sabato 26 luglio 2014

Il tesoro nascosto e la perla preziosa

Commento al Vangelo della XVII Domenica TO 2014 A (Mt 13,44-52)

Il tesoro nascosto e la perla preziosa
Chi ascolta la divina Parola non può illudersi che possa raggiungere il regno di Dio senza sacrificio e senza rinnegare se stesso. La salvezza eterna è un tesoro nascosto al mondo ed è una perla d’inestimabile valore; non si può scavare il tesoro scoperto senza dare tutto quello che si ha per acquistare il campo che lo raccoglie né si può possedere la perla inestimabile senza pagarla a caro prezzo, formato con la vendita e la cessione di beni minori. La vita cristiana non è e non può essere un divertimento, perché non ha per fine il passare più o meno gioiosamente il tempo che ci è stato assegnato da Dio, ma tende alla conquista del Tesoro eterno, di Dio, infinita Grandezza e infinita Bellezza.
Se chi scopre un tesoro nel campo vende tutto ciò che possiede per comprarlo, e chi trova una perla inestimabile dà tutto quello che ha per comprarla, chi potrà dire inutile la rinuncia di tutto, fatta dalle anime consacrate a Dio, per cercare solo il Tesoro eterno?

Riepilogo della vita della Chiesa: la rete e la cernita finale
Gesù Cristo aveva parlato della mescolanza dei buoni e dei cattivi nella Chiesa, con la parabola del buon seme e della zizzania, e del riepilogo finale della semina nella mietitura. Il problema era troppo angoscioso, ed Egli v’insiste con un’altra parabola che giustifica la larghezza che un giorno avrà la Chiesa nell’accogliere tutte le anime. Essa, infatti, è come una rete gettata nel mare che raccoglie ogni genere di pesci e, quando li ha tratti a riva, allora scarta quelli che sono cattivi da quelli che sono buoni. È logico che, essendo la Chiesa un campo di prova, accoglie tutti quelli che vi entrano, senza esigere da essi una perfezione già consumata. Con l’apostolato, essa getta la rete, raccoglie le anime, si sforza di formarle ad una vita nuova, ne tollera e compatisce le debolezze come madre, le spinge ad emendarsi, trova nuove industrie di zelo per conquiderle e, quando non riesce nel suo scopo per molte anime, prega, ripara, piange e attende che il Signore stesso faccia la cernita nel giorno del Giudizio. Allora verranno gli angeli e separeranno essi, per mandato divino, i buoni dai cattivi, gettando questi nel fuoco eterno dove, per disperazione, piangeranno e digrigneranno i denti, constatando la loro eterna infelicità e il loro implacabile odio.
Dopo aver parlato, Gesù si rivolse ai suoi apostoli e domandò loro se avevano capito tutto ciò che aveva detto. Era logico che facesse questa domanda, dopo che essi avevano mostrato di non aver capito il significato della parabola del seminatore. Forse Gesù aveva tra i suoi uditori qualche scriba di buona fede che lo aveva seguito fin nella casa dove s’era raccolto con gli apostoli; per questo, rivolto ad essi, soggiunse: Ogni scriba, istruito in ciò che riguarda il regno dei cieli, è simile a un padre di famiglia che cava fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie. Egli voleva dire: la vostra sapienza non può restringersi ad un pedante attaccamento a tutto ciò che è vecchio, ma deve saper accogliere anche quello che è nuovo, proprio come un padre di famiglia sa impiegare, per il bene della casa, le cose vecchie e nuove.

Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo

sabato 19 luglio 2014

La parabola del seminatore

Commento al Vangelo della XVI Domenica TO 2014 A (Mt 13,24-43)

La parabola del seminatore
La prima parabola che propose al popolo era come uno sguardo che dava al cuore e alle disposizioni del suo uditorio, poiché in quel momento Egli gettava la semente della divina parola nelle anime e la gettava con vario frutto. Un seminatore che lasciasse cadere la semente sulla strada fra i sassi e fra le spine non sarebbe un seminatore accorto ma, avendo sovrabbondanza di semi, la sua stessa ricchezza gliene farebbe cadere una parte sulla strada, tra le pietre e tra le spine. Gesù Cristo è venuto in terra per seminare la divina parola, è venuto con una sovrabbondanza di misericordie per salvare tutti e per dare a tutti i mezzi di salute; Egli, dunque, semina dovunque, anche nei cuori duri, benché sappia che, in realtà, la sua semente andrà perduta; benefica tutti, muore per tutti senza preferenza di persone, e attende il frutto della corrispondenza umana.
È sempre Gesù che fa la grande semina della divina parola, perché gli apostoli e i loro successori lo rappresentano e agiscono in suo nome; la semente che Egli dona è sempre buona e atta a germinare, perciò non c’è caso nel quale l’uomo possa dire di aver ricevuto un aiuto insufficiente; non è cattiva la semente, ma la terra dove essa cade, quando non produce frutto, o lo produce imperfettamente.
Il seminatore viene dalla strada col grembiule pieno di semi e, logicamente, per entrare nella terra, percorre prima un tratto di strada, poi attraversa le macerie del campo, poi la siepe irta di spine e infine va nella terra buona e fino ai luoghi meglio esposti e più ubertosi. È questa la ragione per cui, dal grembiule sovraccaricato, sfugge parte della semente sulla strada, tra le pietre e tra le spine. Anche il predicatore della divina parola, per giungere alle anime capaci di fecondità, deve parlare a tutti, e passa quasi per la strada del mondo tra le pietre delle anime superficiali, e tra le spine di quelle assalite dalle passioni.
Il popolo ebreo fu per Gesù come la strada per giungere a tutte le anime e, in mezzo ad esso, la parola fu come divorata dal maligno, senza portare frutto. Dagli Ebrei la parola passò ai popoli circostanti e ai Greci, dove sembrò germinare perché accolta con esultanza, ma poi non fruttificò perché cadde tra le pietre della cultura umana e non pose radici. Dal mondo greco passò a quello romano, irto di spine di passione, e fu soffocata dalle sollecitudini del secolo presente e dalla seduzione delle ricchezze. Essa, però, trovò la terra buona nelle anime che sinceramente fecero parte della Chiesa, e fruttificò – come dice sant’Agostino –, il cento per uno tra i martiri, il sessanta tra i vergini, il trenta fra quelli che vivono santamente nel mondo.
Nel campo particolare delle anime avviene spesso che molti ascoltano la divina parola ma pochi ne traggono frutto, secondo quello che dice Gesù Cristo stesso spiegando la parabola.
Vi sono quelli che ascoltano più per curiosità che per trarne profitto, e la parola viene loro rapita dal maligno; ascoltano e poi dimenticano tutto, o non vi fanno più caso e ritornano ai loro vani pensieri.
Vi sono quelli che ascoltano, provano un diletto spirituale nell’evidenza della verità, propongono anche di confessarsi e cambiar vita ma, alle prime contraddizioni e persecuzioni, mutano pensiero e ritornano alla vita di prima.
Vi sono, infine, quelli che accolgono la divina parola, ma pretendono conciliarla con la sollecitudine delle cose terrene e delle ricchezze, e la soffocano nel loro cuore.
Per ricevere con frutto la parola di Dio bisogna essere terra buona, cioè bisogna avere le disposizioni interiori per meditarla, svilupparla e metterla in pratica.

