sabato 14 ottobre 2017

I nuovi chiamati nel Regno di Dio al posto degli ingrati

I NUOVI CHIAMATI NEL REGNO DI DIO AL POSTO DEGLI INGRATI

Commento al Vangelo della XXVIII Domenica del T.O. (Mt 22,1-14)

Gesù Cristo volle, con un’altra parabola, annunciare il passaggio del regno di Dio ai popoli pagani e, nello stesso tempo, proclamò questa legge provvidenziale che concede ai poveri e agli abbandonati le ricchezze spirituali rifiutate dai primi chiamati. La fondazione e lo sviluppo della Chiesa possono paragonarsi veramente alle nozze del Figlio del gran Re eterno, di Dio, poiché egli così ha sposato l’umanità che vuol congiungersi a Lui, per essere fecondata dalla sua grazia e dai suoi meriti.
Secondo gli usi orientali, le nozze si celebravano col banchetto nuziale, e a quelli che vi erano stati invitati in un primo momento veniva rinnovato l’invito, poco prima del banchetto, dai servi del capo di casa. Se le nozze erano regali, i servi portavano a ciascuno un abito di circostanza, per accrescere splendore alla festa.
Il Signore aveva invitato gli Ebrei alle nozze del proprio Figlio, eleggendoli come prima famiglia della sua Chiesa; ad essi sarebbe spettata per diritto di elezione questa santa eredità e, per raccoglierla, avrebbero dovuto prepararsi al dono di Dio con una vita profondamente spirituale. Invece si concentrarono tutti nella vita corporale e materiale e, venuto il tempo, non solo non si curarono dell’invito ricevuto, ma disprezzarono i servi del Signore che li chiamavano, e giunsero fino ad ucciderli. I profeti, e particolarmente san Giovanni, avevano parlato chiaramente del Redentore, ma gli Ebrei non li ascoltarono e rifiutarono la grazia. Allora il Signore punì gl’ingrati per mezzo delle milizie romane, disperdendoli; e mandò i suoi servi, cioè gli apostoli ai crocicchi delle vie, ossia nei principali centri del mondo, affinché avessero chiamato alle nozze ogni genere di persone, buoni e cattivi, cioè preparati e impreparati alle nozze, invitandoli al banchetto già pronto.
Gesù Cristo esprime nella parabola, come un fatto già avvenuto, quello che doveva ancora avverarsi dopo la sua Ascensione al cielo. Quando gli apostoli si sparsero per il mondo, infatti, tutto era già preparato: era immolato l’Agnello divino, erano istituiti i Sacramenti, erano comunicati i doni dello Spirito Santo, e si attendevano solo quelli che avrebbero dovuto usufruire di tante ricchezze di grazia.
Gli apostoli andarono per tutta la terra, e chiamarono le genti al banchetto di vita, dando loro, con la grazia, quella veste nuziale di santificazione che doveva renderle ca-paci di poter comparire al cospetto del Signore.
L’invitato mancante della veste nuziale figurava e rappresentava quelli che avreb-bero preteso far parte della Chiesa senza mutare abito, cioè senza uniformarsi allo spirito nuovo che il Signore voleva come caratteristica del cristiano e, di conseguenza, sarebbero stati cacciati fuori del banchetto, nelle tenebre esteriori cioè nelle tenebre della vita naturale, estranea alla vita della grazia, legati mani e piedi, ossia privi di libertà vera, tra gli orrori e il pianto causati dalla pretesa civiltà senza-Dio, infelici, e ripudiati.
