sabato 18 agosto 2012

Il nostro atteggiamento innanzi al dono di Gesù

Commento al Vangelo della XX Domenica TO 2012 B (Gv 6,51-58) -
San Giovanni Eudes

Il nostro atteggiamento innanzi al dono di Gesù

La promessa di Gesù Cristo per noi è una realtà, poiché lo abbiamo vivo e vero con noi. Il fuoco sacro del tempio che non si estingueva mai era una pallida figura di questa fiamma divina d’amore e di carità che si accese nell’Ultima Cena e non si è spenta mai più. Il pensiero d’avere Gesù con noi dovrebbe farci mutare in angeli adoranti, e dovrebbe rende-re i sacerdoti serafini d’amore.
Invece, ahimè, è ancora notte nel nostro spirito, e dobbiamo fare quasi uno sforzo per non rinnegare il dono mirabile. Siamo come ciechi assiderati che stanno nei raggi del sole e non lo vedono, stanno esposti al suo calore e finché dura il gelo non se ne accorgono.
Da che deriva questa nostra insensibilità?
Seguiamo di nuovo il discorso di Gesù per scoprirne la causa, per-ché è di suprema importanza, per noi, porre un termine alla nostra ingratitudine.
Alla turba che lo cercava Gesù disse: Voi mi cercate perché avete mangiato i pani e ve ne siete saziati. Procuratevi non quel cibo che pas-sa, ma quello che dura sino alla vita eterna. Noi cerchiamo tanto spesso Gesù per cercare il pane materiale, per ottenere grazie temporali, per avere un conforto, e non intendiamo che l’Eucaristia è un cibo ordinato alla vita eterna.
Dobbiamo dunque andare da Gesù per vivere soprannaturalmente in Lui e per Lui, per unirci a Lui, trasvolare la terra e andare verso il Cielo. Questo ci scopre i veli che nascondono il dono di Dio. I pensieri della ter-ra ce lo nascondono, e quando non lo vediamo più possiamo dire con certezza che l’anima non è ancora orientata all’eternità.
È questa la ragione per la quale gli uomini specialmente, assillati dal-la ricerca del pane materiale, ne vivono tanto lontani, quasi che fossero estranei alla mensa dell’amore.
Quello che fu la manna per gli Ebrei è l’Eucaristia per noi: sostenta la vita dell’esilio, e ci fa giungere alla meta. La nostra vita senza la comunione quotidiana è un deserto senza manna, è una vita da affamati e da assetati.
Questa è l’opera di Dio – disse Gesù –, che voi crediate in Colui che Egli ha mandato. Bisogna credere veramente in Gesù Sacramentato, e rinnovare questa fede in Lui, ripetendogli spesso: Io credo in te vivo e vero in quest’Ostia d’amore, credo e t’adoro. È il Padre che ci attrae a Gesù, e Gesù ci accoglie per compiere la volontà del Padre; noi, dunque, andiamo a Dio compiendo la sua volontà nelle tribolazioni dell’esilio. Cerchiamo la sua gloria e il suo amore, ed Egli ci attrarrà a Gesù.
Gesù Cristo è il pane della vita, Egli alimenta e sostenta chi è vivo alla grazia, e impedisce che possa cadere nella morte. Il mondo è morto alla grazia perché è lontano da Gesù Eucaristia, e ne è lontano perché è morto; non vive che di carne, e l’impurità è ostacolo terribile all’intimità quotidiana con Gesù. È necessario purificarsi, e cercare non la soddisfa-zione di un momento, ma le gioie celesti.
Siamo esiliati, e tutto quello che possiamo raccogliere quaggiù non ci appartiene, è provvisorio, passa. Abbiamo solo un tesoro vero che ci appartiene, e che è come gemma venutaci dall’alto: il pane vivo disceso dal cielo. Questo è nostro, e questo ci alimenterà in eterno, svelandoci le meraviglie di Dio.
Ora, come potremo essere così stolti da attaccarci a quello che passa e non è nostro, e stare lontani dall’unica vera ricchezza che abbiamo nell’esilio? Quante volte insiste Gesù nel suo discorso che il suo Corpo e il suo Sangue ci donano la vita! Ora come possiamo noi rifiutarla, cercan-do la morte nelle misere cose della terra o, peggio, nel peccato? Quanti si ritirano da Gesù come i discepoli infedeli, perché sembra loro duro il rinunciare alla carne e al peccato! Che cosa terribile e spaventosa: rinunciare alla carne divina che dà la vita eterna, per non rinunciare alla carne del peccato che produce l’infelicità e la morte eterna! Dove compariranno quegli uomini che sono stati e sono lontani da Gesù, e che rifiutano l’unica vera e sublime felicità della vita, per non rifiutare i ceppi dell’infelicità?
È davvero impazzita l’umanità che affolla i ritrovi dove si perde la vita, e lascia deserto il tabernacolo dove la si trova e la si gode! Se si ac-quista familiarità con Gesù, e si orienta a Lui tutta l’anima, senza riserve, oh quanto è dolce conversare con Lui cuore a Cuore, nel placido silenzio che avvolge il tabernacolo!
Tu ci hai privilegiati, o Gesù, in una maniera mirabile; Tu sei con noi vivo e vero, Tu supplisci la nostra vita interiore, Tu sei nel tabernacolo rifulgente d’amore, e noi ti dimentichiamo, e tante volte riguardiamo come segreto di normale tranquillità stare lontano da te, o l’accomunarsi alle abitudini di quelli che non ti amano, o ti amano poco! Aprici gli occhi, non permettere più che siamo ingrati, castigaci se occorre, ma tienici fedeli all’amor tuo per sempre.
Padre Dolindo Ruotolo

