sabato 25 maggio 2013

Il Consolatore verrà a sostenere gli apostoli

Commento al Vangelo: Santissima Trinità C 2013 (Gvv16,12-15)

Il Consolatore verrà a sostenere gli apostoli

In ogni tempo della vita della Chiesa, lo Spirito Santo continua a rimproverare il mondo di peccato, di giustizia e di giudizio attraverso le parole del Papa e del sacerdozio. Il mondo incredulo è confuso dalla luce della verità che rifulge nella Chiesa per la continua assistenza dello Spirito Santo; è condannato nelle sue ingiustizie con l’inesorabile giudizio che traccia infallibilmente la via del bene; la Chiesa, infatti, addita l’eterna meta cui aspiriamo, sulle orme del Redentore che è asceso al Cielo per prepararci il premio. Il mondo, infine, è sgominato dalla potenza divina che, attraverso i doni dello Spirito Santo, mostra quanto sia effimera la potenza di satana. Per l’assistenza dello Spirito Santo la Chiesa è un faro di luce in mezzo al tenebrio del mondo, segna le vie della verità e della giustizia, e vince le mene di satana, il perenne vinto anche dalle più piccole manifestazioni della sua vita. La Chiesa condanna la miscredenza che presume vivere in un positivismo tutto materiale, e glorifica la fede che non vede e crede, condanna chi non crede in Gesù, e crede in Gesù vivo e vero, benché invisibile che siede alla destra del Padre e vive nell’Eucaristia; la Chiesa condanna il regno di satana e, condannandolo, mostra che satana non è un re ma un vinto, e che tutto ciò che opera nel mondo è obbrobrio che ne mostra la viltà.
       Gli apostoli non capirono quello che Gesù diceva loro, e rimasero perplessi. Capirono solo che dovevano compiere una missione; ma, piccoli e incolti com’erano, provarono uno scoraggiamento grande, non sapendo come avrebbero potuto attuarla. Il pensiero poi che il Maestro divino li lasciava, li rattristava grandemente, perché erano come figliolini attaccati alle vesti materne. Che cosa potevano annunciare al mondo? A che cosa si riduceva la dottrina che avevano ascoltata? La loro mente era confusa e il loro spirito, anche inconsciamente, desiderava delle chiarificazioni. Per questo Gesù soggiunse: Molte cose ho ancora da dirvi, ma non ne siete capaci adesso. Quando verrà Spirito di verità, Egli v’insegnerà tutta la verità. Egli infatti non vi parlerà da se stesso ma vi dirà quanto ha inteso, e vi annuncerà le cose che dovranno succedere. Egli mi glorificherà, perché prenderà ciò che è mio e ve lo annuncerà. Tutto ciò che ha il Padre mio è mio; perciò vi ho detto che prenderà ciò che è mio e ve lo annuncerà.
       Gesù voleva dire: Voi desiderate sapere che cosa dovrete dire al mondo, e vi preoccupate della vostra missione. Io, in realtà, non vi ho detto ancora tutto, e ho molte altre cose da rivelarvi, ma voi non sareste ora capaci di comprenderle. Vi manderò lo Spirito Santo ed Egli v’insegnerà tutta la verità. Egli non farà una nuova economia di provvidenza salvatrice né verrà per fondare qualcosa di diverso da quello che ho fatto già io, non vi parlerà da se stesso, ma vi dirà quanto ha inteso, cioè vi dirà quanto io ho detto e ve lo spiegherà, e vi annuncerà le cose che dovranno succedere, dicendovi quello che io non ho potuto ancora annunciarvi, e dandovi lo spirito di profezia. Voi così non sarete confusi né per ciò che avete visto e ascoltato né per ciò che vi avverrà.
       Vi scoraggiate nella vostra missione, ma non siete voi che dovrete glorificarmi, quasi semplici testimoni di un fatto storico; lo Spirito Santo mi glorificherà in voi illuminandovi su tutto ciò che vi ho detto, e vi darà la luce di sapienza perché mi glorifichiate innanzi al mondo; la vostra missione, in altri termini, è soprannaturale, e voi, con la vostra fede, diffonderete in tutti la luce della fede, e con la vostra vita mi glorificherete amandomi e accendendo i cuori d’amore. Lo Spirito Santo procede da me, e riceve da me, con la natura divina, la sapienza divina per istruirvi.
       Vi dissi già che Egli procede dal Padre (15,26), ma ora aggiungo che procede anche da me, perché tutto ciò che ha il Padre è mio; il Padre gli comunica la natura divina, e gliela comunico anch’io; procede dal Padre e da me come da unico Principio, e riceve dal Padre e da me la natura divina, la scienza ecc.… Egli, dunque, mi glorificherà solennemente non solo per ciò che ho compiuto come uomo, ma mi glorificherà come Dio: prenderà ciò che è mio e ve lo annuncerà, ossia vi annuncerà la verità della mia natura divina, di quella natura che Egli riceve da me come dal Padre, e vi farà intendere luminosamente che io sono veramente Figlio di Dio. 
Don Dolindo Ruotolo