Gesù Cristo concluse la sua parabola dicendo che molti sono i chiamati al regno di Dio e pochi gli eletti. Questa sentenza non può riferirsi, evidentemente, a colui che era stato escluso dal banchetto, perché egli rappresentò anzi un’assoluta minoranza, una minima percentuale di fronte a quelli che avevano partecipato al banchetto. Le parole di Gesù sono una sentenza generale che riguarda l’economia della salvezza eterna in quelli che sono chiamati al regno di Dio. Molti furono chiamati al banchetto, ma si rifiutarono di parteciparvi; moltissimi furono nuovamente chiamati e vi parteciparono per misericordia, rivestiti della veste nuziale donata dal re; uno solo fu escluso perché non si curò di vestirsi di quell’abito nuziale. Gli eletti non furono quelli che parteciparono al banchetto che furono molti, e riempirono la sala nuziale; gli eletti sono quelli che, tra gl’invitati, diventano gli amici del re e i privilegiati della sua corte, ossia i santi e le anime privilegiate. Non ci sembra che si possa contorcere la frase di Gesù per discutere sul poco numero degli eletti, perché il suo senso genuino è proprio l’opposto, come si rileva dal contesto.
Gli Ebrei erano stati chiamati per essere i privilegiati del nuovo patto, e avrebbero dovuto essere grandi santi; invece si rifiutarono di far parte della Chiesa, e fra essi furo-no pochi gli eletti, i santi che ne fecero parte e la fondarono. I pagani, e con essi la massa dell’umanità, furono chiamati e parteciparono in massa al banchetto, ma tra essi, relativamente al loro immenso numero, furono e sono pochi gli eletti, cioè quelli di vita veramente santa. La misericordia di Dio, in tal modo, chiama tutti al suo regno, e non c’è popolo o anima che non sia capace di farne parte; sono esclusi quelli che non vi vogliono entrare positivamente, e quelli che ne rifiutano le grazie. Il numero dei chiamati, cioè di quelli che per misericordia raggiungeranno la Patria eterna è immenso, è tanto grande che può dirsi la maggioranza degl’invitati al banchetto della vita.
Se si pensa a quelli che solo in punto di morte ricevono i Sacramenti e fanno con Dio una pace affrettata, poggiata unicamente sulla generosità divina, e se si riflette che la Chiesa medesima li riguarda come salvati e li benedice fin nella tomba, si deve dire che, per divina bontà, non sono molti quelli che si perdono, e che il Signore ha mille porte di misericordia per salvare anche quelli che sembrano perire come disgraziati, nei flagelli comuni che colpiscono l’umanità.
La salvezza è espressa sotto il simbolo di un banchetto, proprio per indicarne la relativa facilità, perché non ci vuol molto a rispondere ad un invito, quando si trova già tutto pronto. Il Banchetto eucaristico che è la vera tavola imbandita per farci partecipare alle nozze del Re divino e darcene la vita, è di per sé già colmo di ogni bene spirituale, e chi vi si accosta vi trova quanto gli serve per sostentarsi spiritualmente e per poter raggiungere la Patria eterna. La vera sventura delle anime è sempre e solo il distaccarsi dal Banchetto eucaristico, con la scusa delle occupazioni materiali della vita; la mancanza di Cibo eucaristico porta immediatamente il rilassamento interiore ed esteriore della vita cristiana, e riduce le anime nelle tenebre degli errori e negli abissi delle passioni. Le vertiginose e fatue attività della civiltà moderna, rendendo più co-mune la scusa di non poter partecipare al Banchetto della vita, hanno ridotto l’umanità nello stato degradante e penosissimo nel quale la vediamo. Per risorgere, non ci vo-gliono riforme e tanto meno nuove forme di pretesa civiltà: bisogna tornare in massa al Banchetto eucaristico e partecipare così, intimamente, alla vita di Gesù Cristo. In questo sta la salvezza del mondo.
Don Dolindo Ruotolo