martedì 14 agosto 2012

L'incontro con Santa Elisabetta

Commento al Vangelo: Assunzione della B.V. Maria 2012 (Lc 1,39-56) - Don Dolindo Ruotolo

L’incontro con santa Elisabetta

Maria si pose in viaggio per le vie deserte dei monti e camminava frettolosamente. Cercava la solitudine, perché ave
va un gran bisogno di amare in silenzio, e correva perché era quasi come spirito e non avvertiva il peso del corpo.
Chi ha provato un momento d’intimo amore con Dio sa quanta vita esso trasfonde in tutto il corpo, rendendolo più sottomesso all’anima, più docile strumento dello spiri-to; questa vita dovette essere immensa in Maria, tutta avvolta dalla fiamma dell’eterno Amore. Non poggiava quasi sul suolo e, come colomba librata al volo, divorava la via. Correva senza affannare, spinta come da un vento, perché la creazione le faceva quasi riverenza, e l’aria stessa si apriva innanzi a Lei, per non opporre resistenza ai suoi passi. Correva, esultando nel suo spirito, con passo sicuro e senza timore, perché la gioia pura dell’anima dà anche al corpo un novello vigore e una maggiore decisione nei suoi movi-menti. I suoi sentimenti si arguiscono da quelli espressi a santa Elisabetta, espressione magnifica dell’anima sua benedetta: glorificava Dio, esultava in Lui Salvatore, vivente nel suo seno, si umiliava e considerava la sua grande missione nei secoli, attribuiva al Signore tutta la propria grandezza, e considerava le conseguenze della misericordia fatta da Dio alla terra, la dispersione dei superbi, l’umiliazione dei grandi e l’elevazione degli umili. Era piena di Dio, conversava con Lui, lo amava d’intenso amore, piena di riconoscenza per il compimento delle promesse da Lui fatte ad Abramo e alla sua discendenza; cantava nell’esultanza del suo spirito, ed esplose nella pienezza del suo amore innanzi alla santa cugina.
Il saluto di Maria
Giunse presto in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta, dice il Sacro Testo. Non salutò il consorte di lei o per delicatezza, sapendolo muto e non volendolo mortificare parlando, o perché sapeva che era momentaneamente assente. Salutò con le parole allora più in uso. La pace sia con te, o con altra simile espressione e, al suono della sua voce, il bambino di Elisabetta trasalì di gioia nel seno di lei, ed ella fu ripiena di Spirito Santo.
La voce benedetta di Maria era come la voce stessa del Verbo Incarnato in Lei, perché Egli ne possedeva e ne elevava tutta la vita; era voce santa e santificante che operò quello che diceva come augurio di pace e, operandolo nello stesso tempo, santificò il Battista nel seno materno, e ne santificò la madre, riempiendola di Spirito Santo.
Elisabetta vide Maria nello splendore della sua sovrumana bellezza e ne rimase profondamente colpita. Il cammino, fatto sollecitamente, le aveva anche fisicamente ravvivato il colore del volto: l’espansione con la quale le si rivolse aveva fatto come affiorare tutta l’anima sua nelle linee del corpo purissimo; era come un’opera d’arte mirabile, un misto di semplicità e di maestà grande, un insieme di umiltà e di gloria, un’armonia di gioia profonda e di compostezza imperturbabile; era bellissima come non lo fu mai nessuna creatura, e rapiva perché spirava santità e pace da ogni movimento e da ogni parola.
Era ancora fanciulla: aveva poco più di quindici anni e, benché fosse già sviluppata, portava nella sua persona la casta e affascinante ingenuità propria dell’adolescenza. Era come un fiore aperto alla vita e, perché aperto per virtù dello Spirito Santo, conservava intatto quel candido fulgore d’integrità che è proprio delle vergini. Sembrava un angelo del Paradiso, più di un angelo, fulgente nei raggi della divinità che in Lei riposava, e diffondeva intorno una soavissima unzione di grazia che saziava lo spirito e lo inebriava d’amore verso di Dio. La sua voce non era voce di creatura umana: aveva qualcosa di misterioso, penetrava il cuore come grazia, e lo pacificava con una grande soavità; era come una melodia sommamente espressiva, tratta da uno strumento dolcissimo.
Il saluto di santa Elisabetta
Santa Elisabetta, perciò, al vederla così grande e così bella, esclamò per ispirazione interna dello Spirito Santo: Benedetta sei tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno. L’abbracciò, la strinse al cuore quasi con effusione materna, perché ella era già avanzata di età; ma, nello stringerla, sentì in lei qualcosa di divino, capì per grazia il mistero della sua Maternità divina, sentì che abbracciava la Regina del cielo e soggiunse: E da dove viene a me questa grazia che la Madre del mio Signore, cioè del mio Dio fatto uomo per la salvezza di tutti, venga a me?
Con queste ispirate parole fu come scolpita per i secoli la testimonianza della divina Maternità di Maria e della sua ineffabile grandezza. Ella non è indifferente ai salvati dal Redentore: lo porta loro, lo dona, effonde la sua grazia e la sua misericordia, dona la sua gioia, santifica in suo nome, ed è inseparabile da Lui nell’opera della salvezza.
Se fosse stata solo un canale per il quale passò il Redentore – come dicono stolta-mente i poveri protestanti –, Elisabetta, ripiena dello Spirito Santo, si sarebbe rivolta non a Lei ma al Figlio divino che le stava nel seno; ella, invece, la esaltò benedetta fra le donne, e chiamò Frutto suo il Redentore, Frutto della sua pianta purissima che, evidentemente, Ella sola poteva dare. La pianta non è un semplice canale del frutto, lo genera, lo nutre, lo matura e lo dona; bisogna andare dalla pianta per averlo e, senza la pianta, è impossibile coglierlo.