Il grano e la zizzania
Dio semina nel cuore degli uomini il buon seme della sua parola, ma il demonio non se ne sta inoperoso, e cerca di seminare sul grano la zizzania, quando i coltivatori del campo dormono. La zizzania o loglio, lolium temulentum, è una pianta che non differisce molto dal grano, quando è ancora tenera; ma si distingue bene, poi, dal frutto che produce perché le sue spighe hanno granelli neri che, frammischiati alla farina di grano in quantità notevole, la rendono nociva. Gesù non poteva scegliere una similitudine più appropriata per designare gli errori, le eresie e le illusioni di una falsa vita cristiana, con le quali il demonio cerca rendere vana la semina fatta dal Signore.
Gli errori si diffondono quando i sacerdoti dormono, cioè quando non hanno una vita di ardente zelo e non sanno vigilare nella preghiera; allora subdolamente satana invade il campo del Signore e, per mezzo degli eretici, getta il germe della dissensione con errori teorici e pratici che sembrano aver l’apparenza della verità mentre sono esiziali alla salvezza delle anime. È così che nel campo seminato da Gesù Cristo si trovano i buoni e i cattivi, gl’illuminati dalla verità e gli ottenebrati dagli errori. Il Signore, per provare gli eletti, permette che i buoni siano accanto ai cattivi, e si riserva di fare la cernita del suo gregge nel giorno del Giudizio. Gli eretici e i cattivi, per quanto possano dissimularsi sotto apparenze ingannatrici, si smascherano con la loro vita, proprio come la zizzania si fa conoscere dal suo frutto.
Lo zelo del bene ci fa desiderare che i cattivi non ci siano nel mondo, e vorremmo che la giustizia di Dio li recidesse con castighi improvvisi e terribili. È questa l’aspirazione di tante anime, specialmente quando vedono la tracotanza e l’apparente trionfo dei cattivi. Ma il Signore ha dato all’uomo il tempo della vita come prova, e non interviene per non interrompere questa prova e per dare a tutti tempo di penitenza. Se la giustizia rigorosa dovesse colpire i cattivi, essa finirebbe per colpire anche i buoni, perché nessuno è senza colpa al cospetto del Signore; è dunque necessario che la misericordia si effonda su tutti, buoni e cattivi, affinché quelli, crescendo fino alla maturità, abbiano il tempo e la grazia di poter produrre almeno quel minimo frutto che li renda capaci della ricompensa eterna.
Questa bellissima parabola la spiegò Gesù Cristo stesso agli apostoli dopo che, congedate le turbe, si ritirò nella casa che l’ospitava. La sua parola divinamente semplice risolveva uno dei problemi più assillanti e tormentosi della vita della Chiesa nel mondo. La sua parola era verità, non lasciava adito a inutili discussioni, non poteva forse neppure meditarsi con ragionamenti personali: poteva solo contemplarsi. Quello infatti che Gesù dice è, e l’anima non può che assentire, adorare, sperare e attendere l’ora di Dio. Si può solo approfondire, con la sua luce e la sua grazia, quello che Egli dice, poiché ogni sua affermazione suppone e indica l’esistenza di un problema.

Il mistero dei buoni e dei cattivi nel mondo: oggi particolarmente attuale
In questa parabola è prospettato uno dei problemi più gravi nella vita della Chiesa, come si è detto: nel campo del mondo c’è la buona semente, seminata dal Signore, cioè ci sono i buoni, i figli del regno, quelli che crescono per dare un frutto di bene, e per godere poi l’eterna ricompensa, e c’è la zizzania seminata dal diavolo, la quale rappresenta i cattivi, i figli del maligno. Quelli che traviano dalla Legge del Signore, benché chiamati anch’essi all’eterna gloria come tutti gli uomini, si rendono figli di satana comunicando alla sua vita e alla sua malizia. Come Gesù Cristo forma i figli del regno, comunicando loro la sua vita attraverso i Sacramenti e l’Eucaristia, così satana forma i figli delle tenebre, invasandoli con le sue suggestioni interne e con le sue tentazioni esterne.
Il mondo, con le sue illusioni, e la carne con le sue prepotenze sono le vie per le quali satana raggiunge le anime e, sotto quella specie di morte, comunica loro la propria malignità, e le lancia poi nella Chiesa come elemento di dissensione e di scandalo. Il peccato è proprio della fragilità umana, ma certe forme di delinquenza non sono semplicemente dei malanni dello spirito: sono delle vere possessioni diaboliche che mutano il buon seme in zizzania, e poi lo gettano nel campo di Dio per turbarne lo sviluppo.