sabato 18 maggio 2013

Credere attivamente osservando la Legge di Dio farsi vivificare dallo Spirito Santo


Commento al Vangelo: Domenica di Pentecoste C 2013
(Gv 14,15-16.23b-26)

Credere attivamente, osservando la Legge di Dio
farsi vivificare dallo Spirito Santo
        Non bisogna supporre che per far vivere in noi Gesù Cristo basti uno sterile atto di fede o una più sterile invocazione fatta a fior di labbra. Per molte anime, infatti, la vera e profonda pietà potrebbe prendere l’aspetto di una poesia più o meno fantastica, o rivestire il carattere di un idealismo più o meno vaporoso. La pietà vera è via, verità e vita; è via che ci conduce a Dio e all’eternità, è fondata saldamente sulla verità divina, ed è vita di Gesù Cristo. La nostra vita dev’essere nascosta con Gesù Cristo in Dio, e dobbiamo vivere noi, ma non noi, bensì Gesù Cristo in noi, come dice in una sintesi mirabile san Paolo.
        Per far vivere in noi Gesù Cristo è necessario amarlo praticamente, osservando i suoi comandamenti, e per far questo è necessaria la grazia. La grazia viene a noi dallo Spirito Santo, e perciò Gesù Cristo, dopo aver parlato del Padre e di Lui stesso, Figlio del Padre, accenna allo Spirito Santo che realizza la nostra unione con Lui e ci rende glorificazione di Dio. Essendo poi Egli il nostro Mediatore presso Dio come Verbo Incarnato, e potendoci Egli solo ottenere la grazia per amarlo e per osservare i suoi comandamenti, soggiunge: Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Paraclito, affinché rimanga sempre in voi lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede né lo conosce; voi, però, lo conoscerete perché abiterà con voi e sarà in voi. Paraclito significa difensore, avvocato, consolatore, intercessore, esortatore, incitatore, colui che dà l’impulso; ora Gesù Cristo era per gli apostoli e per le anime tutte il difensore perché le liberava dalle insidie di satana, l’avvocato – come dice san Paolo –, perché loro Mediatore presso Dio, il consolatore perché effondeva in loro il balsamo della sua carità, l’intercessore, perché sempre vivente in preghiera per loro, l’esortatore come Maestro divino, l’incitatore e colui che dà l’impulso, come nostro aiuto, nostro esempio e nostra vita. Egli quindi, primo Paraclito, dovendo andare via dal mondo, e dovendo lasciare gli apostoli, promette loro un altro Paraclito, un’altra persona dalla Santissima Trinità, cioè lo Spirito Santo che doveva essere per loro intimamente, e nella Chiesa che Egli fondava, difesa, avvocato, consolatore, intercessore, esortatore, incitamento al bene e impulso di vita nuova, nelle debolezze della natura.
        Gesù Cristo promette questo altro Paraclito perché rimanga nelle anime che lo riceveranno e nella Chiesa che Egli vivificherà, e perché sia conservato integro il patrimonio della fede e la Chiesa viva nel perenne splendore dell’infallibile verità.

 

Lo Spirito di verità che il mondo rifiuta

        È questo quello che distinguerà la Chiesa dal mondo e i cristiani dai mondani: lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere. Il mondo è spirito di menzogna e di malvagità; odia la verità e non la vuole conoscere; appare per quel che è, ripieno dello spirito satanico aggressivo, violento, crudele, calunniatore, scandalizzatore, ossia diametralmente opposto allo Spirito Santo, e quindi è chiaro che non potrà né vederlo né conoscerlo.
        I cosiddetti “grandi” della terra hanno tutti, più o meno, i caratteri opposti allo Spirito Santo mentre, in realtà, sono obbrobrio e miseria, nonostante le loro apparenze gloriose; i fedeli, invece, i veri fedeli, dovranno essere contrassegnati dallo Spirito di Dio, ed esserne ripieni.