Elisabetta vide in Maria tutto quello splendore di vita, e lo paragonò inconsciamente all’umiliante abbattimento nel quale il suo sposo, muto e sordo era venuto da lei dopo la visione dell’angelo, capì che la fede nella parola dell’angelo aveva realizzato in lei il grande mistero, come l’incredulità del marito gli aveva causato la mutezza e la sordità. Psicologicamente quell’infermità del marito le era stata motivo di non pochi fastidi nel governo della casa, e quindi esclamò: Te beata che hai creduto poiché si adempiranno le cose dette a te dal Signore.
Il cantico sublime di Maria
Maria, a quelle parole di lode, sentì l’anima sua tutta tratta in Dio; l’umiltà le dava il senso della sua nullità innanzi a Lui; la riconoscenza le faceva attribuire tutto alla sua infinita misericordia; la luce divina che la illuminava le faceva guardare i suoi disegni su di Lei e i trionfi delle sue misericordie nei secoli, fino alla fine del mondo; perciò, elevando gli occhi al cielo, esclamò: L’anima mia magnifica il Signore.
Mai uscì da labbro umano un cantico più sublime di gioia; mai un cuore si aprì a Dio con tanto riconoscente amore; mai l’umiltà più profonda fu armonizzata così mira-bilmente con la verità, in modo da formare una melodia di annientamento e di grandezza, di piccolezza e d’immensità, di bontà e di forza che affascina l’anima e la unisce alla gioia e ai sentimenti di Maria.
Le reminiscenze scritturali del cantico di Anna, dei salmi e dei profeti che si trovano nel sublimissimo cantico non mostrano solo la familiarità di Maria con le Sacre Scritture, ma sono come la luce delle profezie e delle figure passate che s’incontrano con la realtà e col compimento delle promesse di Dio e, lungi dall’offuscare l’originalità del canto, lo rendono nella sua concisa semplicità più splendente e più bello. Esso è come il fiore di tutto l’antico patto ed è la gemma feconda del nuovo; è il compimento delle antiche speranze e la speranza nelle nuove misericordie; è la sintesi delle compiute aspirazioni del passato, è un rapido sguardo alla storia del futuro, fino al compimento dei secoli, è il programma della vita di un’anima redenta e la sintesi delle sue elevazioni d’amore; è, infine, lo sprazzo fulgente della vita del Verbo Incarnato e della medesima Madre che lo portava nel seno. In tutta la storia del regno di Dio è una voce sempre viva, in tutto lo sviluppo della Chiesa è un programma sempre attuale, in tutte le ascensioni dei santi, è una voce sempre armoniosa che può raccogliere in un suono d’amore le mirabili armonie della grazia in loro; è un cantico fecondo e verginale, come il Cuore dal quale sgorgò ricco di significati e semplice nella sua espressione che la Chiesa canta e ricanta ogni giorno, senza che esso esaurisca la sua gioiosa e fresca scaturigine, è il canto dei pellegrini che vanno verso la Patria eterna, degli apostoli che percorrono la terra diffondendo il lieto messaggio, dei martiri che attestano la verità col loro sangue, dei confessori che la propagano, delle vergini che la vivono, dei contemplativi che la gustano, degli angeli che la esaltano, delle creature tutte nelle quali ha echi d’amore, ed è nota squillante del cantico eterno nell’eterna gloria.
Se si recita, è una preghiera soave; se si canta è un inno trionfante che lancia lo spirito esultante in Dio; se si medita è come orto fiorito, ricco di profumi celesti. Ha un sapore sempre nuovo, un fascino sempre vivo, una delicatezza sempre verginale che i secoli non hanno potuto mai invecchiare, perché è un cantico di vita. Che gioia, o Vergine Santa, ricevere la grazia, ricevere Gesù e poter cantare con te: Magnificat anima mea Dominum! Che pace trovarsi sul Calvario della prova e poter ripetere con te, anche lacrimando, nella piena rassegnazione del cuore: Magnificat anima mea Dominum! Che dolcezza interiore elevarsi a Dio, sprezzando le gioie del mondo, e ripetere nel volo dell’anima al Bene eterno: Magnificat anima mea Dominum! Che poesia d’amore recitare con la Chiesa le grandi preghiere liturgiche, sentirsi sazi di elevazioni interiori, e volgere tutta l’anima a Dio in questo canto dell’anima tua, o Maria: Magnificat anima mea Dominum! Che conforto nelle aridità dello spirito, quando la povera nostra fontana si è come essiccata e non dà una goccia, ravvivare la scaturigine del cuore con questo tuo canto, e dare la vita alla povera terra inaridita: Magnificat anima mea Dominum!
Anche a costo di dilungarci, noi non possiamo passare oltre senza dare almeno uno sguardo fugace a questi aspetti luminosi del cantico di Maria, e a dilettarci nella molteplice rifrazione di questa gemma preziosissima del Nuovo Patto.
Non possiamo non commentare il profondo significato di questo canto d’amore che c’è stato donato per cantare a Dio la riconoscenza del nostro amore, perché uniti alla voce verginale della Mamma nostra, possiamo essere meno ingrati all’Amore che per noi discese dal cielo, e per amore ci redense col suo preziosissimo Sangue.
San Zaccaria non credé all’angelo e rimase muto e sordo fino al compimento della promessa; Maria credé e parlò, anzi cantò con una melodia che abbracciò tutti i secoli. Noi, figli suoi, cantando con Lei viviamo della sua grande fede, partecipiamo alla beati-tudine del suo Cuore: Beata quae credidisti, e ci rendiamo meno inetti al compimento dei disegni di Dio in noi.
Sac. Don Dolindo Ruotolo