Il granello di senapa
Il mondo affascina le anime perché ostenta una grandezza che, in realtà, non ha; esso si sviluppa come pianta cattiva che subito cresce e dà frutti di morte. La Chiesa, invece, appare come una piccola cosa, e diremmo quasi come un’utopia innanzi a quelli che la rinnegano. Ma questa piccolezza apparente ha, in realtà, in sé, una forza di vita che nessuno sospetta, e costituisce il riposo delle creature che cercano Dio. Gesù Cristo espresse questa vitalità con la parabola del granello di senapa. Questa è una pianta annuale, con numerosi rami e larghe foglie che appartiene alla famiglia delle crocifere. Cresce abbondantemente in Palestina e raggiunge l’altezza di tre o quattro metri, in modo che veramente gli uccelli vi possono nidificare. La semente di questa pianta è piccolissima di fronte al suo sviluppo, e per questo Gesù la chiama una delle più piccole. Ora, la Chiesa ha nella sua apparente piccolezza una vita meravigliosa e, come granello di senapa, cresce, si espande, fruttifica e raccoglie nelle sue braccia le anime.

Il lievito
Il Vangelo, agli occhi del mondo, sembra una cosa piccola e spregevole, senza lo splendore di quella orgogliosa e gonfia sapienza umana che cerca il suo successo nei paroloni; eppure le sue parole semplici sono come il lievito che, in piccola proporzione, messo in tre staia di farina, cioè in circa 39 litri, la fermenta tutta e lievita la pasta dalla quale si fa poi il pane. La parabola del seminatore, con tutta la semente inutilmente caduta sulla strada, fra le pietre e tra le spine, avrebbe potuto far credere quasi inefficace la predicazione della divina parola, e per questo Gesù soggiunge che essa ha una grande forza di germinazione e di espansione là dove cade, e che riempie la terra come fermento di vita nuova che muta le anime, elevandole ad una vita soprannaturale altissima.
Quanti santi si sono formati alla santità e sono ascesi nelle vie della perfezione con una sola parola del Vangelo! San Francesco d’Assisi ascoltò solo quella che esortava alla povertà, e in lui essa fu veramente come fermento che gli fece concepire un grande amore alla vita umile e spregiata, e lo unì tutto a Gesù Cristo.
Chi annuncia la divina parola non deve scoraggiarsi, vedendo l’insensibilità di quelli che l’ascoltano: deve rendere lievito quella parola nel proprio cuore, pregando e infiammandosi d’amore, con la certezza che, così fecondata, non penetra mai invano in un cuore e lo trasforma a poco a poco.

Padre Dolindo Ruotolo


sabato 12 luglio 2014

L'insegnamento di Gesù in parabole

Commento al Vangelo della XV Domenica TO 2014 A (Mt 13,1-23)

L’insegnamento di
Gesù in parabole
Gesù parlava quasi sempre per similitudini e paragoni presi dalla vita o da particolari circostanze, per rendere più vivi i suoi insegnamenti, e più penetranti nell’anima. La parabola e il paragone, infatti, sono come una scena viva che attrae chi ascolta, gli rende difficile il distrarsi, previene le sue difficoltà, e gli fa accogliere più facilmente la Parola di Dio.
Nelle parabole raccolte nel presente capitolo, Gesù volle mostrare lo sviluppo del regno di Dio sulla terra, ossia della Chiesa, e parlò velatamente affinché i malintenzionati che aspettavano un regno temporale del Messia, non ne avessero preso occasione per disorientare maggiormente il popolo. Con la parabola del seminatore descrisse lo sviluppo del regno di Dio nel cuore degli uomini e nell’apostolato; con quella del grano e della zizzania mostrò che nello sviluppo esterno della Chiesa i buoni sono mescolati ai cattivi; con quella del granello di senapa e del lievito mostrò la rapida diffusione del regno di Dio con i mezzi più umili; con quella del tesoro e della perla ne mostrò la preziosità, e con quella della rete il riepilogo della fine dei tempi.
Siccome poi, il regno di Dio è anche dentro di noi, così le parabole possono avere una particolare applicazione all’anima. Gesù fece Egli stesso l’applicazione della parabola del seminatore all’anima, e quella del grano e della zizzania alla vita della Chiesa.
Uscì dunque il Redentore dalla casa che l’ospitava, e sedette in riva al mare. Egli che aveva detto ai suoi apostoli: Vi farò pescatori di uomini, s’era fermato sulla riva quasi per pescare le anime, attraendole con la sua bontà. Si radunò, infatti, intorno a Lui, una gran turba di popolo, ed Egli, per meglio parlare e farsi ascoltare, prese posto in una barca e parlò così al popolo che stava sulla riva. Non era un gesto casuale, perché quella navicella rappresentava la Chiesa, ed Egli che vi prese posto ne annunciava il Magistero infallibile.