sabato 7 ottobre 2017

Gesù svela la cattiva disposizione dei suoi nemici

Commento al Vangelo della XXVII Domenica TO 2017 A (Mt 21,33-43)

Gesù svela la cattiva disposizione dei suoi nemici
        I principi dei sacerdoti, cioè i capi delle 24 famiglie sacerdotali, e gli anziani del popolo, cioè i membri del sinedrio appartenenti al popolo, erano sommamente adirati nel vedere che Gesù insegnava, sembrando loro un arbitrio, e perciò gli si avvicinarono, domandandogli con quale potestà compiva quel ministero. Non glielo chiedevano per indagare, ma per dirgli, con quell’espressione, che egli usurpava un potere che non aveva. Gesù Cristo non avrebbe potuto rispondere loro che insegnava per propria divina autorità, perché essi ne avrebbero preso motivo per tacciarlo di bestemmia; non poteva venire a discussione con loro, perché erano mal prevenuti; Egli allora, per convincerli che erano mossi da malafede, disse che voleva prima da loro una risposta precisa sulla natura del battesimo di san Giovanni. Se avessero agito per vero zelo non sarebbero dovuti ricorrere a sotterfugi, ma dire apertamente la verità; essi, invece, risposero che non sapevano da dove provenisse il battesimo di san Giovanni, e Gesù, di rimando, disse che neppure Egli avrebbe detto loro con quale potestà operava.
        Con delicata carità, volle richiamare la loro attenzione sulle vere disposizioni della loro coscienza, e su quelle della sinagoga, e volle indirettamente rispondere alla loro domanda; perciò propose le parabole dei due figlioli e dei cattivi vignaioli. Essi si mostravano così zelanti dell’osservanza della Legge, ma a parole soltanto; in pratica non ne facevano nulla, mentre i peccatori e le meretrici, trasgressori della Legge, ascoltavano la Parola di Dio, si pentivano, riparavano le loro pessime azioni, e praticamente operavano il bene più di quelli che se ne mostravano zelanti.
        Giovanni venne da parte di Dio a richiamare i peccatori alla conversione, e ci riuscì, mentre essi, pur protestandosi fedeli, rifiutarono di credergli, rinnegando così le medesime Scritture che lo avevano annunciato. Si erano meravigliati che Egli insegnasse senza la loro autorità, ma avevano dimenticato che in ogni tempo Dio aveva mandato profeti straordinari, con autorità ricevute da Lui immediatamente?
        Egli, allora, aveva inviato lo stesso suo Figlio e, invece di congiurare contro di Lui, avrebbero dovuto ascoltarlo e riverirlo più di qualunque profeta. In realtà, anch’essi seguivano l’esempio dei loro padri che avevano perseguitato i profeti, e già si accingevano a cacciare fuori di Gerusalemme Lui stesso e ad ucciderlo. Perciò sarebbero stati puniti come vignaioli infedeli, sarebbero stati privati dei benefici divini, mentre Egli, posto come pietra angolare del regno di Dio, sarebbe passato ai pagani, fondando la Chiesa sulla ferma roccia, incrollabile edificio della nuova alleanza.
        Gesù Cristo parlò severamente ai suoi oppositori, perché essi non cercavano la verità, e difatti, a conclusione dei suoi discorsi,cercarono di mettergli le mani addosso. È vero che essi si trovavano di fronte a un fatto nuovo e singolare che in quel caso appariva loro come l’arbitrio di un uomo, ma si trovavano anche innanzi ad argomenti di verità luminosissimi che avrebbero potuto e dovuto approfondire. Noi, troppo abituati a vedere anime false o illuse, potremmo quasi trovare giustificata l’opposizione degli scribi, dei farisei e dei sacerdoti; se vedessimo oggi un profeta forse lo lapideremmo anche noi, e forse lo lapidiamo realmente; ma non dobbiamo dimenticare che Gesù Cristo era Dio, e che, conversando con Lui, avendo solo un po’ di rettitudine e d’umiltà, sarebbe stato impossibile non scorgere l’immensa luce che da Lui emanava, e non sentirsi conquisi dal suo ineffabile amore.
Per la nostra vita spirituale