domenica 12 agosto 2012

Il discorso garba poco agli Ebrei…


Commento al Vangelo della XIX Domenica TO 2012 B (Gv 6,41-51)
Santa Giovanna Francesca de Chantal
Don Dolindo Ruotolo
Il discorso garba poco agli Ebrei…
Gli Ebrei, alle parole di Gesù, rimasero increduli. Erano andati da Lui con la pretesa di vedere dei miracoli, e credevano di poter essi disporre del suo potere; non ammettevano altro che quello che passava per la loro testa, e avevano sempre la presunzione di dovere avere essi di diritto i doni del Signore, nel modo che a loro garbava; credevano quasi che il mondo si fermasse senza il loro volere. Per questo, Gesù aggiunse: Tutto ciò che il Padre mio mi dà, arriverà a me, ed io non respingerò chi viene a me, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato.
E voleva dire: la vostra mancanza di fede non distrugge il disegno di Dio, poiché il Signore, mandandomi in mezzo a voi, non ha ristretto l’opera mia a voi soltanto; Egli mi dona le anime di tutto il mondo, Egli le chiama, e quando esse vengono a me io non le caccio, benché non appartengano al vostro popolo. È questa la volontà del Padre mio, ed io la compio fedelmente: Egli vuole che io non perda tutti quelli che mi dona, ma li risusciti nell’ultimo giorno, e vuole che abbiano la vita in me e per me, credendo in me Io li accolgo, li alimento di me con un dono di fede, di pura fede, nel quale la vista, il tatto, il gusto s’ingannano, e nel quale si deve solo credere alla mia parola. Essi vengono, credono, si alimentano, vivono di me, risurrezione e vita, ed Io li risuscito dalla morte nell’ultimo giorno. Gesù, dunque, prima di annunciare e promettere formalmente il dono ineffabile dell’Eucaristia, ne pone i fondamenti e ne determina il carattere: Esso è la nuova manna del suo popolo peregrinante dall’esilio alla Patria; è Pane disceso dal cielo, è Lui stesso che è venuto in terra per alimentare le sue creature, per saziarle d’amore divino, e spegnere in loro la sete delle passioni disordinate. L’Eucaristia non è un dono ristretto alla sola nazione ebraica: è un Dono universale; dipende dalla volontà del Padre e non dal diritto di eredità; affratella tutti gli uomini senza distinzione di razza; li affratella perché Dio li chiama alla stessa fede nel Redentore, e questi li accoglie, li nutre, li santifica e, vincendo anche la morte corporale, li risuscita gloriosamente nell’ultimo giorno. Chi crede in Lui, cioè chi riceve il Pane della vita credendo che è Lui stesso vivo e vero, ha la vita eterna. Chi lo crede solo un simbolo, un segno, un pane comune e materiale, in realtà non crede in Lui, e perciò non ha la vita.
È evidente, dal contesto, che Gesù non parla della fede in Lui in un senso generale, e tanto meno parla della fede di semplice assentimento a Lui Salvatore, o di fiducia nei suoi meriti, senza curarsi delle opere buone; Egli parla del Pane di vita, dell’Eucaristia, e asserisce che chiunque vede il Figlio e crede in Lui ha la vita eterna; vede il Pane di vita, lo crede sostanzialmente il Figlio di Dio Incarnato, crede in Lui ivi presente, se ne ciba, ed ha la vita eterna.
Tutte le volte che Gesù in questo capitolo parla della fede in Lui, parla della fede nella sua reale presenza nel Pane di vita, e ogni volta che parla del Pane disceso dal cielo, parla di se stesso vivo e vero, fatto cibo delle anime. Non si può equivocare sulle sue parole né si può dare ad esse un senso simbolico che non hanno.
Gesù Cristo parlava in senso tanto reale, chiamandosi Pane vivo disceso dal cielo che il popolo cominciò a mormorare di Lui, dicendo: Non è forse costui Gesù, figlio di Giuseppe, di cui noi conosciamo il padre e la madre? Come dunque dice Costui: Io sono disceso dal cielo? San Giuseppe probabilmente era già morto quando Gesù cominciò la sua vita pubblica, ma il popolo l’aveva conosciuto, e l’aveva sempre creduto padre vero di Gesù, ignorando il mistero dell’Incarnazione per opera dello Spirito Santo. Credendo dunque di conoscerne il padre e la madre, si stupivano che Egli si chiamasse Pane vivo disceso dal cielo, e mormoravano di questa espressione, come chi ascolta una cosa ardua, non assurda. Era tale l’accento di verità che traspariva dalle parole di Gesù che essi non osavano direttamente tacciarlo di dire una cosa assurda, come sarebbe stato naturale, ma s’interrogavano a vicenda per cercare di interpretare quello che diceva.
Nel dire Gesù: Io sono il Pane vivo disceso dal cielo, faceva sentire che Egli era la Verità che era per donarsi come pane che questo pane doveva essere pane vivo, pane negli accidenti e vita nella sostanza, pane disceso dal cielo, perché era Lui stesso donato in cibo alle anime.

