sabato 14 giugno 2014

Commento al Vangelo: Santissima Trinità A 2014 (Gvv3,16-18)
Don Dolindo Ruotolo
La redenzione è misericordia di Dio
Nicodemo pensò allora ai pagani che opprimevano il popolo ebreo, pensò alle scelleratezze da essi commesse, e al giudizio terribile che meritavano, e dovette domandarsi internamente: Come si concilia questa misericordia universale col giudizio severo promesso agli empi nelle Sacre Scritture? Il suo spirito, abituato a considerare i pagani come una massa dannata, e il popolo ebreo come l’unico erede della promessa, abituato a concepire il Messia come un re terribile e inesorabile che doveva schiacciare e annientare i nemici d’Israele, non sapeva capire come potesse attuarsi la redenzione senza una condanna inesorabile del mondo. Fu un pensiero che gli dovette sorgere in mente come un lampo, e può arguirsi dalla risposta di Gesù: «Dio non ha mandato il suo Figlio nel mondo per condannarlo, ma perché il mondo per mezzo di Lui sia salvato».
Il Giudizio severo ci sarà non contro le altre stirpi o nazioni, ma contro chi non crede in Lui; e non sarà neppure un giudizio fatto con apparati esterni di grandezza o di forza, poiché chi non crede nel Figlio di Dio, non usufruendo della sua misericordia, può dirsi già giudicato, perché rimane nel suo peccato e da se stesso si condanna, non avendo come risorgere ed avere la vita eterna.
Il Giudizio – soggiunge Gesù per stabilire definitivamente l’esclusione assoluta di ogni principio di razza o di nazionalismo dal concetto della redenzione –, non riguarda più la massa umana decaduta, perché la redenzione la rialza; riguarda gli uomini singolarmente che, avendo la luce, preferiscono le tenebre alla luce e operano il male. Gli ignoranti, e quelli che senza loro colpa non hanno la luce e operano naturalmente il bene, troveranno un giudizio di misericordia, i cui limiti li conosce Dio solo, ma quelli che facendo il male odiano la luce, e non vi si accostano, positivamente, per non sentire rimorso e non sentirsi rimproverare, saranno già giudicati, trovandosi fuori del regno di Dio. Chi opera secondo verità, cioè secondo la legge naturale posta da Dio nel cuore umano, si accosta alla luce appena la vede e non ne ha timore, perché cerca il bene, simile a colui che, operando onestamente, non teme, come i ladri, la luce del giorno e, anzi, ha piacere di essere visto nelle opere buone che fa.

La redenzione non è un trionfo politico…

È questa dunque la retta idea del Messia e l’economia della redenzione, espressa dal discorso di Gesù a Nicodemo: non si tratta di un trionfo politico esterno, riservato al solo popolo ebreo, ma di una rinascita spirituale nell’acqua del Battesimo e nello Spirito Santo, possibile a tutti gli uomini. Le idee di un diritto al regno di Dio conseguente alla generazione della carne e alla discendenza naturale dal popolo ebreo non reggono poiché il vero popolo eletto sarà quello formato dallo Spirito Santo per la grazia, sarà la Chiesa universale.
È questo ciò che hanno annunciato i profeti, ed è questo che annuncia Gesù, portando sulla terra, piena e completa la luce di Dio. Egli non è semplicemente un uomo eletto e privilegiato, è Colui che era in principio presso di Dio, è disceso in terra facendosi uomo, e non ha cessato di essere in cielo, essendo anche vero Dio. È disceso in terra per immolarsi ed essere innalzato sulla croce, e per salvare col suo sacrificio tutti gli uomini. Egli non limita il suo sacrificio ad alcuni soltanto, ma dà la pienezza della redenzione e dei meriti a tutti; tocca agli uomini usufruirne, credendo in Lui e incorporandosi a Lui nella sua Chiesa. Dio, invece di colpire il mondo con un giudizio ed una condanna inesorabile, com’esso meriterebbe, gli dà la massima testimonianza d’amore, donandogli il suo Figlio, e glielo dona perché sia salvato credendo in Lui, operando per Lui il bene e osservando i suoi precetti.
La redenzione, quindi, non è un giudizio di condanna ma un dono di misericordia; solo chi non l’accetta si condanna da se stesso.
Chi non conosce la redenzione senza sua colpa è già un redento poiché il Redentore ha salvato tutti ed ha pagato per tutti, virtualmente, il prezzo del riscatto. Se opera il bene, anche naturalmente, e vive secondo i dettami della legge naturale, appartiene all’anima della Chiesa e trova misericordia. Perisce chi, conoscendo la luce, preferisce ad essa le tenebre e vive da malvagio, odiando la luce per non lasciare la vita perversa che mena.
Come si vede, il discorso di Gesù non è involuto, è completo nella sua mirabile sintesi, degna della sua mente divina. Egli, poi, parlando, come abbiamo detto, lo illuminava della sua luce e penetrava profondamente l’anima di Nicodemo.
Il Sacro Testo non ci dice che cosa abbia detto Nicodemo in fine del discorso, ma questa medesima reticenza ci fa capire che rimase in silenzio profondo, tutto compreso della verità che lo illuminava. Per la prima volta da quando approfondiva la legge, aveva avuto un’idea chiara sul Messia e sulla sua divina Missione. L’anima sua ardeva in quel momento, poiché un mondo nuovo gli si era aperto davanti. Egli, allora, non seguì materialmente Gesù, ma gli rimase attaccato, e si propose di osservare attentamente come si sviluppasse la sua missione. Quando il sinedrio decise di far catturare Gesù e ucciderlo, egli insorse per difenderlo, protestando che, secondo la Legge, non lo si poteva condannare senza ascoltarlo (7,50-51). Era ancora impressionato dal discorso di quella notte, e sperava che il sinedrio, parlandogli direttamente, si sarebbe ricreduto sul suo conto.
Rimase sempre… di notte, è vero, non osando apertamente schierarsi per il Redentore, ma lo fece con animo retto, stimando che, come parte dell’autorità suprema, egli non poteva impegnare il proprio giudizio in un fatto che aveva tanti aspetti di innovazione religiosa. Credé di attendere in un prudente riserbo, e il Signore lo compatì, nella sua misericordia. Ma, quando seppe che Gesù era stato crocifisso, e lo vide pendente dalla croce, allora certamente si ricordò delle solenni parole ascoltate nella beata notte nella quale gli aveva parlato: Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così è necessario che sia innalzato il Figlio dell’uomo, la sua fede si scosse, germinò, fiorì, e volle egli insieme a Giuseppe d’Arimatea togliere il Corpo divino dalla croce, diventando subito un seguace aperto del Maestro divino (19,39-41). Staccando il Corpo divino dalla croce, ne contemplò le piaghe e, commovendosi, si sdegnò contro il sinedrio che l’aveva così martoriato, ne contemplò la calma divina, ravvisò in quel volto l’amore col quale gli aveva parlato in quella notte e, staccandosi definitivamente dal sinedrio, si unì alla Chiesa nascente.

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