        Noi viviamo in un’epoca d’intensa persecuzione contro Gesù Cristo e la sua Chiesa; ascoltiamo da ogni parte le grida frenetiche degli scalmanati che rifiutano il regno di Lui, e che portano in trionfo il male e i più spregevoli fra gli uomini. In tanta tempesta di apostasia e d’ingratitudini dobbiamo essere tutti come asine e asinelli che portano in trionfo il Re d’Amore. Lasciamo ciò che è terreno, rinneghiamo noi stessi, formiamo nel mondo stesso come un tappeto d’onore al Re divino, spogliandoci di noi e, nonostante tutto, portiamo Gesù in trionfo. I gloriosissimi martiri moderni ce ne danno l’esempio: Gesù avanza ed essi hanno rinunciato alla loro vita e gli hanno formato, per così dire, con i loro corpi e col loro sangue un cammino d’onore per farlo trionfare. In un’atmosfera così calda, anzi arroventata, di sedizione e di orrori, eleviamo anche noi le palme del trionfo sul mondo e su tutte le eresie moderne, e gridiamo: Osanna al Redentore divino, benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna! S’impone al nostro cuore una fedeltà incrollabile, fino alla morte, e diremo pure una serietà di vita, perché, in un ambiente di angustie e di eroismi singolari, non possiamo rimpicciolirci in tante stupidaggini d’interessi, di sport, di moda né possiamo eccessivamente preoccuparci delle nostre velleità. Quello che deve preoccuparci veramente è il trionfo di Gesù Cristo su tutte le miserie dell’apostasia moderna.
        La nostra fede sia piena, viva e ricca di opere; se siamo come il fico infruttuoso, tutto apparenze, meritiamo la maledizione del Signore. Saremmo pieni di foglie se ci contentassimo di un apostolato esterno e trascurassimo quello interno, se fossimo osservanti di una disciplina organizzatrice e trascurassimo quella della perfezione d’animo.
        Tempio vivo di Dio siamo noi, e non possiamo farci profanare dalle preoccupazioni della vita terrena. Chi non conosce altra occupazione che quella riguardante i beni temporali – comprare, vendere, possedere –, è tempio profanato. Come potrebbe esserci una Chiesa senza la Santa Messa, l’Eucaristia, la preghiera, la Confessione? E come può vivere un’anima, tempio di Dio, senza ascoltare la Messa, confessarsi, comunicarsi e pregare? Una giornata, passata solo tutti intenti al lavoro materiale o agli affari, rappresenta una giornata di profanazione per il tempio dell’anima.
        In questi tempi difficili e amarissimi, Dio ci chiama in tanti modi alla conversione, e manda anche oggi, nella sua vigna, anime straordinarie per farci risorgere a nuova vita cristiana; non siamo come i vignaioli infedeli! Non ricacciamo sistematicamente tutto ciò che sa di straordinario e di soprannaturale, perché, facendo così, ricacceremo anche Gesù Cristo che ci visita.
         L’infedeltà ai doni del Signore può renderci indegni del regno di Dio, e può farlo passare agli altri popoli, come già vediamo. Umiliamoci e riconosciamoci peccatori; convertiamoci a Dio quando i santi ci richiamano a Lui; mostriamoci gelosi della ricchezza della nostra fede che è un tesoro insostituibile, e siamo fieri del carattere cristiano, senza cercare altre bandiere sotto le quali percorrere il nostro cammino mortale. Persuadiamoci che Gesù Cristo è la pietra angolare del mondo, e che Egli vive solo nella sua Chiesa e nel Papa; chi urta contro di Lui è sfracellato, e chi presume di erigersi sopra di Lui è schiacciato dalla sua maestà e potenza. È la storia di venti secoli che ce lo conferma, è la storia contemporanea che noi stessi viviamo: tutto rovina in quel regno o in quella coscienza dove Gesù Cristo è perseguitato e dove è disconosciuta la Chiesa e il Papa che ne è capo; le nazioni decadono, s’imbarbariscono, sono rese schiave, muoiono; gli individui si abbrutiscono, si sconvolgono, marciscono, rovinano; è la legge della storia che non fallisce e non fallirà mai! 
Don Dolindo Ruotolo