Gesù sapeva bene quanto
gli sarebbero stati ingrati gli uomini
In questo mirabile discorso eucaristico, Gesù fu di una recisione precisa, poiché l’amore del suo Cuore traboccava, ed Egli sapeva bene quanto gli sarebbe stato ingrato l’uomo. Non erano solo gli Ebrei i suoi oppositori, erano gli eretici di tutti i secoli, e specialmente i protestanti. Egli li vedeva con la sua divina prescienza, e poiché voleva darsi per amore, non tollerava che si fosse potuto dubitare di questo suo dono; preferiva che quelli che non volevano credergli se ne fossero andati, rinunciava alle anime loro, pur amandole infinitamente, ma non rinunciava ad essere esplicito e preciso in quello che voleva donare. Perciò, quando gli Ebrei cominciarono a mormorare perché s’era chiamato pane vivo disceso dal cielo, invece di rispondere alla loro obiezione, disse: Non mormorate fra voi; nessuno può venire a me se non lo attiri il Padre che mi ha mandato, ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno, e voleva dire: quello che io affermo può capirlo solo chi è attratto dal Padre mio, cioè chi ne riceve una grazia particolare, e questi avrà la vita gloriosa nell’ultimo giorno. Voi non l’intendete perché non siete attratti dal Padre mio, per colpa vostra. Non crediate poi che chiunque, a suo arbitrio, potrà prendere il Pane di vita che io prometto; sarà necessaria una speciale attrazione di grazia, e questa attrazione sarà data a chi sarà ammaestrato da Dio, secondo il detto dei profeti (cf Is 54,13), cioè sarà preparata da una diffusione più viva della divina Parola, della mia parola, e chi l’ascolterà con docilità e con fede verrà a me, Pane di vita. Non parlerà direttamente il Padre, perché Dio è invisibile all’uomo, eccetto a Colui che è da Dio, cioè all’Uomo-Dio, ma parlerà per me, e per quelli che io manderò. In conclusione – soggiunse Gesù con decisione che non ammetteva repliche –, qui non si tratta di discutere, perché il Pane di vita è un mistero di fede, chi crede in me vivo e vero nel Pane di vita, questi ha la vita eterna.
Gesù Cristo aveva presenti tutti i secoli, e guardava a quello nel quale il Pane di vita sarebbe stato distribuito e diffuso a piene mani, negli ultimi tempi, più prossimi alla fine del mondo e alla risurrezione dell’ultimo giorno. Egli stabilì formalmente che questa diffusione eucaristica non sarebbe stata frutto di arbitrio personale, ma frutto di attrattiva divina, e ne diede come contrassegno specifico una diffusione così viva della divina Parola nella Chiesa e nel mondo, da potersi dire col profeta: Sono tutti ammaestrati da Dio.
La luce della verità sarà così viva, da sembrare quasi di vedere Dio, benché Egli sia invisibile all’uomo mortale.
Noi assistiamo già al preludio di questo tempo di vivissima vita eucaristica, ne abbiamo raccolto il segreto, e cominciamo ad usufruirne, benché fra tante nostre ingratitudini.
Ecco, la Parola di Dio, chiara e luminosa per tutte le menti, si diffonde già e inonda la terra; ecco, non l’arbitrio ma l’attrazione del Padre celeste ci conduce a Gesù, Pane di vita, poiché è assurdo che si possa partecipare a questo Dono ineffabile senza una particolare attrazione di Dio. I Congressi eucaristici medesimi, caratteristica del nostro tempo e prima preparazione alla diffusione del regno dell’amore eucaristico, non sono una diffusione luminosa della Parola di Dio nelle discussioni e nelle prediche, e una divina attrazione per le anime che si cibano del Pane di vita?
Crescerà la diffusione della Parola luminosa di Dio, e crescerà la diffusione del Pane di vita, fino a porre termine all’ingratitudine umana che ha dimenticato il Dono ineffabile che ci fa vivere di Gesù Cristo, ci unisce in Lui in una sola famiglia e ci dona la pace nel fulgore della gloria di Dio per tutta la terra.