Perché Gesù promise un altro Consolatore?
        A primo aspetto sembra quasi che Gesù Cristo prometta agli apostoli un altro Paraclito, per sostituire la sua presenza in mezzo a loro durante la sua assenza; Egli, infatti, soggiunge: Non vi lascerò orfani, tornerò a voi. Ancora un po’ di tempo e il mondo non mi vedrà più; ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. Intanto è certo che Gesù, anche senza la sua presenza visibile, rimase e rimane nella Chiesa; anzi Egli è in essa vivo e vero nell’Eucaristia, ed Egli stesso dice: Io vivo e voi vivrete, vivo nell’Eucaristia, e voi vivrete di me in questo Sacramento d’amore. Ora, se Gesù rimase e rimane nella Chiesa, perché promise un altro Paraclito? E perché disse che non avrebbe lasciato orfani i suoi apostoli, ma sarebbe ritornato a loro?
        Letteralmente Gesù alluse al suo ritorno visibile dopo la sua risurrezione e alla fine del mondo; consolò gli apostoli della sua morte, dicendo che sarebbe ritornato, e consolò la Chiesa militante che nelle sue lotte l’avrebbe visto quasi assente, dicendo che sarebbe ritornato vivente nella sua gloria, per darle il possesso solenne della vita eterna: Mi vedrete perché io vivo e voi vivrete. Nella gloria della sua risurrezione, gli apostoli l’avrebbero riconosciuto meglio come Dio, ed avrebbero capito che Egli è nel Padre, come avrebbero capito che Egli è il Redentore, e gli uomini in Lui trovano la vita, ed Egli dimora in loro per donarla. Nell’ultimo giorno sarebbe apparso evidente il fulgore della sua divinità a tutte le genti, e la Chiesa, suo Corpo mistico, completa nella sua santità e nei suoi eletti, sarebbe apparsa congiunta a Lui come membro al corpo, ed Egli, congiunto ad essa, come Capo al corpo.
        Gesù Cristo doveva eclissarsi dagli apostoli con la sua morte e sepoltura, e doveva eclissarsi anche dopo la risurrezione con la sua Ascensione al cielo. Gli apostoli non l’avrebbero più avuto come Maestro visibile, e non avrebbero più goduto della sua presenza sensibile, e perciò Egli promette loro lo Spirito Santo come Maestro interiore di verità, e come Consolatore intimo nel cammino terreno.
        Egli parla loro e parla a tutta la Chiesa, promette loro il suo ritorno dopo la risurrezione, e promette alla Chiesa il suo ritorno non solo nel Giudizio finale, ma in una nuova effusione di misericordie e di grazie, in un trionfo grandioso che ne farà sentire la presenza, ne farà apprezzare la grandezza, e farà vivere talmente di Lui Sacramentato, da sentire che Egli è in noi e noi in Lui. In questa grande effusione di grazie e in questo trionfo Egli, sfigurato dagli errori del mondo persino nell’animo di tanti fedeli, sarà riconosciuto veramente come Dio: In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio; e sarà riconosciuto per la maggiore diffusione della vita eucaristica: Conoscerete che voi siete in me e io in voi. Il trionfo sarà preparato dallo spirito di verità, in opposizione allo spirito del mondo, perché ci sarà grande luce di verità nella Chiesa, una maggiore comprensione della fede per i dottori che la illumineranno di nuovi fulgori, per la grazia dello Spirito Santo.

