sabato 26 novembre 2011

Vigilare


Commento al Vangelo: I domenica di Avvento 2011 (Mc 13,33-37)
Don Dolindo Ruotolo
Vigilare ed essere pronti al Giudizio di Dio
Gli apostoli avevano domandato a Gesù quando sarebbero avvenute la distruzione del tempio e la fine del mondo; ma il Redentore, a questa domanda, non rispose, dicendo che il giorno e l’ora di quelle catastrofi erano noti solo al Padre. È evidente che Egli, come Dio, lo sapeva, essendo una sola cosa col Padre, ma come uomo poteva dire d’ignorarlo, perché il computo del tempo della giustizia finale non sta nelle possibilità umane, dipendendo dall’intreccio di tutte le responsabilità occulte dell’umana coscienza e dell’umana libertà. Solo Dio che guarda dall’alto, e al quale tutto è manifesto, può valutare quando le iniquità umane raggiungono l’estremo limite, e fanno traboccare il peso della giustizia.
La libertà umana, infatti, può influire sugli eventi della storia e può affrettarli o ritardarli; una sola azione buona può arrestare un castigo, e una sola iniquità può darvi l’ultima spinta; ciò che succederebbe in quest’anno può essere trasportato in un altro o in tempi lontani per l’intreccio di un’azione libera che interferisce gli eventi.
Ora, se si tiene presente il numero stragrande degli uomini dal principio del mondo ad oggi, e gl’innumerevoli intrecci della loro azione, delle loro responsabilità, e dei loro meriti, se si pensa al coordinamento di queste azioni con tutto l’ordine morale e fisico dell’universo, si capisce che il calcolo del giorno e dell’ora di avvenimenti definitivi nella storia di un popolo o in quella del mondo può farlo solo Dio.
I segni prossimi o remoti della fine del mondo in particolare, possono distare anche secoli dall’evento, quando qualche anima privilegiata, controbilancia con azioni sante il tracollo della giustizia.
È uno dei tratti delicati della divina provvidenza.
Così si spiega come, in tante epoche della storia, si è creduto di veder i segni della fine del mondo, senza che nulla sia avvenuto dopo. È impressionante che, fin dai tempi di san Gregorio Magno, si parlasse della fine del mondo come di evento vicino, ed è impressionante che lo stesso santo ne parlasse con convinzione; non è improbabile che allora gli eventi realmente precipitassero, e che le preghiere della Chiesa l’abbiano ritardato. Non è cosa che può sembrare strana, ma è cosa che deve farci essere pensosi, considerando che noi abbiamo sul capo questa spada di Damocle.
Gesù Cristo ci esorta ad essere attenti, a vigilare e a pregare perché questo interessa all’anima nostra. Gli eventi li regola il Signore, e conoscerli anticipatamente con certezza potrebbe anche essere per la nostra malizia un pretesto o un’occasione di maggiore spensieratezza. L’incertezza angosciosa che in ogni secolo può determinarsi sull’imminenza della fine può spingerci più facilmente a pensare ai beni eterni, e a distaccare l’anima da tutto quello che è vana illusione della vita del mondo.
Chi può convergersi, fino a dimenticare l’anima nelle stesse discipline della vita presente che appaiono ideali? Arte, scienze, lettere, dominio, monumenti grandiosi che cosa sono di fronte all’eternità?
Vale la pena affannarsi tanto nelle cose della vita, quando si sa che esse periscono? Dobbiamo, sì, compiere la missione che Dio ci ha assegnata, dobbiamo operare per la sua gloria, ma non possiamo farci assorbire talmente dalle idealità terrene da trascurare quelle eterne.
Chi potrebbe essere così stolto da consumarsi per fare un’opera d’arte con una materia che si disfa? Le opere dello spirito rimangono in eterno; quelle della materia periscono, e quelle del tempo fugace sono vanità; dobbiamo, dunque, nell’operare, tener presente la fine di tutto, per fissare il nostro pensiero al Fine ultimo della nostra vita.
Un uomo disse Gesù –, partito per un paese lontano lasciò la casa, e diede ai suoi servi il potere di far tutto, e ordinò al portinaio di vigilare. Ecco l’immagine del mondo: il Signore è il Padrone di ogni cosa e, quasi fosse assente, lascia agli uomini la libertà di operare come vogliono, costituendo, sulla loro vita, un portinaio che vigila. Questi è il Papa e il Sacerdozio, e la loro attività è preziosa per tutelare le anime. Occorre però che ciascuno vigili, affinché, al ritorno del Padrone, possa trovarsi pronto per dargli il rendiconto.
        Non tutti ci troveremo presenti agli ultimi eventi del mondo, ma tutti compariremo innanzi a Gesù Cristo, Giudice eterno; non si può dunque prendere alla leggera la vita, e bisogna vigilare, per essere pronti alla chiamata di Dio.