Stabiliti i fondamenti del dono ineffabile che voleva elargire agli uomini, Gesù Cristo ne parla più determinatamente, perché non si fosse potuto equivocare sulla sua reale natura, ed esclama: Io sono il Pane della vita; non della vita materiale ma di quella spirituale; e poiché gli Ebrei avrebbero desiderato vedere un prodigio come quello della manna nel deserto, Gesù mostra la superiorità del Pane della vita sulla manna, soggiungendo: I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il Pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Io sono il Pane vivo che sono disceso dal cielo. Chi mangerà di questo Pane vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.
La manna era un cibo che sosteneva la vita del corpo, ma non liberava dalla morte; il Pane vivo disceso dal cielo, invece, sostiene una vita immortale, quella dell’anima, e la libera dalla morte eterna, salvandola per sempre nella felicità eterna; questo pane, poi, è la carne stessa del Redentore, quella che Egli darà per la vita del mondo sulla croce e che sarà data continuamente nel sacrificio dell’altare per la vita delle anime. Non si poteva, dunque, equivocare in nessun modo: Gesù parlava non di un simbolo della sua Carne ma della sua vera Carne, poiché Egli non la offrì simbolicamente ma veramente e sanguinosamente sulla croce. Gli Ebrei lo capirono perfettamente, e se ne stupirono discutendo fra loro e dicendo: Come mai può Costui darci da mangiare la sua carne? Se la divide fra noi muore, e allora come può chiamarsi più pane vivo? Come mai può darcela viva? Se le parole di Gesù non avessero avuto l’accento della verità, essi non avrebbero discusso animatamente fra loro, ma le avrebbero disprezzate come una pazzia; essi, invece, sentivano che erano vere e assolute, e ne discutevano perché ne avrebbero voluto una spiegazione.

Com’era possibile una spiegazione naturale?
         Ma, in un mistero di fede e d’amore così grande, la spiegazione naturale non era possibile; Gesù Cristo esigeva solo la fede, poiché, mangiando il suo Corpo e bevendo il suo Sangue sotto le Specie del pane e del vino, si sarebbe capito il mistero dai suoi mirabili effetti, vivendone. D’altra parte, Egli non parlava per stabilire una discussione, possibilissima, ma sproporzionata alla mentalità di quelli che l’ascoltavano; il suo Cuore ardeva d’amore, e l’amore anelava solo a donarsi; non ammetteva la discussione, voleva essere ricevuto e, promettendo un tanto dono d’amore, voleva come risposta l’amore; perciò soggiunse, rivolgendosi agli Ebrei e a tutto il mondo: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Egli non alludeva, come pretesero gli eretici, all’immolazione che avrebbe subito né voleva dire che se non l’avessero ucciso non avrebbero avuto la vita, perché sarebbe empio e assurdo supporre che un delitto spaventoso, quale la morte che gli avrebbero dato, un delitto punito da Dio, poi, con la distruzione della nazione, avesse potuto portare la vita eterna e la risurrezione gloriosa a quelli che l’avrebbero consumato. Perciò Gesù Cristo, per evitare che si fosse frainteso, e per confermare che Egli parlava del suo Corpo e del suo Sangue come di vero alimento di vita spirituale, replicò: La mia carne è veramente cibo e il mio Sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio Sangue rimane in me e io in lui. Con una sublime analogia, poi, mostrò in quale maniera chi mangiava della sua Carne e beveva del suo Sangue aveva la vita e rimaneva in Lui: Come il Padre che ha la vita in sé, ha inviato me, e io vivo per il Padre, così, chi mangia di me, vivrà anch’egli per me.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo

domenica 5 agosto 2012

“Diede loro da mangiare un pane dal cielo”