Una bella predizione?
        Questo che diciamo risponde all’aspettazione della Chiesa fin dai suoi primordi.
        La Chiesa, tra le sue pene e le sue prove, ha aspettato sempre e attende tuttora un trionfo smagliante del suo Redentore anche nel mondo; essa attende quasi una nuova Pentecoste, una nuova effusione di grazia e di amore, una clamorosa vittoria sul mondo, una grandiosa dilatazione del regno di Dio che sia pratica glorificazione dei tesori della redenzione nelle anime, e soprattutto dell’Eucaristia. Questa vittoria non sarà un’affermazione di prestigio politico, non deriverà da onori e da beni temporali, ma sarà un’affermazione di vita interiore in unione con Gesù Sacramentato, una potente affermazione della forza che può dare lo Spirito Santo, nelle glorie della santità e del martirio, un fervore nuovo nell’osservanza dei precetti e dei consigli evangelici, uno splendore di smagliante purezza, di umiltà, di carità, di vita interiore e soprannaturale, un rifiorire mirabile della vita religiosa, un ripopolarsi dei chiostri deserti, diventati ora covi di profanatori ladri, di soldati, di uffici pubblici, di ritrovi e persino di case di peccato.
        Sarà anche una rifioritura ammirabile della vita mistica, in elevazioni superiori a quelle avute in ogni tempo, e Gesù Cristo si manifesterà alle anime elevate così in uno splendore di luce tanto grande, da renderle monumento vivo d’amore e tempio della Santissima Trinità.
         È questo il trionfo che la Chiesa attende e che avrà dalla bontà di Dio in mezzo a lotte anche più aspre di quelle sostenute nel passato. Gesù lo espresse in poche parole, dicendo: Chi ha i miei comandamenti e li osserva, mi ama. L’amore, dunque, dovrà essere pratico e operativo per essere palpito vivo di santità. E chi mi ama sarà amato dal Padre mio, cioè sarà oggetto di particolari grazie dello Spirito Santo, che è Amore infinito. Ed io lo amerò – soggiunse Gesù –, e gli manifesterò me stesso; lo amerò comunicandomi a lui nella mia vita di amore eucaristico, e gli manifesterò me stesso nelle elevazioni dell’amore mistico.
Padre Dolindo Ruotolo

sabato 11 maggio 2013

Gesù appare agli apostoli. Ultimi avvisi. Ascensione al cielo

Commento al Vangelo: Ascensione del Signore C 2013 (Lc 24,46-53)

