domenica 24 giugno 2012

Vangelo della Domenica: Natività di San Giovanni Battista 24 giugno 
24 giugno 2012 (Lc 1,57-66.80)

La nascita del Battista
Maria si trattenne con santa Elisabetta circa tre mesi, fino al compimento cioè della gravidanza di lei. Durante questo tempo aiutò la santa cugina nelle faccende di casa, e continuò soprattutto a santificarla, per preparare il Precursore di Gesù alla missione che doveva compiere. La sua voce immacolata lo aveva fatto esultare nel seno materno e lo aveva santificato, liberandolo, attraverso Gesù Cristo, dalla macchia originale, e la sua voce di continua preghiera gli trasfuse il dono della solitudine interiore e quello della più alta orazione.
Furono tre mesi di grazie per la casa di Zaccaria, poiché Maria era come un fuoco acceso da Dio che diffondeva calore di vita interiore. La sua presenza incantava, e non era possibile conversare con Lei, senza sentirsi come immersi in una soave unzione di grazie.
Quando la Vergine Santissima vide che era imminente il tempo del parto della cugina, andò via, sia per pudore verginale, sia perché non volle trovarsi nei momenti di grande concorso di gente che prevedeva sarebbe avvenuto alla nascita d’un bambino avuto per miracolo da una donna avanzata di età. Il suo aiuto materiale sarebbe stato inutile, del resto, fra tanta affluenza di gente.
Andata via Maria, poco dopo si compì il tempo del parto di santa Elisabetta, la quale diede felicemente alla luce un bambino.
La gente del vicinato lo seppe ed accorse per congratularsi con lei non solo per il figlio avuto, ma molto più perché quel frutto miracoloso era segno evidente della singolare benevolenza di Dio per lei.
Il vicinato, infatti, aveva fino ad allora considerato santa Elisabetta come una rigettata da Dio. Il concorso di gente fu anche maggiore quando, otto giorni dopo, secondo le prescrizioni della Legge, il bambino fu circonciso. La circoncisione si fece in casa, com’è evidente dal fatto che santa Elisabetta era presente, perché ella, per quaranta giorni, non poteva uscire. Essendo poi in una città e in una casa sacerdotale, si radunò intorno a lei una corona di persone importanti, le quali crederono di prendere l’iniziativa dell’imposizione del nome al neonato, e lo chiamavano Zaccaria, dal nome di suo padre. Psicologicamente, forse, scelsero questo nome, perché Zaccaria era vecchio; e sembrò loro opportuno perpetuarne la memoria, essendo ormai vicina la sua morte.
Santa Elisabetta, però, udito quello che si stabiliva, intervenne e disse che doveva chiamarsi Giovanni. Era uso presso gli Ebrei dare il nome di qualche parente vicino o lontano al neonato, e sembrò a tutti una stranezza imporgli un nome estraneo alla famiglia; perciò fecero segno a san Zaccaria che avesse deciso lui la questione. Egli domandò una tavoletta spalmata di cera, sulla quale allora si scriveva, e scrisse: Il suo nome è Giovanni. Tutti se ne meravigliarono, e più si stupirono e furono presi da emozione quando egli improvvisamente riacquistò la parola e l’udito e cominciò a benedire Dio.
Aveva perso la parola per una mancanza di fede, e la riacquistò quando, con un atto di fede, impose al figlio il nome che gli era stato annunciato dall’angelo.
Quel nome non era indifferente, e nei fini di Dio significava il compimento prossimo delle promesse di Dio nel Messia; Giovanni, infatti, significa grazia che si ha e il Precursore, col suo stesso nome, doveva annunciare la grazia che il mondo tutto riceveva; si completava così, nella piccola famiglia, l’annuncio della benedizione espressa dai loro nomi: Elisabetta: Dio che giura; Zaccaria: Dio che si ricorda; Giovanni: grazia che si ha. Dio giurò la sua promessa ai patriarchi; se ne ricordò nella pienezza dei tempi, e nella nascita miracolosa di Giovanni annunciò la grazia che già si donava al mondo nel Redentore. Era uno di quei delicati ricami della divina bontà con i quali il Signore manifesta la sua misericordia; Giovanni, figlio di Elisabetta e di Zaccaria, era così nel suo nome un ricordo del mistero che si compiva, ne era come un annuncio luminoso nella sua grande santità e diceva col nome: la grazia si dà al mondo secondo il giuramento fatto ai nostri padri, perché Egli si è ricordato della sua misericordia. Mettere un altro nome a Giovanni sarebbe stato lo stesso che alterare la delicata armonia di quei tre nomi.
Le circostanze della nascita di Giovanni rivelavano chiaramente a quanti vi assistettero che si compiva un disegno di Dio, e perciò furono presi da timore riverenziale verso il Signore, cioè da un sentimento di adorazione e di attesa e, divulgando il fatto in tutta la regione di bocca in bocca, tutti pensavano che quel fanciullino era destinato a grandi cose, pur non sapendo intravederle. Infatti dice il Sacro Testo –, la mano del Signore era con lui, cioè egli era veramente prevenuto e sostenuto da una grazia singolare e, prima ancora dell’uso di ragione, annunciava, con la sua nascita, il compimento di qualcosa di straordinario, e preparava i cuori all’imminente venuta del Redentore.
Il fanciullo, fortificato dalla grazia, si ritirò nel deserto, dove visse in preghiera e penitenze fino al giorno nel quale cominciò il suo ministero pubblico.
Forse l’occasione naturale che determinò i genitori a condurlo nel deserto fu la persecuzione di Erode contro i primogeniti, perché, avendone avuto sentore, dovettero temere che anche quel bimbo fosse coinvolto nell’odio del tiranno contro il Redentore; ma, comunque sia, fu sempre per una particolare ispirazione che nella tenera età poté condurre una vita tutta raccolta in Dio, nella più severa penitenza.
La grazia di Dio non ci si comunica senza un’accurata preparazione, perché Egli non la concede a chi conduce una vita dissipata nel mondo. Precursori di questa grazia sono i santi pensieri che Dio ci dà, e che noi dobbiamo accogliere con viva fede, perché producano in noi un frutto abbondante. Chi riceve queste ispirazioni e le crede illusioni della fantasia rimane sordo alle voci di Dio e muto alle espansioni dell’amore. La grazia, allora, non lo feconda e non lo rinnova.
         Precursori della divina misericordia sono i dolori della vita, sopportati pazientemente in unione alla divina volontà; sono essi che preparano in noi le vie di grandi effusioni della divina bontà.

