sabato 25 luglio 2015

La moltiplicazione dei pani

Commento al Vangelo della XVII Domenica TO 2015 B (Gv 6,1-15)

La moltiplicazione dei pani
Gesù Cristo, insieme con i suoi discepoli, andò alla riva opposta del mare di Galilea, cioè del lago di Genesaret, chiamato pure di Tiberiade da una città famosa per il commercio fatta edificare da Erode Antipa sulla riva occidentale del lago, e chiamata da lui Tiberiade in onore dell’imperatore romano Tiberio. L’evangelista omette di raccontare una quantità di fatti ricordati dai Sinottici, per unire il grandioso discorso di Gesù, vero Dio, che dona la vita, ai miracoli e al discorso che dovevano mostrare come voleva dare la vita.
Dal discorso sulla sua divinità a questo passò circa un anno ma, nel disegno dell’amore di Gesù, un anno non era sufficiente a disgiungere le due grandi manifestazioni di luce, ed Egli, del resto, non mancava di ricordare e ripetere, in ogni occasione, quello che aveva detto, per radicare nel cuore dei suoi uditori le verità fondamentali che dovevano dare o accrescere la loro fede. San Giovanni avvicina i due discorsi precisamente per il nesso divinamente logico che hanno.
Il Redentore, dunque, si ritirò all’altra riva del lago – come dice san Marco (6,31) –, per far riposare un po’ i suoi discepoli ma, vistosi seguito da una gran turba per i miracoli che aveva fatti, si appartò sul monte che sorgeva in quei pressi. L’affollamento era grande, perché si avvicinava la Pasqua, e i pellegrini erano in movimento per andare a Gerusalemme; qualcuno notò che Gesù si era appartato, diede la notizia agli altri, e ben presto la moltitudine lo raggiunse sulla spianata del monte. Con ogni probabilità, Gesù Cristo ripeté al popolo le grandi parole che si riferivano alla sua divinità, e il popolo pendeva dalle sue labbra, senza curarsi della necessità che aveva di procurarsi del cibo e rifocillarsi.
Declinava il giorno, e gli apostoli – come nota san Matteo (14,15) –, furono essi per primi solleciti di dire al Signore che era necessario licenziare le turbe prima che annottasse, affinché avessero potuto comprare qualcosa da mangiare. Al loro richiamo, Gesù levò gli occhi e, vedendo quella grande moltitudine, disse a Filippo: Dove compreremo i pani per dar da mangiare a questa gente? Egli sapeva bene quel che voleva fare, ma parlò così a Filippo per provarne la fede, e per far meglio rimarcare al popolo circostante il miracolo che voleva compiere. Filippo rispose che, anche a spendere tutto il peculio che avevano valutato, duecento denari, cioè circa 156 lire non bastava a dare a ciascuno un piccolo pezzo di pane. Egli voleva così persuadere Gesù che era urgente rimandare la turba.
Andrea, però, cui balenò la possibilità di un miracolo da parte di Gesù, soggiunse: C’è qui un ragazzo che ha due pani d’orzo e due pesci, ma cos’è mai questo per tanta gente? Evidentemente gli apostoli stessi non avevano alcuna provvista, avendola forse consumata sulla barca traghettando il lago. Gesù rispose al barlume di fede che aveva Andrea, e ordinò che avessero fatto sedere a gruppi la gente sull’erba che era molto folta in quel luogo. Gesù Cristo volle così evitare la confusione nella distribuzione del cibo e, avendo intenzione di darne in abbondanza, volle che la gente fosse stata comodamente riposata, e avesse mangiato senza preoccuparsi della stanchezza che doveva essere grande. Sedendosi a gruppi di cinquanta e di cento – come dice san Marco (6,40) –, fu possibile farne il computo: erano complessivamente cinquemila uomini, senza contare le donne e i ragazzi, come nota san Matteo (14,21).
I pani di farina d’orzo erano il cibo dei poveri, e i due pesci erano fritti, come indica l’espressione del testo greco. Gesù li prese nelle mani e tutti gli occhi si fermarono su di Lui. Pregò, ringraziò Dio, e cominciò a fare la distribuzione per mezzo degli apostoli.
Che cosa disse nel rendere grazie?
Si rivolse al Padre, e le sue mani onnipotenti furono più feconde della terra che riceve la semente e la moltiplica; il pane nelle sue mani cresceva, ed Egli lo spezzava e lo dava; lo stesso fece per i due pesci, contemporaneamente al pane, di modo che ciascuno ebbe il pane e il companatico in abbondanza e poté saziarsi.

