sabato 2 novembre 2013

Zaccheo

Commento al Vangelo della XXXI Domenica TO 2013 C (Lc 19,1-10)

Zaccheo
        Per andare verso Gerusalemme, Gesù, continuando nel suo cammino, attraversò Gerico. La fama dei miracoli da Lui operati, e specialmente quella dei ciechi ai quali aveva ridonato la vista, suscitò grande entusiasmo nella città, e il popolo gli si affollò straordinariamente intorno. Ora, vi era in Gerico un capo dei doganieri pubblici, il quale, sentendo che passava Gesù, corse e si mescolò prima tra la folla nella speranza di vedere chi fosse. Egli era Ebreo, come si rileva dal suo stesso nome ebraico Zakkai che significa puro, giusto, e come Ebreo aveva anch’egli la speranza del Redentore futuro; volle vedere Gesù, dunque non per una semplice curiosità, ma per osservare chi fosse, cioè se avesse qualche cosa di straordinario che potesse farlo riconoscere come il Messia promesso.
        Zaccheo, capo dei doganieri o pubblicano, esosi esattori delle gabelle romane che facevano mille soprusi al popolo, era riguardato come un peccatore più degli altri. Piccolo di statura, doveva essere molto scaltro e intelligente per stare in un posto di responsabilità che faceva correre anche rischi di aggressioni da parte degli angariati, e richiedeva una mano ferma per tenere disciplinati i suoi subalterni. Doveva avere, però, un buon fondo di rettitudine, come appare dal modo col quale accolse la grazia di Dio, e un’anima semplice, come può rilevarsi dal gesto che fece per vedere Gesù.
        Piccolo di statura ma svelto e nel pieno vigore delle forze, come si rileva dal suo gesto, non potendo in nessun modo farsi largo tra la folla né scorgere Gesù da lontano, da uomo pratico com’era, ebbe un’idea geniale: corse avanti per dove doveva passare Gesù e, visto un albero di sicomoro, vi si arrampicò e vi stette per osservare a suo agio il Maestro divino.
        Il sicomoro si prestava a fargli da stazione di osservazione, perché ha i rami quasi orizzontali e non è molto alto; egli, dunque, si appoggiò comodamente ai rami e attese. Notò l’ondeggiare della folla e dall’alto, forse, non gli sfuggì la miseria di quel popolo angariato; ciò può supporsi dalla risoluzione che prese, sotto l’influsso della grazia, di dare ai poveri metà dei suoi beni.
        La grazia non opera mai a salti nell’anima nostra e poté utilizzare l’ispezione che Zaccheo fece del popolo dall’alto dell’albero.
        Appena Gesù passò per quel luogo, alzò gli occhi e, visto Zaccheo, si fermò e lo invitò a scendere, dicendogli che gli occorreva fermarsi nella sua casa. Zaccheo apprezzò l’onore altissimo che gli veniva fatto e, scendendo in fretta, lo accolse con grande gioia. La sua dimora non doveva essere molto lontana, e tutto il popolo, vedendo che Gesù era andato da un uomo peccatore, cominciò a mormorare. Eppure avrebbe dovuto esaltare Gesù e ringraziarlo, perché la conversione di Zaccheo fu di immediato vantaggio per i poveri e per tutti quelli che erano stati angariati da lui. È evidente che Gesù andò da quel peccatore per convertirlo e disse che gli occorreva fermarsi in casa sua, perché voleva spingerlo a regolare le ingiustizie che aveva commesse.
        Non ebbe bisogno di parlargli: gli bastò visitarlo e, poiché Zaccheo aveva accolto il suo primo invito, accolse con prontezza anche quello che gli faceva dell’anima, e disse: Ecco, o Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno gli rendo il quadruplo. Al contatto con Gesù sentì una grande carità per i poveri e, poiché Gesù era andato da lui per perorare la causa dei diseredati e degli angariati, egli sentì nel suo cuore il calore di quella fiamma di bontà e si sentì tutto trasformato. Diventò prodigo nella carità ed esuberante nella giustizia; diede metà di quello che gli apparteneva e riparò al quadruplo quello che aveva frodato.
        Con questo, Zaccheo si mostrò pentito non solo dei peccati contro la giustizia, ma di tutti quelli che aveva fatto; col suo esempio trasse tutta la sua famiglia a seguire Gesù, riconoscendolo come Messia, accettò la salvezza che veniva da Lui, e perciò Gesù disse, con accento di grande soddisfazione, che la salvezza era venuta per quella casa, formando del suo capo un vero figlio di Abramo. Era venuto a cercare e salvare ciò che era perduto, e il suo Cuore divino esultava, accogliendo un’intera famiglia a salvezza.

Oppressi dal mondo siamo impotenti a vedere le cose celesti
        Gesù attraversò Gerico, una città di commercio, e colui che rappresentava in certo modo il movimento di quel traffico, come capo dei doganieri, era piccolo di statura e non poteva vederlo, per la folla. Si può dire che il concentrarci nei guadagni e negli affari temporali senza occuparci del nostro ultimo fine ci renda piccoli di statura spirituale, incapaci di elevarci alle cose celesti, e oppressi dalla moltitudine degli affari come da folla tumultuante. Non è possibile vedere Gesù in questa deprecabile piccolezza e bisogna ascendere più in alto, facendo uno sforzo per staccarsi dalle cose terrene. Un primo atto di virtù, una rinuncia, un fioretto, anche minimo, offerto a Dio, può elevare d’un tratto la nostra statura spirituale, farci vedere Gesù e metterci sotto il suo sguardo per ottenere da Lui grazia e misericordia.
         Gesù c’invita a riceverlo nella nostra casa, comunicandoci di Lui Sacramentato. È allora che Egli viene a noi per portarci la salvezza e la santificazione. Con infinito amore, Egli c’invita dal santo tabernacolo e, standovi come cibo e bevanda, ci dice veramente: Mi occorre fermarmi nella tua casa. Scendiamo presto dalle povere alture della vita terrena e andiamo a Gesù, ricevendolo con gioia, come nostro unico bene e unica vita. Dilatiamo il cuore nella carità, affinché la bontà di Dio ci ricolmi di grazie, e ripariamo le colpe commesse affinché ci usi misericordia.
Padre Dolindo Ruotolo

Nessun commento:

Posta un commento