sabato 9 febbraio 2013

La barca di Pietro

Commento al Vangelo V Domenica del T.O. C 2013 (Lc 5,1-11)
La barca di Pietro
                 
Dio è mirabile nel suo linguaggio, e sotto umili cose esprime disegni grandiosi di sapienza e di amore. Chi non direbbe più solenni e stupende le scene del Pentateuco, di fronte alle parabole e ai racconti del Vangelo? Eppure quelle scene erano una figura mentre il Vangelo è la realtà; non solo, ma è l’annuncio di più grandi cose, è il quadro del mirabile sviluppo della redenzione. Per questo è chiamato Vangelo, annuncio della buona novella.
       Se si può dire una frase ardita, nell’Antico Testamento Dio ha lasciato alle sue parole un carattere più umano, e per questo a noi sembra grandioso; nel Nuovo, un carattere più divino, e per questo a noi sembra più semplice e meno grandioso. Siamo lontani dal divino, i nostri pensieri non sono quelli di Dio, e per questo valutiamo molto un monte di marmo e poco una gemma preziosa estratta dalla miniera.
       La scena di Gesù che insegna dalla barca di Pietro, sembra la più semplice e la più normale; innanzi, per esempio, al passaggio del Mar Rosso e al cantico di Mosè sembra piccola cosa, eppure è l’espressione di un’immensa grandezza, del Magistero divino affidato alla Chiesa e al Papa, come subito vedremo. Non è il passaggio di un popolo da una riva all’altra, ma il passaggio della luce divina della verità dal mare infinito alla nostra piccolezza; non è la figura della liberazione dal peccato nel Battesimo, com’era il passaggio del Mar Rosso, ma è la sintesi e come la semente feconda della più grande misericordia fatta all’uomo libero e intelligente: il Magistero infallibile della Chiesa e del Papa.
       I poveri critici e ipercritici, questi pigmei di fronte al pensiero di Dio, si affannano a scrutare la lettera, e credono di aver scoperto il sole quando hanno esumato uno scartafaccio antico, o hanno fatto l’anatomia naturale di un Testo Sacro; si affannano a colmare – dicono essi –, le lacune del Testo, e qua ne vedono uno corrotto, là uno monco, altrove uno che a fatica si armonizza. Scavano a tutta forza gli antri morti della storia, ostruiti da macerie, e credono di aver fatto tutto, quando hanno potuto raccattare una notizia più o meno dubbia da mettere insieme al Sacro Testo, senza pensare che uniscono la gemma falsa alla vera, e che si sforzano di mettere in evidenza quello che Dio ha voluto eclissare, perché inutile o dannoso allo scopo che Egli ha nel parlarci.
       I poveri critici e ipercritici non si accorgono di frustrare, con le loro piccole o false luci, lo scopo che Dio ha avuto nel lasciare certe oscurità nel Testo e nel tacere certe notizie. Sono riflessioni importantissime queste che debbono profondamente umiliarci innanzi a Dio, e abituarci a trattare la sua Parola con vero spirito di fede.
       Gesù Cristo, quando andò a predicare nella Galilea, chiamò una prima volta alla sua sequela Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, com’è raccontato in san Matteo (4,18ss) e in san Marco (1,16ss). Egli li incontrò sul lago di Genesaret quando gettavano le reti in mare, e li chiamò per farli pescatori di uomini. Alla sua voce, essi subito abbandonarono le reti e lo seguirono, ma è evidente dal contesto che non lo seguirono definitivamente; anzi, dopo poco, ritornarono alle reti e alle barche, pensando che era per loro necessaria la loro arte e professione per vivere. Seguirono Gesù, e quando videro che era povero e viveva di elemosine, pensarono che non potevano ragionevolmente prescindere dal loro guadagno, e ritornarono alla pesca. Questo si rileva dalla ricostruzione psicologica dell’atteggiamento di san Pietro nella pesca miracolosa, come subito vedremo.
       Nel chiamare i quattro pescatori, Gesù li avrebbe voluti tutti per l’opera sua, ed essi in un primo momento vi si prestarono; ma dopo pensarono, magari anche a scopo di bene, di non dovergli esser di peso, giudicarono che le elemosine che riceveva Gesù non potessero bastare loro, e ritornarono al lago per pescare di notte, sperando di guadagnare almeno qualcosa. Gesù li trovò dopo questa notte di pesca che fu infruttuosa, mentre lavavano le reti. C’erano ferme due barche, una apparteneva a Simone e l’altra a Giovanni, ossia a suo padre Zebedeo.
       La folla che seguiva Gesù si accalcava sulle rive del lago, ed Egli, per parlare meglio e farsi sentire da tutti, salì sulla barca di Simone, e lo pregò di allontanarsi un po’ da terra. Stando a sedere sul pontone della barca, ammaestrava il popolo. Non era un gesto vano né era un atteggiamento accidentale quell’insegnamento; Egli guardava lontano, al compimento dell’opera sua, ai secoli perenni nei quali avrebbe insegnato al mondo dalla sede di san Pietro, e avrebbe ammaestrato le genti dalla sua barca, ossia dalla Chiesa. Quel suo gesto era divino, e come tale era semplicissimo, e segnava in eterno il diritto della Chiesa cattolica e del Papa ad ammaestrare le genti.
       Tutti i sofismi delle eresie e tutte le violenze dei tiranni non hanno potuto e non potranno mai cancellare questo diritto. La barca di Pietro diventava, in quel momento, granitica, diventava una sede di bronzo, un monumento immortale. Il gesto di Gesù l’aveva come consacrata, mutandone la natura, e l’aveva resa conquistatrice di anime nel suo adorabile Nome.
       Essa ha attraversato i mobili secoli e li attraversa ancora fra le più fiere tempeste, ma non è mai sommersa e continua a raccogliere anime nella sua rete, anche quando par che le sfuggano e che non ne prenda più per l’apostasia universale.

