giovedì 17 aprile 2014

Gesù lava i piedi agli Apostoli

Sacro Triduo Pasquale – Messa in «Cœna Domini»
Commento al Vangelo del Giovedì Santo 2014 (Gv 13,1-15)

Gesù lava i piedi agli apostoli

San Giovanni riesce a descrivere l’amore col quale Gesù preparò la dedizione sua agli apostoli, desideroso di purificarli per poterli vivificare.
Essi erano in grazia di Dio, eccetto Giuda traditore, ma avevano tante imperfezioni nell’anima e, poco prima, come riferisce san Luca (23,24), avevano discusso su chi di loro sarebbe stato il più grande.
Gesù volle purificarli di quest’orgoglio con un profondo atto di umiltà, e volle correggerli di quell’emulazione che era trascesa nell’alterco, con un atto di amorosissima carità.
Lavò loro i piedi, e certo non fece questo solo materialmente, ma, nel lavarli, comunicò loro una grazia interiore e li purificò. Essi, che lo amavano, vedendolo umiliato ai loro piedi come un servo, si umiliarono profondamente, e furono purificati dalla loro miseria.
Fatta dunque la cena o, come indica il testo greco di codici autorevoli, durante la cena, Gesù si raccolse tutto in se stesso e apparve come trasfigurato dall’amore e dal dolore. Giuda, infatti, istigato da satana, aveva già stabilito di tradirlo, e Gesù, addoloratissimo tentò nella sua misericordia l’ultimo assalto per conquiderlo. Fu questo il primo pensiero che ebbe nel determinarsi a lavare i piedi ai suoi discepoli, e l’evangelista, di proposito, lo fa notare.

Sull’umiltà che devono avere i capi

Giuda lo avversava perché gli pesava il suo giogo soavissimo, si urtava nel sentirlo chiamare Maestro, si ribellava al solo pensiero d’essergli sottomesso, e Gesù volle mostrarsi Egli sottomesso a lui, umiliandosi persino ai suoi piedi.
L’atto di umiltà che si accinse a fare, era tanto più meraviglioso, in quanto Egli sapeva bene d’essere il Figlio di Dio, e sapeva d’andare incontro alla morte proprio per il tradimento dell’apostolo infedele. San Giovanni fa notare questa circostanza in modo enfatico: Sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani, e che era venuto da Dio e a Dio andava, si levò da cena. Lezione stupenda di misericordia e di carità a quei superiori che hanno sudditi ingrati e ribelli e, in nome della propria dignità, credono di doverli trattare con inesorabile severità. Gesù Cristo, Figlio di Dio, nelle cui mani era ogni potere, pur sapendo che Giuda non avrebbe corrisposto alla sua bontà, si umiliò fino a lavargli i piedi, e si umiliò innanzi a tutti i suoi apostoli per migliorarli, e liberarli dalle loro miserie. Chi sta in alto non può sempre far uso della sua potestà: deve saper anche umiliarsi, e deve saper curare, con la bontà, l’ostinazione dei cuori che gli sono affidati.
La forza non corregge mai l’anima, benché possa disciplinare esternamente la vita; l’umiltà, invece, può correggere l’anima e, in ogni caso, ne diminuisce sempre la perversità. Forse, quando Giuda vide condannato Gesù e fu preso da un pentimento disperato del male che gli aveva fatto, il ricordo della sua umiliazione nel lavargli i piedi concorse, anzi determinò, in lui, quel sentimento di compassione e di sgomento che, certo, fu l’unica nota attenuante del delitto commesso.
Giuda non si pentì soprannaturalmente in modo da meritare il perdono, non confessò Gesù come Figlio di Dio, ma per lo meno lo confessò giusto e innocente, e questo attenuò l’orrore del suo peccato.
Alzatosi da tavola, Gesù depose le sue vesti, cioè il pallio e la sopravveste che potevano essergli d’impaccio, prese un asciugatoio e se ne cinse e, versata l’acqua in una bacinella, cominciò a lavare i piedi dei suoi apostoli, asciugandoli col panno del quale era cinto. Com’è chiaro dal contesto, Egli andò prima da Pietro. L’evangelista, infatti, dopo aver accennato in generale alla lavanda, scende ad un particolare che era interessante, riguardando il capo degli apostoli.
Pietro, nel vedere ai suoi piedi Gesù, scorgendo in quell’atto stesso di umiltà la maestà divina che in Lui rifulgeva e l’amore che lo muoveva, ritirando con un gesto improvviso le estremità, disse con accento di stupore e di amore: Signore, tu lavare a me i piedi? E voleva dire: Tu Maestro mio, tu pieno di maestà abbassarti fino a me, povero pescatore e povero peccatore? Il gesto di Pietro fu reciso ed energico, e Gesù lo controbilanciò con un atto di tenera persuasione, dicendogli: Quello che io faccio tu ora non l’intendi, lo intenderai in seguito; e dovette stendere le mani per prendergli i piedi e metterli nella bacinella. Ma Pietro, più energicamente, li ritrasse, e col suo modo affettuosamente irruente, a troncare la questione disse: Tu non mi laverai i piedi in eterno. Gesù gli aveva detto che in seguito avrebbe capito il significato e il valore di quell’atto, cioè che dopo gliene avrebbe dato la ragione; ma Pietro, come del resto tutti gli apostoli, voleva veder chiaro, e in quel momento la sua ragione pretendeva imporsi al comando amoroso di Gesù. Gli apostoli, nella loro semplicità, volevano ragionare, e Pietro non ammetteva un ragionamento postumo in una degnazione che ripugnava all’amore che portava al Maestro.
Era un atto di affetto, senza dubbio, ma era anche un atto di ostinazione contro un disegno d’amore, e perciò Gesù gli disse: Se non ti laverò non avrai parte con me; e voleva dire: Se non ti purificherò così, non potrai partecipare al Sacramento che sto per istituire, per il quale occorre una purità piena di coscienza. Pietro, però, capì che se non gli avesse permesso di lavarlo, non avrebbe avuto parte nel suo regno, e sarebbe stato allontanato da Lui. Lo stesso amore lo fece cadere nell’eccesso opposto, e gridò, porgendogli i piedi: Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani ed il capo.

La lavanda dei piedi,

come un sacramentale

Nella sua rozzezza, non capì che Gesù voleva lavargli i piedi per lavargli l’anima, non capì che quell’atto di umiltà e d’amore era un sacramentale di misericordia; credé si trattasse di pulizia del corpo, per stare a tavola con maggior decoro e poiché, mangiando l’agnello, si era unte le mani e le labbra, si dichiarò pronto a farsi mondare. Ma Gesù, richiamandolo alle cose dello spirito con un paragone, soggiunse: Chi ha fatto il bagno non ha bisogno di lavarsi se non i piedi, essendo interamente mondo. E voi siete mondi, ma non tutti. E voleva dire, secondo il testo greco: Come chi ha fatto già un bagno e va a casa ha bisogno di lavarsi solo i piedi impolverati nei sandali per il cammino fatto, così voi, già mondi per la grazia che vi ho data, avete bisogno d’essere purificati solo nella debolezza del vostro mortale cammino. Specificò così il significato di quel sacramentale: Egli lavava i piedi per purificare le piccole colpe inevitabili nel mortale cammino; porgeva l’acqua santificata dalle sue mani, e le dava efficacia con la sua umiliazione, compungendo il loro cuore.
L’acqua era un segno esterno di purificazione; la sua umiliazione era il merito che dava a quel segno il valore di una purificazione, e la compunzione del cuore degli apostoli era la corrispondenza e il concorso personale alla grazia purificatrice. Gesù nel dire: Voi siete mondi, ma non tutti, si accorò immensamente, pensando a Giuda, come nota il Sacro Testo; all’apostolo infedele quella lavanda non valse a purificarlo: avrebbe avuto bisogno di un bagno di grazia, e lo rifiutava perché ostinato nel suo peccato.

L’insegnamento della lavanda dei piedi fatta da Gesù
Con infinito amore, Gesù compì la lavanda a tutti gli apostoli, senz’altra protesta da parte loro; poi riprese le vesti, e riassisosi a tavola, disse loro: Sapete quello che ho fatto a voi? Voi mi chiamate Signore e Maestro e dite bene perché io lo sono; ora se io, Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi l’un l’altro. Vi ho dato infatti l’esempio, affinché come ho fatto io, facciate anche voi.
Il valore della lavanda era una purificazione delle piccole colpe, il significato era una lezione pratica di umiltà e di carità. Gesù Cristo, prossimo a lasciare i suoi cari e a compiere il suo sacrificio sanguinoso sul Calvario, dava loro la stessa sua potenza e autorità, istituendo l’Eucaristia e il Sacerdozio, ed esigeva da loro una grande umiltà e carità per compiere gli altissimi uffici ai quali li destinava. Fino ad allora, essi avevano creduto di poter conquistare posti di onore nel suo regno, anzi avevano altercato fra loro per assicurarsi gli uni sugli altri una preminenza; ora, ecco la preminenza cui dovevano aspirare: umiliarsi, compatire ed avere carità gli uni gli altri, imitando il suo esempio.

Egli non comandava che materialmente si fossero lavati i piedi gli uni gli altri, ma che come Egli, Signore e Maestro, si era umiliato ai loro piedi in quell’atto di bontà, così essi avessero avuto cura di umiliarsi nella loro dignità, e di avere carità nell’esercitarla, mondando le anime dalla loro miseria, e compatendole con estrema bontà e carità. Essi non avrebbero potuto presumere d’essere di più di Lui, poiché nessun servo è maggiore del suo padrone; la loro pace e beatitudine futura nel ministero che loro assegnava, dipendeva da questo preciso concetto che dovevano avere della loro dignità e dell’esercizio della loro dignità.
Don Dolindo Ruotolo

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