La parabola del seminatore
La prima parabola che propose al popolo era come uno sguardo che dava al cuore e alle disposizioni del suo uditorio, poiché in quel momento Egli gettava la semente della divina parola nelle anime e la gettava con vario frutto. Un seminatore che lasciasse cadere la semente sulla strada fra i sassi e fra le spine non sarebbe un seminatore accorto ma, avendo sovrabbondanza di semi, la sua stessa ricchezza gliene farebbe cadere una parte sulla strada, tra le pietre e tra le spine. Gesù Cristo è venuto in terra per seminare la divina parola, è venuto con una sovrabbondanza di misericordie per salvare tutti e per dare a tutti i mezzi di salute; Egli, dunque, semina dovunque, anche nei cuori duri, benché sappia che, in realtà, la sua semente andrà perduta; benefica tutti, muore per tutti senza preferenza di persone, e attende il frutto della corrispondenza umana.
È sempre Gesù che fa la grande semina della divina parola, perché gli apostoli e i loro successori lo rappresentano e agiscono in suo nome; la semente che Egli dona è sempre buona e atta a germinare, perciò non c’è caso nel quale l’uomo possa dire di aver ricevuto un aiuto insufficiente; non è cattiva la semente, ma la terra dove essa cade, quando non produce frutto, o lo produce imperfettamente.
Il seminatore viene dalla strada col grembiule pieno di semi e, logicamente, per entrare nella terra, percorre prima un tratto di strada, poi attraversa le macerie del campo, poi la siepe irta di spine e infine va nella terra buona e fino ai luoghi meglio esposti e più ubertosi. È questa la ragione per cui, dal grembiule sovraccaricato, sfugge parte della semente sulla strada, tra le pietre e tra le spine. Anche il predicatore della divina parola, per giungere alle anime capaci di fecondità, deve parlare a tutti, e passa quasi per la strada del mondo tra le pietre delle anime superficiali, e tra le spine di quelle assalite dalle passioni.
Il popolo ebreo fu per Gesù come la strada per giungere a tutte le anime e, in mezzo ad esso, la parola fu come divorata dal maligno, senza portare frutto. Dagli Ebrei la parola passò ai popoli circostanti e ai Greci, dove sembrò germinare perché accolta con esultanza, ma poi non fruttificò perché cadde tra le pietre della cultura umana e non pose radici. Dal mondo greco passò a quello romano, irto di spine di passione, e fu soffocata dalle sollecitudini del secolo presente e dalla seduzione delle ricchezze. Essa, però, trovò la terra buona nelle anime che sinceramente fecero parte della Chiesa, e fruttificò – come dice sant’Agostino –, il cento per uno tra i martiri, il sessanta tra i vergini, il trenta fra quelli che vivono santamente nel mondo.
Nel campo particolare delle anime avviene spesso che molti ascoltano la divina parola ma pochi ne traggono frutto, secondo quello che dice Gesù Cristo stesso spiegando la parabola.
Vi sono quelli che ascoltano più per curiosità che per trarne profitto, e la parola viene loro rapita dal maligno; ascoltano e poi dimenticano tutto, o non vi fanno più caso e ritornano ai loro vani pensieri.
Vi sono quelli che ascoltano, provano un diletto spirituale nell’evidenza della verità, propongono anche di confessarsi e cambiar vita ma, alle prime contraddizioni e persecuzioni, mutano pensiero e ritornano alla vita di prima.
Vi sono, infine, quelli che accolgono la divina parola, ma pretendono conciliarla con la sollecitudine delle cose terrene e delle ricchezze, e la soffocano nel loro cuore.
Per ricevere con frutto la parola di Dio bisogna essere terra buona, cioè bisogna avere le disposizioni interiori per meditarla, svilupparla e metterla in pratica.