sabato 30 settembre 2017

VIGNAIOLI

Commento al Vangelo della XXVI Domenica TO 2017 A (Mt 21,28-32)

I due figlioli e i cattivi vignaioli
I principi dei sacerdoti, cioè i capi delle 24 famiglie sacerdotali, e gli anziani del popolo, cioè i membri del sinedrio appartenenti al popolo, erano sommamente adirati nel vedere che Gesù insegnava, sembrando loro un arbitrio, e perciò gli si avvicinarono, domandandogli con quale potestà compiva quel ministero. Non glielo chiedevano per indagare, ma per dirgli, con quell’espressione, che egli usurpava un potere che non aveva. Gesù Cristo non avrebbe potuto rispondere loro che insegnava per propria divina autorità, perché essi ne avrebbero preso motivo per tacciarlo di bestemmia; non poteva venire a discussione con loro, perché erano mal prevenuti; Egli allora, per convincerli che erano mossi da malafede, disse che voleva prima da loro una risposta precisa sulla natura del battesimo di san Giovanni. Se avessero agito per vero zelo non sarebbero dovuti ricorrere a sotterfugi, ma dire apertamente la verità; essi, invece, risposero che non sapevano da dove provenisse il battesimo di san Giovanni, e Gesù, di rimando, disse che neppure Egli avrebbe detto loro con quale potestà operava.
Con delicata carità, volle richiamare la loro attenzione sulle vere disposizioni della loro coscienza, e su quelle della sinagoga, e volle indirettamente rispondere alla loro domanda; perciò propose le parabole dei due figlioli e dei cattivi vignaioli. Essi si mostravano così zelanti dell’osservanza della Legge, ma a parole soltanto; in pratica non ne facevano nulla, mentre i peccatori e le meretrici, trasgressori della Legge, ascoltavano la Parola di Dio, si pentivano, riparavano le loro pessime azioni, e praticamente operavano il bene più di quelli che se ne mostravano zelanti.
Giovanni venne da parte di Dio a richiamare i peccatori alla conversione, e ci riuscì, mentre essi, pur protestandosi fedeli, rifiutarono di credergli, rinnegando così le medesime Scritture che lo avevano annunciato. Si erano meravigliati che Egli insegnasse senza la loro autorità, ma avevano dimenticato che in ogni tempo Dio aveva mandato profeti straordinari, con autorità ricevute da Lui immediatamente?
Egli, allora, aveva inviato lo stesso suo Figlio e, invece di congiurare contro di Lui, avrebbero dovuto ascoltarlo e riverirlo più di qualunque profeta. In realtà, anch’essi seguivano l’esempio dei loro padri che avevano perseguitato i profeti, e già si accingevano a cacciare fuori di Gerusalemme Lui stesso e ad ucciderlo. Perciò sarebbero stati puniti come vignaioli infedeli, sarebbero stati privati dei benefici divini, mentre Egli, posto come pietra angolare del regno di Dio, sarebbe passato ai pagani, fondando la Chiesa sulla ferma roccia, incrollabile edificio della nuova alleanza.
Gesù Cristo parlò severamente ai suoi oppositori, perché essi non cercavano la verità, e difatti, a conclusione dei suoi discorsi, cercarono di mettergli le mani addosso. È vero che essi si trovavano di fronte a un fatto nuovo e singolare che in quel caso appariva loro come l’arbitrio di un uomo, ma si trovavano anche innanzi ad argomenti di verità luminosissimi che avrebbero potuto e dovuto approfondire. Noi, troppo abituati a vedere anime false o illuse, potremmo quasi trovare giustificata l’opposizione degli scribi, dei farisei e dei sacerdoti; se vedessimo oggi un profeta forse lo lapideremmo anche noi, e forse lo lapidiamo realmente; ma non dobbiamo dimenticare che Gesù Cristo era Dio, e che, conversando con Lui, avendo solo un po’ di rettitudine e d’umiltà, sarebbe stato impossibile non scorgere l’immensa luce che da Lui emanava, e non sentirsi conquisi dal suo ineffabile amore.
Padre Dolindo Ruotolo