Domenica 5 agosto 2012

18ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

VANGELO (Gv 6,24-35)
Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!». Parola del Signore

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro
Due domande oggi vengono poste dalla folla che seguiva Gesù non per convinzione ma per desiderio di mangiare il suo pane, due domande che vengono poste anche a noi da quanti ci conoscono e vogliono vedere le nostre opere cristiane: “Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai?”. Possono anche non porci esplicitamente questi interrogativi, ma ugualmente quanti ci conoscono come seguaci di Gesù Cristo ci chiedono di mostrare loro la nostra Fede con le buone opere.
Il cammino spirituale sembra faticoso a coloro che sono ancora legati affettivamente alle cose del mondo, mentre coloro che usano le cose del mondo senza idolatrarle riescono a proseguire un cammino che sicuramente ci deve impegnare ma è l’unico cammino della vera pace, gioia, speranza, amore, verità, giustizia, onestà, affabilità.
Il nostro cammino spirituale o di santità si compone di innumerevoli gesti giornalieri coerenti con il Vangelo che seguiamo. L’ho scritto domenica scorsa riguardo l’importanza della fedeltà alle piccole cose, a vivere il presente con lucidità e sempre in modo conforme alla nostra Fede. Rileggiamo alcune frasi del Vangelo di domenica scorsa:
«Raccogliere i pezzi avanzati è anche l’invito a dare valore alle cose piccole, che sembrano insignificanti mentre in realtà se si uniscono formano una grande opera. Raccogliere i pezzi avanzati è l’invito a dare importanza alle cose che sembrano ininfluenti, inutili, marginali. Invece l’ordine nella persona si completa con tante piccole azioni fatte bene, con amore, affabilità, pazienza, cordialità.
La nostra giornata è fatta di cose che spesso non hanno rilievo, tantissime cose apparentemente insignificanti compiute bene e per amore di Gesù, diventano virtù e atti eroici. D’altronde, la santità o perfezione umana si forma giorno per giorno, con un insieme di ripetuti piccoli atti virtuosi che diventano nel tempo grandi atti eroici!
Chi è fedele nel poco riesce a rimanere fedele anche nelle prove più impegnative e dolorose!».
Molti cristiani si illudono di conoscere bene Gesù e di fare tutto quello che Lui chiede, ma è solamente un inganno della mente, un inganno dei sensi, almeno per coloro che si limitano a compiere alcune azioni esteriori, come la Messa e le preghiere vocali aride e meccaniche, senza alcuna vera partecipazione interiore, senza un vero e forte segnale di volontà di cambiamento. Senza Gesù nella propria vita non sarà mai possibile per nessuno riuscire a trovare l’equilibrio e la quiete dei sensi.
Oggi Gesù ci ripete nel Vangelo che Lui è Dio, ma quanti cristiani lo considerano veramente Dio? Chi dice di conoscerlo deve vivere i suoi insegnamenti. Dalle opere che compie una persona, dalla sua inclinazione al giudizio, alla cattiveria o all’amore e all’onestà, si conosce infallibilmente il suo cuore. Gesù lo ha detto:“Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!” (Mt 15,11).
Oggi Gesù ci insegna nel Vangelo con ripetute parole chiare ed avvalorate dai suoi miracoli, che Lui è il vero Dio, il Pane disceso dal Cielo per sfamare le anime affamate, è Lui a permettere a volenterosi di riuscire a calmare la fame sbagliata, quella propensa all’egoismo e ai propri interessi, calpestando le esigenze e le richieste degli altri.Solo chi trova Gesù, troverà attraverso di Lui quella verità sconosciuta al mondo, che calma la fame di vita.
Nel Vangelo Gesù richiama molti di quanti Lo seguivano perché cercavano il pane materiale, non il suo Amore, la Verità , la salvezza eterna. Per pane materiale oggi possiamo intendere il potere all’interno della Chiesa, la carriera posta davanti a tutto, oppure per qualche credente il raggiungimento di interessi personali che variano da caso a caso.
L’errore gravissimo commesso da molti uomini di Chiesa non più fedeli a Dio, è la ricerca del pane materiale e non più di Gesù.
Nessuno può conoscere né giudicare il motivo della ricerca di Gesù sia da parte dei Sacerdoti sia da parte dei laici, ma è doveroso e onesto chiederci perché cerchiamo Gesù la domenica o nelle preghiere giornaliere. Prima chiediamoci se Lo cerchiamo sinceramente oppure se si celebra o si partecipa alla Messa per abitudine, poi chiediamoci cosa cerchiamo da Gesù e cosa siamo disposti a donargli.
La vera Fede non si vive con le parole ma con i fatti, con le vere opere. Non si può amare Gesù se il cuore cerca ricchezze o idoli!
Fermiamoci un po’ a riflettere quale pane cerchiamo di Gesù, se quello materiale e così strumentalizziamo Lui, oppure quello Divino e siamo pronti a saper perdere qualcosa per trovare Lui. Chi non è pronto a perdere qualcosa del suo orgoglio o del suo comportamento sopra le righe, non potrà mai riempirsi dello Spirito di Dio.
Indicare una persona sopra le righe, significa indicarla come una che si distingue dalla massa ma in senso negativo, che parla a sproposito per farsi notare, si comporta con leggerezza, giudica tutti per diventare illusoriamente il centro dell’interesse. C’è chi ripete questi comportamenti sbadatamente, altri invece di proposito per emergere dalla massa, per attrarre e diventare come un modello da seguire. Basta leggere i quotidiani o guardare il telegiornale per convincersi di questo.
Questo bizzarro comportamento non lo trovo nelle migliaia di messaggi che mi arrivano da innumerevoli parrocchiani. Siamo quasi 8.400 a meditare insieme la Parola del giorno e a cercare di migliorarci, ognuno con i suoi tempi e con la sua determinazione. Ma Gesù è paziente e ci ama così come siamo, ma… noi dobbiamo fare qualcosa ogni giorno per avvicinarci a Lui, un atto di virtù, un rinnegamento volontario, un silenzio quando si vuole parlare molto…
Rimango sempre vicino a tutti voi, a quanti vogliono compiere un vero cammino spirituale, prego ogni giorno molte volte per le vostre intenzioni e le Grazie che chiedete. Benedico spesso tutti voi iscritti a questa newsletter, chiedendo a Gesù di liberarvi da ogni negatività, guarirvi da ogni malattia e alla Madonna di proteggervi dai pericoli.
I vostri messaggi li trovo sempre sereni ed impregnati -dove più dove un po’ meno-, di vero amore verso Gesù e la Madonna , perché noi stiamo compiendo un cammino spirituale assolutamente coerente al Vangelo storico, seguendo la sana dottrina della Chiesa e coltivando quelle devozioni tanto importanti e determinanti.
Ci sono quelli che affermano che le devozioni sono inutili, sorpassate, insignificanti, invece il Catechismo e i Santi ci insegnano che solo incontrando Gesù Eucaristia e recitando con amore il Santo Rosario, si possono superare prove dolorose e sofferenze atroci, oltre a vivere da cristiani autentici.
Questo vogliamo noi della Parrocchia virtuale “Cuore Immacolato di Maria”.