sabato 19 novembre 2011

Il Giudizio Universale


Commento al Vangelo della XXXIV Domenica del T.O.
(Mt 25,31-46)
Don Dolindo Ruotolo
Il Giudizio universale

Dopo aver accennato alla fine del mondo e al Giudizio di Dio nel capitolo precedente, e dopo averci esortato alla vigilanza e all’operosità in questo, Gesù Cristo accenna alla disamina e alla sentenza del Giudizio finale. Egli verrà con grande maestà insieme ai suoi angeli, e per il loro ministero separerà i buoni dai cattivi, come si separano in un ovile le pecorelle dai capretti. I buoni saranno alla destra, e i cattivi alla sinistra. Gli uomini non saranno alla sua presenza solo come individui, ma anche come nazioni, perché il Giudizio finale dovrà essere la suprema glorificazione del Re divino innanzi a quelle stesse nazioni che tante volte rifiutarono il suo impero soavissimo. Tutto l’oggetto dell’esame sembra ristretto solo alla carità corporale ma, in realtà, Gesù Cristo si limita solo alla carità fatta a Lui e per Lui nella persona dei poveri e dei sofferenti, per dirci che Egli è il centro di tutta l’attività umana, e a Lui deve convergere tutto.
Egli, infatti, non loda le opere della misericordia corporale per il sollievo che hanno dato al sofferente, ma perché sono state fatte a Lui nella persona dei sofferenti. Copre tutti gli infelici col suo manto regale, anzi si unifica quasi con loro, per dare il motivo più forte e più costante della carità. Non è un volere tutto accentrare in sé per affermare un dominio assoluto, come potrebbe farlo un uomo, ma per abbracciare nel suo Cuore divino gli uomini, e garantirli contro i soprusi e le sopraffazioni dell’egoismo umano. La storia dimostra fino all’evidenza che solo così è fiorita la carità nella terra, e che solo per Gesù essa ha raggiunto le vette dell’eroismo.
La carità corporale suppone quella spirituale, perché sarebbe vano consolare il corpo senza consolare l’anima. La carità verso il prossimo suppone quella verso Dio, perché senza l’amore di Dio è impossibile. L’amore di Dio comporta l’osservanza della legge e la fedeltà in tutti i propri doveri. È chiaro, dunque, che, nell’esame della carità, Gesù ha voluto implicitamente accennare all’esame di tutta la vita nostra.
Nel Giudizio, inoltre, sono giudicate le nazioni in quanto tali; ora le nazioni hanno un’attività temporale, e praticamente quelli che le reggono debbono pensare a provvedere i popoli di quello che è necessario alla vita. Questo dovere non si compie senza che Gesù sia il centro e la meta della vita nazionale, e senza che l’amore di tutti lo applaudisca come Re e come unico amore. Non lo vediamo praticamente nella vita dei popoli? Le genti che rifiutano il regno di Gesù Cristo cadono nella miseria più squallida e nel disordine più spaventoso; cessa ogni più elementare prosperità, e si cade nel caos perché i governanti che non vedono Gesù nel prossimo vi vedono solo una parte materiale del tutto, e hanno per programma il proprio tornaconto o, tutt’al più, un falso bene comune che è il massacro sistematico di quelli che sembrano inutili o di peso, ed è l’asservimento alla barbarie di un imperialismo vuoto. Gli spaventosi delitti consumati in Germania, in Russia, in Messico e in Spagna, dei quali è così vivo ed attuale il tristissimo ricordo, dimostrano fino all’evidenza che dove non regna Gesù Cristo regna la più feroce barbarie.
Pensiamo all’epilogo della nostra vita: o l’eterno supplizio o la vita eterna. È terribile! Non si sfugge da questi due estremi! E allora che vale gettarsi a capofitto nelle misere soddisfazioni della terra e vivere come se non dovessimo fra pochi anni, anzi forse fra mesi e fra giorni trovarci di fronte all’eternità? Quanti anni hai? Mettiamo sessanta o settanta; fra dieci anni sgombrerai. Non ti apparterrà più nulla né letto né biancheria né denaro; nessuno più ti curerà, sarai dimenticato, sarai nell’eternità, felice o infelice secondo quello che avrai meritato. Non guardare al mondo, abbraccia la croce, segui Gesù e, per suo amore, passa operando il bene, affinché Egli ti benedica e ti accolga nella gloria. Le tribolazioni passano, non ti angustiare eccessivamente, non guardare al di là dell’affanno giornaliero, guarda Dio solo e confida in Lui, abbandonandoti alla sua misericordia. Sospira come pellegrino alla patria! 

sabato 5 novembre 2011

Vegliare nell'attesa dello Sposo divino


Commento al Vangelo della XXXII Domenica del T.O.
(Mt 25,1-13)

Vegliare nell’attesa dello Sposo divino

Gesù Cristo volle, con una parabola bellissima, ribadire il concetto della necessità di vigilare e di prepararsi al Giudizio finale, e presentò ai suoi uditori una scena di nozze, perché immagine viva dell’epilogo della vita della Chiesa e delle anime nell’eternità. Presso gli Ebrei la cerimonia principale del matrimonio era il corteo e la cena nuziale che lo seguiva. Si andava a prendere la sposa per condurla in casa dello sposo; il corteo era formato da amici dello sposo e da amiche della sposa che, con lampade accese, li seguivano fino alla sala del banchetto, al quale prendevano parte. È su questa gentile usanza che Gesù formò la sua parabola, una delle più belle e delicate.
L’applicazione del racconto è molteplice e riguarda la Chiesa e le anime consacrate a Dio. La Chiesa accompagna lo Sposo divino Gesù Cristo, alla vera casa nuziale che è il Cielo, e al vero banchetto nuziale che è l’eterna fruizione di Dio.
La Chiesa non è formata tutta di eletti, finché peregrina in terra, perché è campo di prova; alcune anime sono spiritualmente sapienti e si premuniscono contro le sorprese della lunga attesa, altre sono stolte e non hanno riserve.
La lampada accesa simboleggia la fede, luce splendente nelle tenebre dell’esilio; l’olio che l’alimenta sono le opere buone perché come la lampada senz’olio è spenta, così la fede senza le opere è morta.
Le anime che attendono lo sposo sono rappresentate da vergini, perché, in realtà, sulla terra, siamo tutti come in attesa delle nozze eterne, e dobbiamo essere scevri da ogni attacco e da ogni legame che può dividere il nostro cuore da Dio.
Nella notte dell’attesa, tutte le anime si assopiscono e dormono, perché tutte cadono in peccati o imperfezioni; quelle che hanno avuto cura di alimentare il loro cuore e di nutrirlo spiritualmente, ad un richiamo della grazia si rialzano e rianimano la lampada della fede con la carità; quelle che non hanno avuto questa preveggenza rimangono con la lampada semispenta o anche interamente spenta. La preghiera, le sante letture e le mortificazioni ci possono a volte sembrare esagerate o inutili, perché non rispondenti ad un’immediata necessità, eppure la riserva delle forze spirituali è indispensabile a chi peregrina fra tante insidie della vita presente.
Le tentazioni dell’anzianità
Notte della vita temporale è la vecchiaia, e attesa della vita eterna sono gli anni della nostra dimora in terra; chi è prudente accumula riserve d’amore nella giovinezza, affinché, col declinare della vita, trovi di che alimentarsi il cuore; chi è fatuo si contenta di osservare i propri doveri per il momento, e non sa prevedere le necessità della vecchiezza, o anche di quei periodi di cimenti e di oscurità che non mancano mai nella nostra vita mortale. È una cosa che deve darci da pensare seriamente.
Abbiamo infatti, nella vita, delle sorprese impreviste, e a volte dei capovolgimenti insospettati. Chi non direbbe, per esempio che, con l’età, la concupiscenza e le passioni si debbano attenuare? Eppure spesso si acuiscono, e spessissimo ne sorgono delle nuove. La concupiscenza può avere e ha quasi sempre l’età più pericolosa dopo i quaranta o cinquant’anni. La maggiore età ci mette in più libera comunicazione col mondo; il veleno si assorbe quasi col fumo delle cose umane, come si assorbe col fumo la nicotina che intossica il vago e produce le aritmie del cuore. Esattamente, proprio così: la vita terrena è piena di fumi pericolosi, di passioni che ci avvelenano e producono le aritmie dell’amore divino, gli eccitamenti, i rilassamenti, le miserie e le debolezze dei sensi; diminuisce l’amore celeste e si accrescono le esigenze terrene per lo stesso declinare delle forze; si crede di aver abbastanza esperienza e resistenza morale, e si cercano le occasioni del peccato con maggiore facilità, si consuma quel poco d’olio che alimentava la lampada e si vacilla anche nella luce della fede. Basta un po’ d’esperienza delle anime per convenirne.
Nell’età matura, gli stessi acciacchi che incominciano a minare l’organismo, giustificano tante concessioni che si fanno alla natura, e così possono accentuarsi la gola, l’accidia, l’insofferenza, l’impazienza, e tante altre miserie. Nella gioventù si è più generosi nel sacrificio, nella vigilanza, nella compassione e nella bontà; nella vecchiezza si è naturalmente più fiacchi, più assonnati, più egoisti. Si desidera il riposo e si stenta a lavorare, si cercano spesso i beni terreni, quanto più si avvicina il tempo di lasciarli, e si corre il pericolo di cadere nell’avarizia, insomma si cade in uno stato pericoloso, nel quale, senza una buona riserva di ricchezze spirituali, la lampada si spegne e non si ha più il tempo di riaccenderla.
L’epilogo della parabola riguardante le vergini stolte non si riferisce alla vita eterna ma agli ultimi momenti della vita temporale, quando è imminente la venuta dello Sposo divino, e si vorrebbero riparare le deficienze della vita. Allora si fa appello alle preghiere altrui, e si vorrebbe supplire alla propria vita vana con quella fervorosa degli altri; ma, se è possibile la misericordia che salva, non è possibile la compartecipazione a ciò che dev’essere abito del cuore e merito personale.
Si rimane fuori del banchetto per la purificazione del Purgatorio e, quando in punto di morte il desiderio di conversione è solo una velleità, allora se ne rimane esclusi per sempre. Quante volte la vita di certi peccatori assonnati nel male si chiude con una vana ricerca di aiuti che non si possono più avere, e quante volte manca la vita proprio quando si manda a cercare in fretta e furia un sacerdote! Terminata la vita, si chiude la porta del tempo, e si rimane fuori del banchetto eterno; lo Sposo divino non conosce per sue le anime rimaste fuori.
Le vergini consacrate
La bella parabola deve far meditare le anime consacrate a Dio, e specialmente le vergini dei sacri chiostri. La loro vita è una continua attesa dello Sposo divino, ed esse hanno nei voti, nelle regole, nella vita stessa religiosa la lampada accesa con la quale debbono andare incontro al Signore nella morte.
Quando, nell’attesa, si dorme, allora la lampada affiochisce, ed è necessario rifornirla, appena si sente la voce di richiamo di chi sta a capo, del sacerdote, del predicatore, o anche delle sofferenze e della prova. I malanni, così frequenti nelle persone già sofferenti, sono un avviso di nozze eterne, e debbono far rifornire la lampada per andare incontro allo Sposo.
L’abito della vita interiore e dell’esercizio delle virtù religiose è il rifornimento più bello della carità, quando questa si rilassa per l’umana debolezza e stanchezza; perciò bisogna abituarsi a una vita fervorosa, e non credere che, col progredire dell’età, si possa regredire nel dovere. È necessario portare nel proprio cuore il rifornimento della fiamma della carità, abituandolo all’amore divino. Il cuore che veramente ama non può perire perché l’amore è fedele, rifugge dall’ingratitudine e corre costantemente dietro allo Sposo divino.
Quando si dorme, la notte sembra brevissima e il tempo trascorre senza che ce ne accorgiamo. Potremmo considerare, nell’assopimento generale delle vergini, la stessa fugacità della vita presente che è come un sogno e come un sonno.
        Tutto passa come una notte di sonno, e tutto ciò che è terreno è oscuro come la notte; viene poi il giorno eterno, la vita vera, nella quale non si sogna, ma si vede l’eterna gloria. Beata l’anima nostra se, conservandosi in grazia di Dio, saprà giungere, per divina misericordia, alla felicità eterna!
Don Dolindo Ruotolo