sabato 23 settembre 2017

Gli operai del Regno di Dio

Commento al Vangelo della XXV Domenica TO 2017 A (Mt 20,1-16)
Don Dolindo Ruotolo
Gli operai del regno di Dio
Gesù Cristo, parlando della mercede che avrebbero avuto i suoi fedeli seguaci, aveva detto che molti dei primi sarebbero stati gli ultimi, e molti degli ultimi i primi (19,30). Queste parole erano indirettamente la risposta a quella certa presunzione che aveva avuto san Pietro, domandando quale premio sarebbe spettato loro per aver lasciato tutto. San Pietro aveva parlato in quel modo per sconsideratezza, e Gesù, nella sua dolcezza, non lo aveva rimproverato, anzi gli aveva risposto secondo il suo desiderio; Egli, però, non poteva far passare senza una rettifica quella pretesa di avanzare un diritto di fronte alle elargizioni della grazia e, con una parabola, spiegò anche meglio come i primi potevano essere gli ultimi e gli ultimi – i quali, senza pretendere nulla, si rimettono con umiltà alla generosità del Signore –, potevano diventare i primi. Egli, così, rivelava un segreto dell’economia della grazia che è sempre misericordia, e della nostra corrispondenza che ha per fondamento l’umiltà e il servire al Signore per amore.
In tutte le parabole, Gesù Cristo utilizzava o un fatto realmente successo o le circostanze degli usi locali, in modo da presentarli con i caratteri psicologici di un fatto reale, e renderne più completa l’applicazione che voleva farne.
La parabola che raccontò per mostrare che gli ultimi sarebbero stati i primi e i primi gli ultimi forse ebbe come fondamento la scena reale di operai che attendevano lavoro su una delle piazze per le quali Egli passò.
Anticamente, infatti, gli operai si trattenevano in piazza con gli arnesi del loro mestiere, e si offrivano pronti a chi li avesse reclutati, dopo aver pattuito il prezzo della giornata. Gesù, nel vedere quell’assembramento, o riferendosi all’uso che vigeva, rivolto ai suoi cari, disse: Il regno dei cieli è simile ad un padre di famiglia, il quale uscì di buon mattino per assoldare lavoratori per la sua vigna. Trovò sulla piazza i primi che vi si erano radunati e, pattuita con essi la mercede di un denaro, cioè di circa 78 centesimi, li mandò nella sua vigna. La paga, per quei tempi, era normale e poteva dirsi anche vistosa. Non bastandogli ancora gli operai reclutati, uscì verso l’ora terza, cioè alle nove, per chiamare altri e, trovatili disoccupati, promise loro una giusta mercede, e li mandò nella sua vigna. Lo stesso fece all’ora sesta e nona, cioè alle dodici e alle tre. È evidente, dal contesto della parabola, che il padrone reclutò gli altri operai anche per un sentimento di misericordia, vedendoli disoccupati, e perciò verso l’undicesima ora, cioè un’ora prima del tramonto, ritornò in piazza e, visti degli operai che oziavano perché nessuno li aveva chiamati, li mandò nella sua vigna a fare almeno l’ultima ora di lavoro.
Venuta la sera, il padrone ordinò al suo fattore di pagare gli operai, cominciando dagli ultimi, e dando loro un denaro. Egli volle, in tal modo, aiutarli nella loro povertà, e supplire, con la sua generosità, al lavoro che essi non avevano potuto fare per non essere stati chiamati in tempo. I primi venuti si aspettavano una paga maggiore, ma ebbero anch’essi un denaro, secondo il patto stabilito. Ricevutolo, cominciarono a mormorare contro il padrone e lo tacciarono d’ingiustizia verso di loro, mentre egli era stato solo misericordioso verso gli altri. Ascoltando quelle mormorazioni, il padrone si rivolse a uno che forse parlava a nome di tutti, e gli fece riflettere che non aveva ragione di lamentarsi, avendo avuto quello che gli spettava né doveva essere cattivo solo perché il padrone era buono.
Gesù chiuse la parabola dicendo: Così gli ultimi saranno i primi, e i primi gli ultimi, poiché molti sono i chiamati ma pochi gli eletti. Queste ultime parole: molti sono i chiamati ma pochi gli eletti, mancano nei codici più antichi, e si trovano in altri. Alcuni credono che formino la conclusione di un’altra parabola (22,14) e che qui siano spostate; esse, invece, formano la chiusa logica del pensiero altissimo che Gesù intese dire nella parabola, come subito vedremo.