Finito di desinare, Gesù fece raccogliere gli avanzi perché non fossero andati sciupati, potendosi dare ai poveri, e per far meglio constatare il miracolo. Gli apostoli raccolsero così dodici canestri di pane avanzato. Di pesci non raccolsero nulla perché il companatico si mangia più volentieri del pane. 
Don Dolindo Ruotolo

sabato 18 luglio 2015

Gesù vide la folla ed ebbe compassione

Gesù vide la folla ed ebbe compassione


Commento al Vangelo della XVI Domenica TO 2012 B (Mc 6,30-34)

Gli apostoli tornano dalla loro missione
Gli apostoli, ritornati dalla loro missione, riferirono a Gesù quello che avevano fatto e insegnato. Lo zelo per la salvezza delle anime li aveva vivificati, e il bene operato in nome del Maestro aveva destato la loro fede. Non si lavora per le anime con vero spirito d’amore e di zelo, senza sentirsene migliorati spiritualmente. Annunciare la Parola di Dio con vera fede significa meditarla più profondamente, e vederla germinare nel cuore altrui significa sperimentarne l’efficacia e sentirsi più vicini al Signore. Si sente, dal contesto medesimo, che gli apostoli, ritornando dalla missione, avevano più fiducia in Gesù Cristo, e che Gesù li guardava con infinita tenerezza; è proprio quello che avviene ogni volta che l’anima zela la gloria di Dio e la salvezza del prossimo.
Il Redentore, sollecito come una mamma per i suoi cari, cercò subito di alleviare la loro stanchezza, e li invitò a riposarsi in un luogo solitario, attraversando il lago.
Egli volle, con questo, benedire e consacrare il riposo che deve prendersi chi lavora per Dio, e volle anche dimostrare che, dopo essere stati nell’attività, bisogna cercare il riposo della solitudine e della preghiera per rifarsi nello spirito. Certo, il Redentore non volle che riposassero solo per mangiare, ma anche e molto più per nutrire l’anima.
È chiaro, dal contesto, che gli apostoli non vennero soli, e che una gran folla li seguì per andare a vedere Gesù Cristo, da loro annunciato; questa gente notò la direzione che prendeva la barca, e accorse a piedi al luogo dove supponeva che gli apostoli dovessero approdare, e li prevenne, giungendovi prima. Dovettero avanzare a passo accelerato e, nell’ansia di trovarsi in tempo al luogo del convegno, avanzarono alla rinfusa, con un certo disordine.
        Non era un pellegrinaggio: era una corsa fatta tra il vociare di tanta moltitudine e il naturale brio che nasce in simili contingenze. Gesù Cristo, nello sbarcare, vide quella gran folla e ne ebbe compassione proprio perché ammassata alla rinfusa, come un gregge senza pastore; considerò, gemendo, l’abbandono nel quale erano tenute tante anime da quelli che avrebbero dovuto curarle, e cominciò ad ammaestrarle. L’istruzione, divinamente bella, le attraeva, facendo dimenticare loro anche di mangiare; così passarono le ore, e cominciò a farsi tardi.
Padre Dolindo Ruotolo

venerdì 10 luglio 2015

La Mission è dei dodici apostoli

Commento al Vangelo della XV Domenica TO 2015 B (Mc 6,7-13)