Perché Gesù parla in parabole?
Gli apostoli si meravigliarono che Gesù parlasse in parabole, perché non capirono che cosa Egli avesse voluto dire con quella del seminatore. Dopo il semplice e chiaro discorso delle beatitudini, sembrava ad essi enigmatico parlare con parabole delle quali non riuscivano a capire l’applicazione. Perciò vollero interrogarlo; ma, ricordando le severe parole che Egli aveva detto agli scribi e farisei (vedi capitolo precedente), non ebbero il coraggio di domandare un’esatta spiegazione a Gesù, temendo forse di averne un rimprovero, e perciò si limitarono solo a chiedergli perché avesse parlato in quel modo. Questo si rileva chiaramente dalla risposta del Signore. Egli, infatti, rispondendo al loro desiderio nascosto, disse: Perché a voi è stato concesso di intendere i misteri del regno dei cieli ad essi invece non è stato concesso. Cominciò col promettere loro la spiegazione di ciò che aveva detto, perché essi ascoltavano la divina parola con semplicità, e protestò con rammarico di non poter fare la stessa spiegazione agli scribi e farisei perché, con la loro opposizione maligna alla verità, avevano perso la stessa possibilità d’intenderla e di farla fruttificare in loro. Erano stati chiamati alla fede, ma avevano rifiutato la verità, e avevano perso anche ciò che avevano, rendendosi incapaci d’intenderla.
Chi ha la grazia e vi corrisponde sta nell’abbondanza spirituale, ma chi di proposito non corrisponde perde anche la grazia che aveva. Gesù espresse questa grande verità con un proverbio comune, dicendo: A chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha; il ricco acquista facilmente nuove ricchezze, e il povero, non avendo proventi, perde facilmente quel poco che ha; così avviene nel campo della grazia. Gli scribi e i farisei saranno privati anche del poco che hanno, e Gesù, applicando loro un passo difficile di Isaia (6,9-10), giustifica meglio perché parla loro in parabole: Egli vuole renderli meno rei, e ritardare in essi la perdita definitiva di ciò che hanno, per concedere loro altro tempo di penitenza. Essi infatti, vedendo evidentemente i prodigi che Egli compie, non vedono perché li attribuiscono a satana e, udendo la divina parola, non l’ascoltano perché ne travisano il senso; questa grande ingratitudine fu annunciata già da Isaia come una causa prossima dell’accecamento del loro cuore, e Gesù, per renderli meno responsabili, parla in parabole e annuncia velatamente le grandi verità del regno di Dio che essi traviserebbero innanzi alle turbe. L’ingratitudine degli scribi e farisei è tanto più grave, in quanto essi vedono e ascoltano quello che gli antichi desiderarono vedere e ascoltare, e che i posteri invidieranno loro, rendendo così vano, in loro, un beneficio divino unico e singolare.
Padre Dolindo Ruotolo

sabato 5 luglio 2014

Il privilegio dei piccoli di spirito

Commento al Vangelo della XIV Domenica TO 2014 C (Mt 11,25-30)
Santa Maria Goretti