È evidente, infatti che la moralità del racconto del Redentore sta in quelle parole: Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi, e che l’accenno ai chiamati e agli eletti si riferisce al pensiero del Redentore che nella parabola esponeva l’ordine della divina provvidenza e della divina grazia nell’elezione delle anime. 

sabato 16 settembre 2017

IL VALORE DEL PERDONO AGLI OCCHI DI DIO

Commento al Vangelo della XXIV Domenica TO 2017 A
(Mt 18,21-35)


Il valore del perdono agli occhi di Dio
San Pietro, come capo già eletto della Chiesa, e come colui al quale dovevano far capo le cause dei fedeli, accostatosi a Gesù gli domandò fino a quante volte dovesse perdonare un peccato, e subito, credendo di proporre un limite di generosità, domandò se doveva farlo fino a sette volte. Ma Gesù gli disse: Fino a settanta volte sette, cioè quasi senza confini, perché la misericordia usata verso i peccatori attrae la misericordia di Dio verso la Chiesa e i suoi membri, avendo tutti dei debiti più o meno gravi, innanzi al cospetto divino.
La parabola del debitore dei diecimila talenti
Per confermare questa verità, Gesù raccontò la bella parabola del debitore dei diecimila talenti e di quello di cento denari. Diecimila talenti, se computati col talento antico d’argento, usato in Palestina ai tempi di Gesù, equivalevano a circa 55 milioni, se computati col talento ebraico, equivalevano al doppio.
Il servo infedele, dunque, era debitore di una somma enorme, impagabile nonostante ogni suo sforzo. Simbolo bello questo del peccato diretto contro Dio che non può soddisfarsi senza una misericordia infinita. Cento denari equivalevano a circa 86 lire, e stabiliscono nella parabola la proporzione dell’offesa fatta a noi in confronto di quella fatta a Dio.
Se il Signore è tanto misericordioso con noi da perdonarci con un semplice atto di supplicante penitenza, anche noi dobbiamo essere misericordiosi verso chi è debitore verso la società, verso la Chiesa, o verso di noi di offese, o di danni.
Gesù condanna assolutamente la spietatezza verso i poveri peccatori, anche se questa spietatezza sembrasse giustificata dalla necessità di conservare l’ordine. La spietatezza non produce alcun bene: soffoca, opprime, toglie la libertà di rinsavire, inasprisce, ottenebra.

Bisogna dunque compatire e perdonare, poiché questo è l’esempio che ci dà Dio, e questo è il retaggio che Gesù Cristo ha lasciato alla sua Chiesa, perdonando sulla croce anche ai suoi crocifissori. Dobbiamo avere, sì, orrore del peccato; riproviamolo, condanniamolo, ma abbiamo misericordia per il peccatore, pensando che anche Dio ci ha usato tante misericordie, molto maggiori di ogni nostra valutazione. Certe forme di zelo spietato non piacciono a Dio, e praticamente non giovano a nulla, poiché la durezza inasprisce e incancrenisce le piaghe. Se invece di essere spietati si pregasse per i poveri traviati, quanti frutti di penitenza si raccoglierebbero nella Chiesa
Don Dolindo Ruotolo