sabato 19 luglio 2014

La parabola del seminatore

Commento al Vangelo della XVI Domenica TO 2014 A (Mt 13,24-43)

La parabola del seminatore
La prima parabola che propose al popolo era come uno sguardo che dava al cuore e alle disposizioni del suo uditorio, poiché in quel momento Egli gettava la semente della divina parola nelle anime e la gettava con vario frutto. Un seminatore che lasciasse cadere la semente sulla strada fra i sassi e fra le spine non sarebbe un seminatore accorto ma, avendo sovrabbondanza di semi, la sua stessa ricchezza gliene farebbe cadere una parte sulla strada, tra le pietre e tra le spine. Gesù Cristo è venuto in terra per seminare la divina parola, è venuto con una sovrabbondanza di misericordie per salvare tutti e per dare a tutti i mezzi di salute; Egli, dunque, semina dovunque, anche nei cuori duri, benché sappia che, in realtà, la sua semente andrà perduta; benefica tutti, muore per tutti senza preferenza di persone, e attende il frutto della corrispondenza umana.
È sempre Gesù che fa la grande semina della divina parola, perché gli apostoli e i loro successori lo rappresentano e agiscono in suo nome; la semente che Egli dona è sempre buona e atta a germinare, perciò non c’è caso nel quale l’uomo possa dire di aver ricevuto un aiuto insufficiente; non è cattiva la semente, ma la terra dove essa cade, quando non produce frutto, o lo produce imperfettamente.
Il seminatore viene dalla strada col grembiule pieno di semi e, logicamente, per entrare nella terra, percorre prima un tratto di strada, poi attraversa le macerie del campo, poi la siepe irta di spine e infine va nella terra buona e fino ai luoghi meglio esposti e più ubertosi. È questa la ragione per cui, dal grembiule sovraccaricato, sfugge parte della semente sulla strada, tra le pietre e tra le spine. Anche il predicatore della divina parola, per giungere alle anime capaci di fecondità, deve parlare a tutti, e passa quasi per la strada del mondo tra le pietre delle anime superficiali, e tra le spine di quelle assalite dalle passioni.
Il popolo ebreo fu per Gesù come la strada per giungere a tutte le anime e, in mezzo ad esso, la parola fu come divorata dal maligno, senza portare frutto. Dagli Ebrei la parola passò ai popoli circostanti e ai Greci, dove sembrò germinare perché accolta con esultanza, ma poi non fruttificò perché cadde tra le pietre della cultura umana e non pose radici. Dal mondo greco passò a quello romano, irto di spine di passione, e fu soffocata dalle sollecitudini del secolo presente e dalla seduzione delle ricchezze. Essa, però, trovò la terra buona nelle anime che sinceramente fecero parte della Chiesa, e fruttificò – come dice sant’Agostino –, il cento per uno tra i martiri, il sessanta tra i vergini, il trenta fra quelli che vivono santamente nel mondo.
Nel campo particolare delle anime avviene spesso che molti ascoltano la divina parola ma pochi ne traggono frutto, secondo quello che dice Gesù Cristo stesso spiegando la parabola.
Vi sono quelli che ascoltano più per curiosità che per trarne profitto, e la parola viene loro rapita dal maligno; ascoltano e poi dimenticano tutto, o non vi fanno più caso e ritornano ai loro vani pensieri.
Vi sono quelli che ascoltano, provano un diletto spirituale nell’evidenza della verità, propongono anche di confessarsi e cambiar vita ma, alle prime contraddizioni e persecuzioni, mutano pensiero e ritornano alla vita di prima.
Vi sono, infine, quelli che accolgono la divina parola, ma pretendono conciliarla con la sollecitudine delle cose terrene e delle ricchezze, e la soffocano nel loro cuore.
Per ricevere con frutto la parola di Dio bisogna essere terra buona, cioè bisogna avere le disposizioni interiori per meditarla, svilupparla e metterla in pratica.

Il grano e la zizzania
Dio semina nel cuore degli uomini il buon seme della sua parola, ma il demonio non se ne sta inoperoso, e cerca di seminare sul grano la zizzania, quando i coltivatori del campo dormono. La zizzania o loglio, lolium temulentum, è una pianta che non differisce molto dal grano, quando è ancora tenera; ma si distingue bene, poi, dal frutto che produce perché le sue spighe hanno granelli neri che, frammischiati alla farina di grano in quantità notevole, la rendono nociva. Gesù non poteva scegliere una similitudine più appropriata per designare gli errori, le eresie e le illusioni di una falsa vita cristiana, con le quali il demonio cerca rendere vana la semina fatta dal Signore.
Gli errori si diffondono quando i sacerdoti dormono, cioè quando non hanno una vita di ardente zelo e non sanno vigilare nella preghiera; allora subdolamente satana invade il campo del Signore e, per mezzo degli eretici, getta il germe della dissensione con errori teorici e pratici che sembrano aver l’apparenza della verità mentre sono esiziali alla salvezza delle anime. È così che nel campo seminato da Gesù Cristo si trovano i buoni e i cattivi, gl’illuminati dalla verità e gli ottenebrati dagli errori. Il Signore, per provare gli eletti, permette che i buoni siano accanto ai cattivi, e si riserva di fare la cernita del suo gregge nel giorno del Giudizio. Gli eretici e i cattivi, per quanto possano dissimularsi sotto apparenze ingannatrici, si smascherano con la loro vita, proprio come la zizzania si fa conoscere dal suo frutto.
Lo zelo del bene ci fa desiderare che i cattivi non ci siano nel mondo, e vorremmo che la giustizia di Dio li recidesse con castighi improvvisi e terribili. È questa l’aspirazione di tante anime, specialmente quando vedono la tracotanza e l’apparente trionfo dei cattivi. Ma il Signore ha dato all’uomo il tempo della vita come prova, e non interviene per non interrompere questa prova e per dare a tutti tempo di penitenza. Se la giustizia rigorosa dovesse colpire i cattivi, essa finirebbe per colpire anche i buoni, perché nessuno è senza colpa al cospetto del Signore; è dunque necessario che la misericordia si effonda su tutti, buoni e cattivi, affinché quelli, crescendo fino alla maturità, abbiano il tempo e la grazia di poter produrre almeno quel minimo frutto che li renda capaci della ricompensa eterna.
Questa bellissima parabola la spiegò Gesù Cristo stesso agli apostoli dopo che, congedate le turbe, si ritirò nella casa che l’ospitava. La sua parola divinamente semplice risolveva uno dei problemi più assillanti e tormentosi della vita della Chiesa nel mondo. La sua parola era verità, non lasciava adito a inutili discussioni, non poteva forse neppure meditarsi con ragionamenti personali: poteva solo contemplarsi. Quello infatti che Gesù dice è, e l’anima non può che assentire, adorare, sperare e attendere l’ora di Dio. Si può solo approfondire, con la sua luce e la sua grazia, quello che Egli dice, poiché ogni sua affermazione suppone e indica l’esistenza di un problema.

Il mistero dei buoni e dei cattivi nel mondo: oggi particolarmente attuale
In questa parabola è prospettato uno dei problemi più gravi nella vita della Chiesa, come si è detto: nel campo del mondo c’è la buona semente, seminata dal Signore, cioè ci sono i buoni, i figli del regno, quelli che crescono per dare un frutto di bene, e per godere poi l’eterna ricompensa, e c’è la zizzania seminata dal diavolo, la quale rappresenta i cattivi, i figli del maligno. Quelli che traviano dalla Legge del Signore, benché chiamati anch’essi all’eterna gloria come tutti gli uomini, si rendono figli di satana comunicando alla sua vita e alla sua malizia. Come Gesù Cristo forma i figli del regno, comunicando loro la sua vita attraverso i Sacramenti e l’Eucaristia, così satana forma i figli delle tenebre, invasandoli con le sue suggestioni interne e con le sue tentazioni esterne.
Il mondo, con le sue illusioni, e la carne con le sue prepotenze sono le vie per le quali satana raggiunge le anime e, sotto quella specie di morte, comunica loro la propria malignità, e le lancia poi nella Chiesa come elemento di dissensione e di scandalo. Il peccato è proprio della fragilità umana, ma certe forme di delinquenza non sono semplicemente dei malanni dello spirito: sono delle vere possessioni diaboliche che mutano il buon seme in zizzania, e poi lo gettano nel campo di Dio per turbarne lo sviluppo.

Il granello di senapa
Il mondo affascina le anime perché ostenta una grandezza che, in realtà, non ha; esso si sviluppa come pianta cattiva che subito cresce e dà frutti di morte. La Chiesa, invece, appare come una piccola cosa, e diremmo quasi come un’utopia innanzi a quelli che la rinnegano. Ma questa piccolezza apparente ha, in realtà, in sé, una forza di vita che nessuno sospetta, e costituisce il riposo delle creature che cercano Dio. Gesù Cristo espresse questa vitalità con la parabola del granello di senapa. Questa è una pianta annuale, con numerosi rami e larghe foglie che appartiene alla famiglia delle crocifere. Cresce abbondantemente in Palestina e raggiunge l’altezza di tre o quattro metri, in modo che veramente gli uccelli vi possono nidificare. La semente di questa pianta è piccolissima di fronte al suo sviluppo, e per questo Gesù la chiama una delle più piccole. Ora, la Chiesa ha nella sua apparente piccolezza una vita meravigliosa e, come granello di senapa, cresce, si espande, fruttifica e raccoglie nelle sue braccia le anime.

Il lievito
Il Vangelo, agli occhi del mondo, sembra una cosa piccola e spregevole, senza lo splendore di quella orgogliosa e gonfia sapienza umana che cerca il suo successo nei paroloni; eppure le sue parole semplici sono come il lievito che, in piccola proporzione, messo in tre staia di farina, cioè in circa 39 litri, la fermenta tutta e lievita la pasta dalla quale si fa poi il pane. La parabola del seminatore, con tutta la semente inutilmente caduta sulla strada, fra le pietre e tra le spine, avrebbe potuto far credere quasi inefficace la predicazione della divina parola, e per questo Gesù soggiunge che essa ha una grande forza di germinazione e di espansione là dove cade, e che riempie la terra come fermento di vita nuova che muta le anime, elevandole ad una vita soprannaturale altissima.
Quanti santi si sono formati alla santità e sono ascesi nelle vie della perfezione con una sola parola del Vangelo! San Francesco d’Assisi ascoltò solo quella che esortava alla povertà, e in lui essa fu veramente come fermento che gli fece concepire un grande amore alla vita umile e spregiata, e lo unì tutto a Gesù Cristo.
Chi annuncia la divina parola non deve scoraggiarsi, vedendo l’insensibilità di quelli che l’ascoltano: deve rendere lievito quella parola nel proprio cuore, pregando e infiammandosi d’amore, con la certezza che, così fecondata, non penetra mai invano in un cuore e lo trasforma a poco a poco.

Padre Dolindo Ruotolo


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