Il privilegio dei piccoli di spirito
Perché le anime non corrispondono alle grazie del Signore? Perché presumono di se stesse, si gonfiano vanamente, indagano con superba tracotanza quello che dovrebbero adorare e praticamente rifiutano la luce delle divine misericordie. Il Vangelo non si può intendere dai cosiddetti “grandi” del mondo, perché essi hanno la testa come intontita dalle loro meschinità, e sono avvolti dalla fitta cortina delle loro idee.
Gesù, perciò, si compiace dei piccoli di spirito che, in realtà, sono grandi, e ringrazia il Padre di aver loro rivelato i misteri della verità e dell’amore celati ai cosiddetti sapienti della terra. La sapienza e la prudenza umana è come nebbia che si leva all’orizzonte e impedisce il diffondersi dei raggi del sole; gli uomini la credono sapienza ma, in realtà, è stoltezza innanzi a Dio. Ne sa più un umile contadino, pieno dello spirito del Signore che un dotto filosofo, il quale si perde nei vortici delle sue fantasie. Questo è un punto importantissimo e fondamentale per andare a Dio, e Gesù mostra in se stesso la grandezza di questo principio: Egli si è umiliato e fatto piccolo per amore, e tutto gli è stato dato dal Padre; è povero innanzi al mondo, ma è ricchissimo innanzi a Dio, perché il tutto donatogli dal Padre è il suo Verbo che termina la natura umana.
Il Verbo è la conoscenza del Padre ed è la Sapienza infinita che lo conosce; il Verbo e il Padre sono perfettamente uguali, benché realmente distinti.
Il Padre conosce se stesso e genera il Verbo nella sua infinita semplicità, e il Verbo, Conoscenza del Padre, lo glorifica in una luce infinitamente semplice.
È dunque la semplicità che trionfa nell’oceano della luce infinita ed è attraverso la semplicità che questa luce si comunica. Il Padre la comunica ai piccoli, e il Figlio la comunica a chi vuole; siccome la sua volontà è fonte di bene, così è chiaro che la comunica non a capriccio, ma diffondendo il bene con la sua volontà, salvando e redimendo. Il bene raggiunge la creatura nel sacrificio e il sacrificio avvicina la creatura al sommo Bene, e per questo Gesù invita a sé tutti i sofferenti per ristorarli col dono della luce e dell’amore di Dio.

Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore
Per ricevere la luce di Dio, bisogna appartenere al Redentore, e sottoporsi al suo giogo, cioè al suo dominio che è soave e dolcissimo, e bisogna imparare da Lui come da Maestro. Non basta ascoltare i suoi precetti per intenderli, bisogna prima sottomettervisi ed accettarne la pratica perché i precetti di Gesù non sono teorie filosofiche ma sono via, verità e vita. Bisogna imparare da Lui che è mansueto e umile di cuore, nella mansuetudine che si sottomette al giogo; e nell’umiltà che sa rinunciare ai propri pensieri; bisogna imparare dal Maestro divino la mansuetudine e l’umiltà del suo Cuore che sono i segreti della sua intimità col Padre, poiché Egli si sottomette alla sua volontà che lo immola e, umiliandosi fino alla croce, ne glorifica la grandezza e la maestà.
Gli esegeti moderni sostengono che Gesù Cristo nel dirci: Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore, non abbia voluto proporsi come maestro di queste due virtù ma abbia voluto dire che Egli è un maestro che non fa paura che è mansueto e umile nell’insegnare, e lo è non a fior di labbra ma profondamente nel cuore. A noi, questa spiegazione sembra non solo monca nel contesto, ma contraria allo spirito stesso della Chiesa. Gesù, infatti, ci esorta a prendere il suo giogo e ci mostra il suo Cuore per mostrarci che cos’è questo giogo, tutto amore, tutto pace, e tutto bontà. Se il Re è amore, mansuetudine e umiltà, è logico che anche i sudditi lo siano, poiché i sudditi debbono imparare da Lui. Gesù vuole, proprio perciò – come è chiaro dal contesto –, che s’impari da Lui la mansuetudine e l’umiltà del suo Cuore.
La vita eterna consiste nel conoscere il Padre e il Figlio, come il Figlio Incarnato conosce il Padre e lo glorifica; Egli si sottomette alla sua volontà e si umilia fino alla croce; accetta con mansuetudine il giogo come Vittima e si offre alla croce. I suoi seguaci debbono fare lo stesso e poiché l’amore di Dio include quello del prossimo, debbono essere mansueti e umili anche nelle relazioni con i propri fratelli.
Padre Dolindo Ruotolo