Continuiamo le intense preghiere alla Madonna con la recita giornaliera del Santo Rosario per me, per vincere l’attacco portato da satana, sciogliendo questo nodo oppressivo. Chi mi vuole bene, preghi molto per me.
Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.

Per superare le prove dolorose, non soccombere dinanzi gli attacchi dei nemici e ricevere Grazie particolari, anche miracoli impossibili, vi consiglio di recitare ogni giorno la preghiera efficace, già utilizzata da decine di migliaia di fedeli. Sono migliaia le testimonianze di guarigioni e di liberazioni da attacchi malefici, moltissimi hanno superato prove difficili e ottenuto Grazie. Recitatela ogni giorno, è un potentissimo atto di Consacrazione alla Madonna. Potete stamparla dal mio sito:
http://www.gesuemaria.it/efficace-preghiera.html

Continuiamo a recitare ogni giorno il Santo Rosario alle ore 16 e alle ore 21 in comunione di preghiera, già siamo moltissimi a partecipare a questa cordata spirituale. Possiamo pregare in comunione di amore nelle stesse ore, recitando il Santo Rosario ogni giorno secondo le intenzioni della Madonna.Ognuno decide se partecipare alle due Corone oppure a una delle due. L’importante è recitare almeno una Corona al giorno in comunione con Gesù, la Madonna e tra noi. Vi assicuro che le benedizioni saranno abbondanti e chi cerca Grazie le potrà ottenere con maggiore facilità, perché pregando insieme, la preghiera diventa potente.

Messaggio della Madonna a Medjugorje del 2 agosto 2012(Mirjana)

Messaggio della Madonna a Medjugorje del 2 maggio 2012(Mirjana)

Messaggio della Madonna a Medjugorje del 25 marzo 2012

Messaggio della Madonna a Medjugorje del 2 marzo 2012