Gesù appare agli apostoli. Ultimi avvisi.
Ascensione al cielo
        Rimessisi un po’ dall’emozione, i due discepoli raccontarono quanto era loro accaduto per strada e come avevano riconosciuto Gesù nella frazione del pane. Forse il loro racconto cominciò a suscitare diffidenze, come avviene spesso quando si riferisce a gente incredula un fatto soprannaturale, quando Gesù, improvvisamente, stando chiusa la porta entrò in mezzo a loro ed esclamò: La pace sia con voi; sono io, non temete. Il suo Corpo glorioso, non più soggetto alle leggi della materia, non conosceva ostacoli, e molto più di quel che non faccia un’onda elettrica, passò attraverso le mura e la porta. I congregati, già impressionati da quello che ascoltavano dai discepoli di Emmaus, ne furono turbati e atterriti, credendo di vedere uno spirito.
        Se avessero creduto a quello che dicevano i discepoli, non avrebbero supposto di trovarsi di fronte ad un fantasma. Gesù, con una grande amorevolezza, per toglierli dall’angustia, soggiunse: Perché vi turbate, e quali pensieri sorgono nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io; palpatemi e guardate, perché lo spirito non ha carne ed ossa come vedete che ho io. Detto questo, mostrò loro le mani e i piedi e li fece toccare loro, ma essi non crederono ancora, benché avessero il cuore pieno di gioia al divino contatto.
        Questo ci fa vedere in quale stato di miscredenza ancora si trovassero e quanto fitte fossero le tenebre del loro spirito. Toccavano con mano, vedevano con gli occhi e non credevano. È terribile! Erano più increduli dello stesso san Tommaso, la cui mancanza di fede è diventata proverbiale; il loro intelletto era oscurato completamente, poiché rimaneva in loro ancora l’idea che il Maestro non avesse potuto risorgere.
        Così fanno i miscredenti per partito preso: dicono di voler tutto osservare e controllare e, quando toccano con mano la verità, neppure credono, perché il loro cuore è guasto e annebbiato. Non cercano il motivo della credibilità ma quello della miscredenza, e non cedono di fronte all’evidenza, rinnegando praticamente lo stesso positivismo balordo per il quale dicono di non credere. Se si umiliassero e riconoscessero la loro ignoranza, riavrebbero la luce della verità e quella della fede, ma sono ostinati e non vogliono credere.
        Di fronte all’ostinazione degli apostoli Gesù, lungi dall’abbandonarli come avrebbero meritato, ricorse ad un altro espediente: Essi erano fuori di loro per la gioia, come dice il Sacro Testo; non credevano ai loro occhi e al loro tatto, non per ostinazione di malizia, ma per la stessa sorpresa di ciò che vedevano; erano come fuori della realtà della vita, e non sapevano trarre la logica conseguenza di quello che vedevano; perciò Gesù, richiamandoli alla realtà e distraendoli da quello stupore che impediva loro di riflettere, esclamò: Avete qui qualche cosa da mangiare? Ed essi gli presentarono un pezzo di pesce arrostito e un favo di miele; Gesù ne mangiò alla loro presenza, e quello che avanzò lo diede loro perché ne avessero mangiato e l’avessero mostrato agli altri come testimonianza della sua risurrezione.
        Gesù Cristo, avendo un corpo reale poteva mangiare, benché fosse glorioso. Il cibo penetrò veramente nello stomaco, e si mutò interamente in sua sostanza, senza bisogno di digestione. Egli si degnò di partecipare alla nostra vita per santificarla e, mentre prima della Passione aveva mangiato la Pasqua con le erbe amare, simbolo del pellegrinaggio terreno, dopo la risurrezione mangiò il favo di miele, simbolo delle dolcezze della gloria eterna.
        Nella Cena, mangiò l’Agnello pasquale, figura di Lui stesso immolato, e dopo la risurrezione mangiò il pesce arrostito, simbolo del suo amore eucaristico; l’agnello vive nella terra, simbolo dell’anima pellegrina, e il pesce nel mare, simbolo dell’anima beata dell’immensità della gloria di Dio, nella quale è come sommersa per l’eterna beatitudine.
        Di fronte all’evidenza di veder consumato il cibo che gli avevano dato, gli apostoli crederono, come appare chiaramente dal colloquio che Gesù ebbe con loro; ma nel loro spirito c’erano ancora delle tenebre sulla sua Passione e Morte, ed Egli le dissipò, richiamando la loro attenzione sul compimento delle profezie che lo riguardavano, da Lui già annunciate loro prima di patire. E perché avessero potuto intendere appieno quanto di Lui era stato scritto nella Legge di Mosè, nei profeti e nei salmi, cioè in tutta la Scrittura, ne comunicò loro l’intelligenza con una grazia particolare, perché avessero potuto intenderle e insegnarle agli altri, evangelizzando tutte le genti.
        San Luca sintetizza, in queste poche parole, le raccomandazioni e le istruzioni che Gesù Cristo fece agli apostoli nei quaranta giorni nei quali rimase con loro, prima di congedarsi definitivamente e ascendere al cielo. Fu in questi trattenimenti che Egli promise lo Spirito Santo, e li esortò a trattenersi in Gerusalemme, per prepararsi a quella grande grazia che doveva trasformarli in messaggeri di misericordia, di perdono e di pace per tutta la terra.
        Alla fine dei quaranta giorni, li condusse prima a Betania, per congedarsi da Marta, da Maria e da Lazzaro, e poi di là sul monte Oliveto, dove li benedisse e, sollevatosi verso il cielo, sparì dai loro occhi, assunto nella gloria.
        Fu quella l’ultima e definitiva prova che diede della sua divinità, e per questo gli apostoli e quelli che erano con loro lo adorarono, riconoscendolo pienamente Figlio di Dio.
         Ritornarono poi a Gerusalemme pieni di gaudio, per le grazie ricevute, delle quali, ora, valutavano tutta la magnificenza, e stavano nel tempio continuamente, lodandone e benedicendone Dio. Essi, infatti, si svegliarono come da un sonno e, accorgendosi di non aver apprezzato abbastanza gli immensi doni ricevuti da Dio, cercarono di riparare alla loro manchevolezza, andando a ringraziarlo continuamente nel tempio.
Don Dolindo Ruotolo

domenica 5 maggio 2013

Vi lascio la pace, vi do la mia pace

Commento al Vangelo: VI Domenica di Pasqua C 2013 (Gv 14,23-29)