La mission
e dei dodici apostoli

Il disprezzo che i Nazaretani avevano mostrato per Gesù fu forse una delle ragioni per le quali Egli mandò i suoi apostoli in missione nelle regioni circostanti. Nella sua infinita misericordia tolse così, a quelli che l’avevano conosciuto fanciullo, il pretesto di non credere alla buona novella, e inaugurò solennemente Egli stesso quella missione di preparazione e di evangelizzazione che non doveva interrompersi mai nella Chiesa, e che durerà fino alla consumazione dei secoli. Li mandò in varie parti, a due a due, perché l’uno fosse stato aiuto dell’altro, e volle che fossero stati abbandonati interamente al Signore, senza avere preoccupazioni di prestigio umano.
Conquistatori di nuovo genere, essi avanzavano senza aver nulla per il viaggio, eccetto un bastone per sostenersi, e i più rozzi sandali ai piedi per custodirsi contro le pietre delle strade.
In san Matteo è detto che non dovevano avere né bastone né scarpe (10,10) cioè che non dovevano portare sandali o bastoni di ricambio, e san Marco dice subito delle tuniche, dovendo portare il puro necessario al loro cammino, senza preoccupazioni temporali.
Gesù Cristo diede loro la potestà sugli spiriti immondi e di guarire i malanni del corpo, ungendo con l’olio gl’infermi; essi dovevano così annunciare e figurare i due grandi Sacramenti della misericordia, quello della Penitenza che scaccia satana dall’anima, e quello dell’Estrema Unzione che purifica l’anima e sana anche le infermità della natura umana; di quest’ultimo Sacramento lo dice espressamente il Concilio di Trento. Andavano avanti come messaggeri del Re, con un mandato spirituale altissimo che non doveva in nessun modo confondersi con un qualunque giro di propaganda; perciò Gesù volle che si fossero fermati in una sola casa, senza andare qua e là, o accettare inviti di convenienza, quasi fossero andati a diporto.
Dovevano annunciare la buona novella senza clamori, senza contese, senza suscitare inutili reazioni; se la loro parola non fosse stata accettata, dovevano solo mostrare la loro riprovazione per questo atto di resistenza alla Parola di Dio, e declinare ogni responsabilità, scuotendo la polvere dei loro piedi, cioè mostrando, con questo atto simbolico allora in uso, che essi non volevano portare con loro neppure la polvere di quel paese che rifiutava la misericordia e la grazia, e declinavano qualunque responsabilità innanzi a Dio.
La Chiesa ha raccolto l’eredità di Gesù Cristo, e manda i missionari per tutta la terra con lo stesso programma di povertà e di umiltà. Essi si distinguono nettamente da alcuni pretesi missionari del protestantesimo e di tutte le sette, i quali vanno come stipendiati, con tutta l’abbondanza delle ricchezze e delle comodità, e spargono solo la zizzania dei loro errori. È un dato di fatto che può constatare chiunque. Chi va in missione in nome di Dio, non ha bisogno di prestigio umano e di mezzi materiali esuberanti: ha bisogno solo di grande fiducia in Dio e di grande amore per la sua divina gloria.
Chi va… in missione con i grossi bagagli, con la servitù, con la moglie e col portafoglio carico di sterline e di dollari non è mandato da Gesù, perché Gesù non manda così i suoi apostoli. La ricchezza di alcune delle dette missioni protestanti – che a tanti, persino cattolici, sembra un segno di prosperità e non in contrasto con la povertà delle missioni cattoliche –, è invece un segno della loro falsità mercenaria. Dio non abbandona alla miseria le missioni cattoliche, come potrebbe apparire, ma vuole che siano affidate alla sua provvidenza e all’amoroso concorso dei suoi figli.
La ristrettezza dei mezzi finanziari è il segno di Dio: Senza bisaccia, senza pane, senza denaro nella cintura, calzati di sandali, senza portare due tuniche. Il Signore provvede i suoi missionari, ma in modo che essi non corrano pericolo di mutare la missione in una azienda o in un affare commerciale; le ristrettezze costringono a volgere gli occhi a Dio, e portano la ricchezza dello spirito; spingono gli altri al soccorso, e suscitano le ricche energie della carità.

È un po’ penoso pensare, per esempio, che l’America stanzi un miliardo per aiuto ai protestanti, e che tra i cattolici di tutto il mondo non si raccolga neppure la metà o il quarto di questa somma; ma i milioni protestanti sono il capitale di un’azienda, mentre i milioni dei cattolici sono stille di carità e di sacrificio che accendono fiamme di fede e d’amore.

Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo

sabato 4 luglio 2015

IL DISPREZZO DEGLI ABITANTI DI NAZARET PER GESU'

Commento al Vangelo della XIV Domenica TO 2015 B (Mc 6,1-6)


Il disprezzo degli abitanti di
Nazaret per Gesù
Partito da Cafarnao, Gesù andò a Nazaret, riguardata da tutti come la sua patria. Era stato tanti anni nascosto in quella città; vi aveva esercitato il mestiere di falegname insieme con san Giuseppe, suo padre putativo e, ritornandovi ora, accompagnato dai discepoli come maestro di sapienza suscitò l’animosità dei cittadini.
Avrebbero dovuto gloriarsi di Lui ma, per le continue opposizioni degli scribi e farisei, non crederono che la sua notorietà fosse giunta a tal punto da lusingarli nell’orgoglio di essere concittadini di un illustre personaggio. Essi, anzi, concepirono disprezzo per la sapienza altissima che manifestava, sembrando loro una presunzione, e stimandola una contraddizione con i suoi umili natali. Molti conoscevano sua Madre, Maria, la sua parentela, i suoi fratelli-cugini e le sue sorelle-cugine, tutta gente che appariva di nessun conto, e sembrava loro diminuirsi, rendendogli omaggio. Non parlarono di san Giuseppe il quale era già morto, ma di Gesùfalegname, perché, evidentemente era subentrato a san Giuseppe nel mestiere, e si scandalizzarono, sembrando loro che la sua predicazione fosse un discredito per il sacro ministero.
Nazaret aveva la poco lusinghiera taccia di essere una città di scemi; si direbbe che l’apprezzamento che fecero di Gesù confermasse questa taccia, perché si scandalizzavano di quello che avrebbe dovuto edificarli, e si contraddicevano perché, pur tenendo Gesù in nessun conto, avrebbero voluto vedergli operare grandi miracoli. Egli invece, per la loro poca fede, poté solo guarire qualche infermo, imponendogli la mano.
È detto, nel Sacro Testo, che Gesù si meravigliava della loro incredulità. Da che cosa veniva questa meraviglia? Dal fatto che – come è detto in san Luca (4,22) –, tutti gli rendevano testimonianza, e ammiravano le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca; i Nazareni non potevano negare la grandezza della sua sapienza, e intanto non volevano riconoscerla come il più grande segno della sua missione; lo lodavano come maestro e lo disprezzavano come Messia, non volendo ammettere che il re che aspettavano fosse di così umile condizione.
La loro incredulità meravigliava Gesù, anche perché lo addolorava profondamente, amando Egli Nazaret, e volendo colmarla di benedizioni. Ma nessun profeta è in onore nella sua patria, nella sua casa e tra i suoi parenti, per le prevenzioni dell’orgoglio, per le animosità latenti di gelosia che si hanno contro di lui, e per il fatto stesso di averlo conosciuto bambino e fanciullo; perciò Gesù dovette contentarsi di andare ad annunciare la divina Parola nei villaggi circostanti.
L’ingratitudine di Nazaret gli causò un gravissimo dolore, perché quella città non capì l’altissimo onore che le era stato concesso da Dio, e non seppe ricavarne profitto. Vedere l’umile falegname mutato in un grande Maestro di dottrina che non potevano non ammirare li avrebbe dovuti persuadere di più che Egli era un essere straordinario; invece concepirono per Lui tale avversione da minacciarlo nella vita, come ci dice san Luca (4,28-29).
Così fanno tante anime sterili che dicono di ammirare le bellezze del Vangelo, e poi rinnegano Gesù nella loro vita, scacciandolo dal loro cuore. Ammirano il Vangelo, ma quando lo paragonano alle loro orgogliose spampanate, sembra indegno di loro, e non intendono che esso è sapienza che non tramonta mai, ed è la pietruzza che abbatte le statue idolatriche dell’umana, pretesa sapienza.
Gli uomini stolti credono che abbiano valore le loro idee e spregiano quelle della fede; eppure le loro idee sono come vapori di nebbia che sono vapori dissipati dal vento e travolti dal turbine.
         Ci lamentiamo che Gesù non operi in noi grandi cose, e non ci lamentiamo mai della poca fede che abbiamo, per nostra colpa. La parola di Dio è come semente che richiede il terreno per prosperare. Apriamo il cuore a Gesù con grande umiltà, ed Egli opererà in noi meraviglie di grazia, perché il suo infinito amore non ha altro desiderio che di riempirci di beni. 
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo