sabato 19 gennaio 2013

Il primo miracolo di Gesù in Cana di Galilea


Commento al Vangelo – II Domenica del Tempo Ordinario C 2013 (Gv 2,1-11)
Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani
Il primo miracolo di Gesù in Cana di Galilea
         Il primo miracolo di Gesù in Cana di Galilea
Da Betania della Perèa, dove aveva chiamato i primi cinque discepoli, Gesù si diresse a Cana di Galilea, identificata oggi col villaggio di Kefr Kenna. La distanza era di circa 90 chilometri, e fu percorsa in tre giorni da Lui insieme ai discepoli. Questa circostanza ci fa capire che camminavano a passo svelto, e per vie campestri, dove il poco concorso rendeva più facile il viaggio. Anche oggi, entrando nel villaggio, vi si vede una fontana ricca d’acque, alla quale dovette essere attinta l’acqua del miracolo. La contrada è fertile, ricca di siepi verdeggianti formate di cactus spinoso, con vigne lussureggianti che producono un buon vino rosso.
        A Cana si trovava già Maria Santissima, la Madre divina di Gesù, occupata ad aiutare alcuni suoi conoscenti o parenti nella celebrazione della loro festa nuziale. Questa circostanza ci fa intendere la carità di Maria Santissima che, come andò per aiutare santa Elisabetta appena la seppe incinta, non esitò a recarsi a Cana per le feste nuziali che ordinariamente duravano più giorni.
        La dolcissima Madre si occupò con grande carità dell’organizzazione del banchetto, come appare dal fatto che per prima si accorse che era venuto meno il vino. Nella sua immacolata modestia, Ella era organizzatrice, perché sapientissima, e placidamente sapeva disporre le cose in un modo perfetto. La veste inconsutile di Gesù che si conserva ancora in Francia ad Argenteil, tessuta dalle sue mani, rivela la sua abilità nel lavoro, e l’accuratezza che vi metteva.
        Gesù andò a Cana perché la Madre sua era là; Egli non poteva lasciarla sola, sapeva quanto avesse bisogno della sua presenza che era la comunione quotidiana dell’anima sua benedetta.
        La circostanza che Gesù e i suoi discepoli furono invitati alle nozze dopo l’arrivo in Cana, e che non vi erano attesi, tanto che forse proprio per la loro presenza mancò il vino alla mensa, ci conferma che Gesù andò in quella borgata per Maria. L’angustia che Ella aveva provato quando lo smarrì per tre giorni era ancora tutta nel Cuore di Gesù, ed Egli non volle che passassero oltre tre giorni di lontananza dalla Mamma sua; era consono alla sua divina delicatezza, ed Egli, amandola d’immenso amore, era tutt’altro che diviso e indipendente da Maria, come credono alcuni.
        Andato dunque a visitare la Madre, perché Ella avesse ricevuto nel suo Cuore immacolato i suoi discepoli e, quasi per affidarle le loro anime e la loro fede nascente, fu invitato al pranzo nuziale anche Lui e i suoi discepoli. La Vergine Santissima li guardò con materna tenerezza, vide in loro, col suo sguardo penetrante, i primi germi di grazia, li riscaldò quasi col suo amore, e certamente usò con loro particolari riguardi di bontà, dato che erano stanchi dal viaggio, dando loro da mangiare e da bere per rifocillarli. Dal rimprovero fatto dal capo del banchetto allo sposo di aver riserbato il vino migliore per la fine del banchetto si rileva che gli apostoli giunsero quando il pranzo era già inoltrato; ora, essendo essi stanchi e assetati per il lungo viaggio, e trovando il vino piuttosto leggero, bevvero volentieri, e consumarono quel poco che era rimasto probabilmente per la celebrazione nuziale che si faceva in fine della tavola.
        Maria Santissima nell’andare e venire, prestandosi ai servigi di ospitalità, e forse nel mescere il vino a qualcuno degli apostoli che ne domandò ancora un po’, si accorse che non ce n’era più. Ella non esitò; nelle mura tranquille della casetta di Nazaret aveva assistito a tanti nascosti prodigi di provvidenza fatti da Gesù, aveva contemplato e conosciuto l’amabilità del suo Cuore, e si rivolse a Lui con una sola parola che era una preghiera e un invito a provvedere: Non hanno più vino.
        Chi sa quante volte aveva fatto questa preghiera quando mancava nella sua casa il pane, o quello che voleva dare ai poverelli; certo era sicura che bastava dirlo al suo divin Figlio per ottenere quanto desiderava; Ella stessa conosceva per esperienza l’ascendente della sua mediazione presso il Cuore di Gesù.
        Gesù Cristo le rispose con una frase che a torto viene sospettata come dura o, peggio, come una protesta di indipendenza dalla Madre nell’apostolato messianico che Egli veniva a compiere; pensare così significa non conoscere la divina amabilità di Gesù, e significa dimenticare completamente la dignità di Maria e la sua missione materna nelle vie della grazia.
        È assurdo che il Signore abbia voluto dichiararsi indipendente dalla Madre nell’opera sua, quando poi l’ha tutta affidata a Lei fin dal principio, e l’ha voluta Corredentrice ai piedi della croce; e più assurdo pensare che abbia voluto rimproverarla duramente, mentre Ella compiva un ufficio di carità. Egli, dunque, le rispose: Che cosa v’è tra me e te, o donna? Non è ancora venuta la mia ora. E volle dire precisamente – com’è chiarissimo dal contesto e da quello che Gesù operò dopo –: Che cosa v’è di diverso tra me e te, e che cosa posso fare io che non puoi fare tu? L’ora mia non è ancora venuta, l’ora della manifestazione gloriosa, e quel miracolo che vuoi da me, fallo pure tu. La chiamò “donna” non per disprezzo ma per amore, usando una parola che presso gli Orientali era usata per indicare intima cordialità con le persone più care e più degne di rispetto, come si può vedere persino in Omero e in Senofonte; la chiamò donna, signora, non per rinnegarla ma per glorificare la sua dignità di Regina del cielo e della terra. Se l’avesse disconosciuta o, peggio, disprezzata, non avrebbe immediatamente fatto ad esuberanza quello che essa voleva, e non avrebbe anticipato quell’ora di glorificazione che aveva affermato non essere ancora venuta.

Non hanno più vino
        Maria, con quelle parole: Non hanno più vino, reclamò un miracolo o di moltiplicazione di quel pochissimo che v’era ancora in qualche coppa, o di transustanziazione dell’acqua. Probabilmente la sua tenerezza materna si fermò su questa seconda idea, poiché, desiderando gli apostoli ancora bere, assetati com’erano, aveva forse dovuto dar loro dell’acqua con rammarico e nel delicato timore che facesse loro male. Ella, inoltre, si era preoccupata di aver fatto un dono agli sposi sia con la sua generosità nel dare, sia per l’invito del Figlio divino e dei suoi cinque discepoli.
        Non è ancora giunta la mia ora. Pensava Gesù, in quel momento, anche all’ora del Banchetto eucaristico dell’Ultima Cena? L’avere Egli detto, in quella sua ora, di averla desiderata con grande e continuo desiderio, desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum (Lc 22,15), ci fa credere che ci avesse sempre pensato, perché meta ultima del suo amore era quella di darsi. Al suo amore ripugnava quasi dare del vino: avrebbe voluto dare il suo Sangue e, poiché la sua ora non era ancora giunta, avrebbe voluto che il miracolo l’avesse operato Maria. Ma la Vergine Santissima, a sua volta, non voleva dar solo del vino, voleva dare, ai nuovi apostoli, un argomento di fede in Gesù, voleva fortificarli con un prodigio, e per questo insistette col fatto presso Gesù, dicendo ai servi: Fate tutto ciò che vi dirà. Col suo acume aveva capito subito l’allusione del Figlio ad una transustanziazione, e impegnò i servi perché avessero provveduto l’acqua per il miracolo. Come si vede, lungi dall’essere divisi o quasi estranei, Gesù e Maria si intendevano a volo, e Maria, da Signora e Regina, penetrava l’intimo amore di quel Cuore divino, come Gesù penetrava i desideri delicati del Cuore Immacolato della Madre.

L’acqua si muta in vino
        Nel cortile o nel vestibolo della casa c’erano sei vasi di pietra, chiamati idrie, cioè vasi per acqua, della capacità ciascuno di due barili o, in greco, tre metrete; alcuni erano più piccoli, altri più grandi. La metreta che significa misura, era la massima misura di capacità per i liquidi, ed equivaleva a circa 40 litri; ogni vaso, quindi, conteneva da 80 a 120 litri, e tutti insieme dai 480 ai 720 litri.
        Gli Ebrei avevano molti riti di abluzione, prima di mettersi a tavola si lavavano le mani, e poi purificavano i vasi, i bicchieri ecc. Così si spiega che in un banchetto nuziale con numerosi invitati si trovassero quei sei vasi, e si capisce che, essendo già il banchetto alla fine, erano stati vuotati dell’acqua già usata, per la pulizia. Gesù Cristo ordinò ai servi di riempirli, ed essi, immaginando forse che quell’acqua servisse nuovamente alle abluzioni, li riempirono fino all’orlo per facilitarle. Con un atto interno di onnipotente volontà, Gesù ordinò quell’acqua a chi aveva cura del vino nel banchetto, l’ordinò come quando, al principio, creò le cose dal nulla o ne ordinò l’armonia; il capo del banchetto doveva distribuire, in quel momento, vino e non acqua, e Gesù, facendone attingere, la mutò in vino ottimo. Non era venuta l’ora di dare il suo Sangue, ma Egli volle, con quel miracolo, adombrare il più grande prodigio del suo amore e disse internamente sull’acqua: Questo è il vino per il capo del banchetto, come un giorno avrebbe detto sul vino: Questo è il mio Sangue che si sparge per voi. L’acqua, all’istante, si mutò in vino, forse conservando il colore dell’acqua, perché il capo del banchetto si accorse che era ottimo vino quando lo gustò; ci sono, del resto, dei vini prelibati che, all’aspetto, sembrano quasi acqua.
        I servi si accorsero del miracolo, perché essi avevano riempito le idrie d’acqua e, quando ne attinsero per portarla al capo del banchetto, sentirono dalle idrie il profumo d’un vino squisito. Il Sacro Testo nota che il capo del banchetto ignorava da dove fosse venuto quel vino, per escludere che si fosse suggestionato a credere vino l’acqua. Egli, anzi, semmai, era suggestionato del contrario, aspettandosi in fine di tavola il vinello leggero. Gustando perciò quell’ottimo vino, da uomo che s’intendeva bene di usi e di costumanze nei banchetti, chiamò in disparte lo sposo e gli disse che aveva fatto male a riserbare il buon vino per la fine del pranzo, perché l’uso generale esigeva l’opposto, supponendo che si dia il vinello a chi già si è inebriato di buon vino.
         I discepoli di Gesù, ultimi invitati giunti al banchetto, stavano naturalmente più vicini al cortile o al vestibolo della casa, e si accorsero bene della manovra dei servi; quando bevvero quell’ottimo vino, quindi, rimasero pieni di stupore e crederono in Gesù, avendo toccato con mano la manifestazione della sua gloriosa potenza. Essi credevano già in Lui, ma il miracolo evidente accrebbe la loro fede e la fortificò.
Padre Dolindo Ruotolo

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