Servo di dio Don Dolindo Ruotolo 

domenica 17 giugno 2012

Commento al Vangelo della XI Domenica del T.O. B (Mc 4,26-34) di Don Dolindo Ruotolo magistero della divina Parola

La fecondazione della Parola di Dio non è frutto di oratoria o di industria u-mana, ma è frutto della grazia che opera silenziosamente nei cuori ben disposti.
Il seminatore ha cura di preparare il terreno e di metterlo nelle condizioni di prosperare; dopo che ha gettato la semente dorme la notte, cioè si abbandona a Dio e confida in Lui nelle incertezze della stagione; sorge, poi, il giorno, cioè continua il suo lavoro nella terra per quanto gli sia possibile, e cerca di aumentarne le fecondità. Egli aspetta dalla Provvidenza il frutto, e la terra, benedetta da Dio, produce essa stessa l’erba, la spiga e il frutto, aspettando, al tempo della messe, la falce.
Così avviene nella Chiesa e nelle anime: l’apostolo getta la buona semente nei cuori ben disposti, e confida nel Signore, implorando la sua misericordia e la sua grazia perché la fecondi. La grazia produce a poco a poco il frutto, e rende l’anima matura nelle vie di Dio, preparandola al Giudizio finale che sarà il tempo della messe di tutte le anime.
La parabola del granello di senapa
Chi si alimenta della Parola di Dio non deve preoccuparsi eccessivamente di veder subito il suo frutto nel cuore, perché l’azione della grazia è lenta e graduale. Chi si affanna e pretende di controllare continuamente la semente che è stata posta nel suo cuore, finisce per toglierla dal terreno e impedirne la germinazione. Occorre la pazienza dell’attesa e la fiducia grande nel Signore tanto per l’anima propria quanto per quello che si dona agli altri. Il lavoro spirituale non è mai perduto, e do-po lunga attesa vengono fuori germi insperati di vita, e il campo del Signore pro-spera e fruttifica.
La Chiesa non si dilata come i grandi imperi, a furia di armi e di spettacolose parate; essa appare innanzi al mondo come un piccolo granello di senape che sembra sproporzionato al suo sviluppo ma poi cresce in un grande arbusto, sul quale possono nidificare gli uccelli. Nella Chiesa poi, e nelle anime che ne fanno parte, il principio fondamentale della prosperità non è ciò che appare grande, ma l’umiltà che è piccolezza feconda. Non si raggiunge una meta elevata, ingrandendosi, ma impiccolendosi; più l’anima si umilia, più Dio la riempie di forza e di grazia; più s’impiccolisce e più cresce nelle vie della santità. Non si può, quindi, aspirare nella Chiesa a trionfi mondani o impressionanti, poiché il suo vero trionfo sta nella fe-condità spirituale che la rende albero fiorito in mezzo alla sterilità universale. Gesù Cristo, parlando del granello di senape, si rivolse specialmente a quelli che attendevano il regno politico glorioso del Messia, e a quelli che, nei secoli futuri, avrebbero sognato trionfi politici del suo regno. No, la Chiesa non avrà mai questi trionfi che praticamente diminuirebbero la sua vera vita; essa è pellegrina, naviga verso gli eterni lidi, è combattente e, imbattibile, aspira alla vita eterna e non può trovare sulla terra né la sua dimora né la perfetta calma né il riposo.