La pesca miracolosa
       Gesù Cristo volle mostrare a Simone e agli altri tre apostoli, chiamati sulle rive del lago che Egli era Provvidenza bastevole a sostentarli, e volle, nel medesimo tempo, preannunciare la pesca miracolosa di anime che avrebbe fatta la Chiesa nel grande trionfo del suo regno, e perciò ingiunse a Simone di prendere il largo e gettare le reti. Da esperto nella sua arte, Pietro sapeva che non c’era speranza di pescare nulla, dato che per tutta la notte, ossia nelle ore più propizie, aveva invano gettato le reti; però la sua fede si era rinnovata per la vicinanza di Gesù e alla luce dei suoi insegnamenti, e senza esitare, nel suo Nome, gettò le reti.
       Immediatamente i pesci riempirono la rete in così grande quantità che quasi si rompeva; ed egli che era forse in compagnia di Andrea, fece con lui segno all’altra barca dov’erano Giacomo e Giovanni, perché li avesse aiutati; essi, remando a gran forza, si accostarono e, raccolti i pesci, riempirono le due barche che quasi affondavano.
        La fede di Simone a quel miracolo si risvegliò in pieno; egli era ritornato alla barca e alle reti perché aveva creduto imprudente non avere un cespite certo di guadagno, ed ora constatava che Gesù poteva non solo sopperire alle sue necessità, ma poteva farlo con abbondanza; sentì tutta la propria ingratitudine e la propria miseria e, gettatosi alle ginocchia di Gesù che era seduto sulla sponda della barca, e aveva i piedi nascosti dai pesci che la colmavano, esclamò: Allontanati da me, perché io sono uomo peccatore. E voleva dire: Tu mi hai chiamato, mi hai promesso di alimentarmi anche corporalmente, e io ho dubitato di te, ed ho creduto che valesse più il mio posto di pescatore che la tua provvidenza; lasciai tutto per te, e con volubilità sono ritornato non tanto alla mia barca, quanto al mio mestiere, rifiutando praticamente la tua chiamata; non sono degno che Tu mi accolga con te, allontanati, stai in cattiva compagnia: io non sono che un peccatore. Anche gli altri compagni di Pietro furono presi dai medesimi sentimenti, perché anch’essi avevano diffidato della divina provvidenza. Ma Gesù, pieno di bontà, rivolto a Pietro singolarmente perché a lui principalmente aveva voluto dare la lezione, e perché egli era il più addolorato, disse: Non temere d’ora innanzi sarai pescatore di uomini. Tutti, allora, tirate a secco le barche, abbandonata ogni cosa, lo seguirono definitivamente
Padre Dolindo Ruotolo

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