Sugli errori circa la salvezza e la santificazione
        Gli apostoli credevano che Gesù dovesse invece manifestarsi gloriosamente e politicamente al mondo, in un’affermazione di dominio temporale, ed erano certi che tutta l’opposizione che gli faceva il sinedrio si sarebbe conclusa in uno smacco vergognoso. Ora, sentendo parlare di una sua manifestazione all’anima, nel misterioso silenzio dell’amore, se ne stupirono, e perciò Giuda, chiamato Taddeo o Sebbeo, gli domandò a nome di tutti: Signore, come avviene che manifesterai te stesso a noi e non al mondo? Questo apostolo capì che Gesù parlava di una manifestazione interiore alle anime e, non supponendo che potesse parlare di altri fuori che loro, chiese che cosa fosse avvenuto di nuovo per cui Egli riduceva il suo trionfo ad una semplice illuminazione fatta nell’intimità del loro piccolo gruppo.
        Per questo Gesù ritornò sul grande concetto di un trionfo interiore di Dio nelle anime, e soggiunse: Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui. Ecco, in sintesi luminosa, l’essenza del trionfo di Dio: abitare da Re trionfante, con la magnificenza della sua gloria, Uno e Trino, nell’anima che, amandolo, compie la sua volontà e gli si dona.
        Dicendo questo, Gesù guardò quegli eretici illusi che avrebbero preteso stabilire con Lui e con Dio un’intimità di grazia senza compiere il bene, e che avrebbero preteso glorificarlo con una sterile fede e con una tracotante fiducia; perciò, per eliminare ogni equivoco, soggiunse: Chi non mi ama così, non osserva la mia parola, e quindi chi non osserva la mia parola non mi ama; ora la parola mia che v’impone di amare osservando i miei comandamenti, non è mia, ma del Padre che mi ha mandato; non è un modo di vedere qualunque o un’opinione cioè, ma risponde al medesimo disegno di Dio nella salvezza delle anime; è un comando di Dio, una Legge che non può né avere eccezione né essere deformata da pensiero umano.
        Rispondendo all’apostolo Giuda Taddeo, Gesù proclamò un grande principio che da solo basta a dissipare le oscure nebbie degli errori protestanti sulla salvezza e sulla santificazione, e da solo c’impegna ad essere veramente anime amanti di Dio.
        Il trionfo di Dio in noi non consiste in uno sterile trionfo di misericordia che ci trascina, inerti e lerci come siamo, nel suo regno; ma è un trionfo d’amore che risponde al nostro amore, e ci rende capaci di operare soprannaturalmente o – come dicono i teologi –, ci abilita a fare atti deiformi. Si noti l’abisso che corre tra la verità e l’errore; questo afferma l’inutilità di operare il bene, anzi l’utilità di operare il male, presumendo così di glorificare la grazia che salva, e la verità, invece, proclama che Dio, andando incontro all’anima che l’ama e osserva fedelmente i suoi comandamenti, abita in lei nella gloria della sua Trinità, e produce in lei un organismo soprannaturale che, soprannaturalizzando l’anima, l’abilita a fare atti deiformi.
        La vita cristiana, infatti, è una partecipazione alla vita stessa di Dio, ed è evidente che Egli solo la può conferire; ora, Egli ce la conferisce venendo ad abitare nelle anime nostre e dandosi interamente a noi affinché possiamo rendergli i nostri ossequi e lasciarci docilmente guidare da Lui a praticare le disposizioni e le virtù di Gesù Cristo. Questa mirabile abitazione della Santissima Trinità in noi si attua quando noi amiamo Gesù, e noi lo amiamo principalmente quando gli chiediamo perdono dei nostri peccati attraverso il sacramento della Penitenza e quando ci comunichiamo eucaristicamente con Lui sacramentato. Andiamo da Lui per amore, e perché lo amiamo il Padre ci ama; siamo da Lui attivati soprannaturalmente, e diventiamo tempio vivo della Santissima Trinità che, vivendo in noi, rende deiformi le nostre azioni con la grazia. Dio ci adotta come figli, non per una semplice finzione giuridica, com’è l’adozione legale, ma elargendo a coloro che credono nel suo Verbo la divina filiazione: diede il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome (Gv 1,12). Questa filiazione non è nominale ma effettiva: affinché siamo chiamati figli di Dio (1Gv 3,1) noi entriamo in possesso della divina natura. Questa vita divina è certamente in noi soltanto una partecipazione e una somiglianza che fa di noi non degli dèi, ma degli esseri deiformi; ma è anche una realtà, una vita nuova, non uguale, ma simile a quella di Dio.

Nelle incomprensioni, affidarsi ai lumi dello Spirito Santo.
        Gli apostoli si mostrarono un po’ disorientati alle parole di Gesù; non le comprendevano appieno e non sapevano come metterle in pratica. Gesù, però, non parlava perché avessero praticato tutto ciò che diceva allora stesso, né parlava solo per loro: si rivolgeva a tutti gli uomini e alla sua Chiesa futura, della quale essi erano le primizie; non dovevano dunque turbarsi per la loro incomprensione attuale, ma aspettare con fiducia le illuminazioni dello Spirito Santo. La santità, infatti, non è un edificio morto che si eleva a via d’industrie, ma è come il germinare, il crescere, il fiorire e il fruttificare di una pianta che si compie sotto i raggi del sole, per vita interna. L’anima è istruita da chi la guida, ed ha l’impressione di dimenticare tutto ciò che ascolta né sa vedere come possa metterlo in pratica. Ciò che ascolta, però, non è una lezione ma una semina, non è uno studio arido di problemi spirituali o psicologici, ma è come l’aprirsi di un orizzonte e il delinearsi di una strada, a percorrere la quale occorre, poi, la guida e il veicolo.
        L’anima, quasi sempre, come avveniva anche agli apostoli, dimentica ciò che ascolta o ciò che legge e, povera com’è, non sa come cominciare e proseguire il suo cammino di perfezione. Essa non deve disorientarsi, o stillarsi il cervello ma, offrendosi tutta a Dio, deve confidare nei lumi dello Spirito Santo. È proprio quello che Gesù disse agli apostoli: Queste cose vi ho detto mentre mi trovavo ancora in mezzo a voi; cioè, voleva dire, io vi ho detto molte cose per profittare del tempo nel quale sono con voi, ma voi non vi preoccupate di non ricordarle, o di ricordarle in parte; verrà poi lo Spirito Santo che il Padre manderà nel nome mio, ed Egli vi insegnerà ogni cosa, spiegandovi quello che non avete capito, e vi ricorderà, a mano a mano che vi occorrerà, tutto quello che vi ho detto, e che avete dimenticato.
        Questa soave provvidenza nella formazione e nella perfezione dell’anima possiamo constatarla continuamente: noi ascoltiamo e leggiamo qualcosa di vitale, ne esultiamo, e poi dimentichiamo tutto o quasi tutto. Quel nutrimento spirituale non è perduto, ma è come la concimazione o l’innaffiamento della pianta: rimane in noi e, ai raggi salutari dell’azione dello Spirito Santo, affiora nelle parti avvizzite del cuore, e le vivifica. A volte si trasforma, diventa un pensiero che par che nasca da noi, ed è invece l’elaborazione venuta dalla grazia di un pensiero vitale, rendendolo come linfa appropriata alle nostre disposizioni particolari, e ai fini che il Signore vuol conseguire nella nostra vita. Quando l’anima si dona interamente a Dio nella soave schiavitù dell’amore, lungi dal preoccuparsi nel suo cammino di perfezione, deve rimettersi alla grazia dello Spirito Santo e confidare, con la ferma volontà di rispondere e di fare tutto ciò che Egli le ispira, nella luce di chi la guida nel cammino della santità.

Bando agli estetismi dello spirito!

        La preoccupazione, in questa via d’amore, può spegnere precisamente l’amore, diventare ansietà orgogliosa di vedersi buoni, diventare vanità di spirituale estetica, e togliere la pace dal cuore. È questa la ragione dell’agonia che tante anime hanno nel cammino spirituale: esse non si affidano alla grazia dello Spirito Santo ma alle loro attività, non cercano la gloria di Dio ma inconsciamente la loro gloria, e vanno cercando la pace nelle pieghe del loro cuore inquieto, anziché nel caldo soave e materno della divina volontà. Per questo Gesù, dopo aver parlato agli apostoli della futura azione dello Spirito Santo nella loro santificazione, soggiunge: Vi lascio la pace, vi do la mia pace; non ve la do come la dà il mondo. Il vostro cuore non si turbi né si sgomenti. La pace che dona Gesù è la tranquillità dell’anima data interamente a Dio, è la calma nelle prove che nasce dall’unione alla divina volontà, è l’intima gioia di sentirsi di Dio anche quando la povera natura agonizza, è il dolore stesso e la pena illuminati dalla luce della bontà divina, e dalla speranza dell’eterna gloria. Gli apostoli erano turbati e sgomenti perché Gesù aveva accennato loro alla sua prossima dipartita dal mondo; ebbene, neppure questo doveva turbarli, quando pensavano che Egli se ne andava al Padre, e che la sua umanità, minore del Padre, andava alla gloria. Come Dio, Egli era nel Padre e il Padre in Lui; era suo Verbo consustanziale e stava immutabilmente nella divina gloria; ma, come uomo, era minore del Padre, era pellegrino, angustiato, afflitto, e prossimo a subire l’estrema immolazione. Se essi l’amavano veramente, dovevano godere che la sua addolorata umanità andava ad immergersi nella gloria del Padre.

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace»

        Dicendo questo, Gesù apriva alle anime desolate l’orizzonte eterno, e alle anime vittime la visuale della pace imperturbabile nell’eterna gloria. Certo, le pene della vita sono gravi, e a volte ci danno l’impressione di una fitta oscurità senza uscita e senza scampo. Ci accoriamo di noi, e ci sentiamo sgomenti; eppure basta pensare che l’angustia passa e che viene presto la pace eterna, per sentirsi rianimati. Basti a ciascun giorno il suo affanno; il domani mettiamolo interamente nelle mani di Dio, e orientiamo l’anima nostra al domani eterno che ci attende. Quando ci uniamo alla divina volontà e viviamo in questa soave speranza, i giorni amari diventano come una spinta maggiore verso gli eterni orizzonti, ci astraggono dal mondo, ci appartano dalle realtà umane, e ci uniscono a Dio in modo così profondo, e in un abbandono così completo che satana non può aver nulla di comune con noi né può esercitare in noi quel tristo dominio che ha sui peccatori, fonte di disperata agitazione.
        Gesù accennò velatamente alla sua Passione e morte, riparlando della sua dipartita dal mondo, e l’accennò perché gli apostoli, vedendola avverata, non si fossero turbati; Egli, però, protestò che il principe di questo mondo, cioè satana, non aveva nulla in Lui, e che, quello che avrebbe fatto contro di Lui, Egli lo avrebbe permesso, per dimostrare al mondo il suo amore al Padre nell’immolazione, e per compiere il suo grande disegno della redenzione umana: Non parlerò ancora molto con voi – soggiunse –, perché me ne andrò vittima della macchinazione infernale di Giuda, mosso da satana; non vi turbate, però né crediate che io sia sotto il suo dominio quando sarò tormentato e posto a morte. Satana non può nulla senza il mio permesso, e non ha nulla in me, perché non può colpirmi e raccogliere da me neppure un’impazienza; quello che avverrà, e di cui vi prevengo, avverrà per l’amore infinito che porto al Padre e per il quale m’immolo, e sarà da parte mia il compimento pieno della sua volontà.
        Dicendo queste parole, Gesù esortò gli apostoli ad alzarsi e a disporsi ad andar via, perché Egli voleva recarsi all’orto a pregare, e iniziare così la sua Passione. Non disse loro di uscire immediatamente, perché continuò a parlare né volle esortarli semplicemente a muoversi ma, essendo essi afflitti e timorosi, volle dir loro: Non vi accasciate, e non temete che, uscendo di qui, troviate subito qualche agguato; siate forti, seguitemi, e unitevi a me come soldati coraggiosi che seguono il capitano nel cammino della lotta. Siamo tutti di Dio, offriamoci a Lui come schiavi d’amore, nel pieno abbandono della sua volontà, e satana non avrà nulla di noi, quantunque egli muova contro di noi lotte gravi e atroci per sconcertarci.
         Operiamo e soffriamo come vittime d’amore e non come vittime di fatalità, come esecutori del piano ammirabile della divina volontà in noi, e non come schiavi di eventi crudeli. C’immoli l’amore, non satana, e ci metta in croce il Signore per i suoi fini d’amore, non la perfidia diabolica per i suoi fini di rovina spirituale.
Padre Dolindo Ruotolo