomini spensierati continuarono nella loro vita e nei loro
peccati, nonostante le esortazioni di Noè, e non crederono al
flagello che quando ne furono colpiti. Così avverrà che di due
persone che sono nel medesimo campo, o al medesimo lavoro, una sarà
salva e una sarà perduta, perché quella che è buona non sospetterà
la fine e non penserà a convertire l’altra, e quella che è
cattiva continuerà nelle sue occupazioni materiali e nei suoi
peccati.
Occorre
dunque vigilare e vivere come se fosse sempre imminente il giorno del
Giudizio. Bisogna vigilare come un padre di famiglia che teme, in
qualunque ora, l’assalto del ladro, e come servo fedele che, in
attesa del suo padrone, si comporta bene e, quando egli ritorna,
riceve il premio della sua fedeltà. Chi, credendo lontano il Giorno
di Dio, si dà bel tempo, e maltratta gli altri, è simile al servo
infedele che è sorpreso nel compiere il male dal padrone, ed è
diviso,
cioè è punito,
scacciato e tagliato in due, come si usava fare con gli schiavi
ribelli, precipitando così nell’eterna perdizione.
Don Dolindo Ruotolo