sabato 25 ottobre 2014

IL COMANDAMENTO PIU' GRANDE



 Commento al Vangelo della XXX Domenica TO 2014 A (Mt 22,34-40)
Don Dolindo Ruotolo
Il comandamento più grande
          I farisei, saputo che Gesù aveva ridotto al silenzio i sadducei, ritornarono nuovamente all’assalto per conto loro, sperando di confonderlo sulla Legge, e perciò lo fecero interrogare da un dottore sul massimo precetto del Signore. Il Vangelo non ci dice chi sia stato questo dottore, ma da ciò che dice san Marco si arguisce che doveva essere retto di cuore, e che interrogò Gesù per sincerarsi sulle sue vere intenzioni. Aveva sentito dire tante cose sul conto di Lui, e temeva che potesse manomettere l’onore di Dio. Questo si rileva chiaramente dalla soddisfazione che provò, sentendo dire da Gesù che bisognava amare Dio solo, come è detto in san Marco (12,32-33). L’entusiasmo col quale assentì alle parole del Redentore, mostra in lui un amore a Dio profondo e sincero che gli meritò la lode del medesimo Gesù. I farisei incaricarono questo dottore della Legge d’interrogare Gesù, forse proprio perché notarono la preoccupazione che aveva sull’insegnamento di Lui, e forse anche perché stimarono che la sua rettitudine lo rendesse meno sospetto al Signore.
        La domanda fatta non era delle più semplici, benché apparentemente non sembri. I rabbini elencavano 613 comandamenti della Legge, divisi in 248 precetti e 365 proibizioni. Tanto i precetti quanto le proibizioni erano distinti in gravi e leggeri, senza però determinarli distintamente. Di qui derivavano interminabili questioni e casi morali. Non tutti, poi, si accordavano sull’eccellenza di un precetto sull’altro; c’era, per esempio, chi stimava l’osservanza del sabato il massimo dovere e chi credeva, invece, che fosse la circoncisione, moltiplicando le dispute senza venir mai a conclusioni uniformi, con danno gravissimo delle anime. La risposta di Gesù fu solenne, e il modo stesso come la diede non ammetteva repliche.
        Si sente, nelle sue parole, l’amore grande del quale ardeva per il Padre, e il desiderio che aveva di unire tutti gli uomini in questo unico amore; perciò soggiunse che c’era un altro precetto simile al primo, ossia quello di amare il prossimo come se stessi. Amare Dio, disprezzando o manomettendo la sua immagine viva non è possibile, e chi vuol testimoniargli l’amore deve onorarlo nel prossimo. Sull’amore di Dio e del prossimo è fondata la Legge che riguarda questi due doveri, e sono fondati i profeti che richiamano le anime all’osservanza di questi due precetti fondamentali.
        La risposta che Gesù aveva dato aveva confuso ancora una volta i farisei, i quali si sarebbero aspettati chi sa quali discussioni, e dovette indurre in molti di essi un sentimento di resipiscenza. Stimavano il Redentore un pericoloso ribelle, e dovevano riconoscere, dall’accento medesimo delle sue parole, che Egli amava Dio; qualcuno corse col pensiero al Messia futuro, e poté anche pensare che poteva essere proprio Lui; certo ci fu nell’ambiente un momento di ponderazione, e Gesù volle utilizzarlo per costringerli a confessare che il Messia doveva essere Figlio di Dio, e per orientare la loro anima verso questa grande e fondamentale verità. Citando il principio del salmo 109, nel quale Davide chiama suo Signore il Messia, e nel quale annuncia da parte di Dio il trionfo di Lui sopra tutti i nemici, Egli proponeva loro una difficoltà ardua: se il Messia è Figlio di Davide, come mai questi lo chiama suo Signore? La risposta poteva essere una sola: lo chiama suo Signore perché è veramente Dio, ed è Re che domina ogni regno. Ma evidentemente i farisei si confusero, non seppero che cosa rispondere, e non osarono più interrogarlo.

Per la nostra vita spirituale
        Siamo chiamati dal Signore al banchetto della vita eterna, e non possiamo rifiutarci di prendervi parte senza essere puniti severamente. A che servono le aspirazioni terrene? Le occupazioni della vita presente ci rendono schiavi e sono piene di spine; occorre volgere gli occhi al Cielo, e occuparci, prima di tutto, di conquistarlo.
         Dolorosamente la vita vertiginosa delle nazioni moderne concentra gli uomini negli affari materiali, o li rende asserviti a Cesare: o s’idolatra la materia, come si fa negli Stati apostati, o s’idolatra l’uomo, il potere e lo Stato, come avviene spesso nelle nazioni cosiddette d’ordine; bisogna invece sottomettersi a Dio e persuadersi che dobbiamo amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente. In questo sta il sommo Comandamento della Legge, in questo la suprema ragione della nostra vita. Tutto è vanità fuorché amare Dio, e tutto ci è di angustia fuori di Lui. Il prossimo dobbiamo amarlo per amore di Dio, non per simpatia naturale o, peggio, per semplice convenienza; è necessario riguardare in lui l’immagine del Signore, e rispettarlo come tempio vivente di Dio. È questa la vera base dell’armonia umana, è la legge suprema che non può dimenticarsi senza andare incontro alla rovina, come lo abbiamo sperimentato e sperimentiamo tuttora in tutta la terra. Disinganniamoci sulle concezioni della vita che ci danno gli uomini moderni, i quali l’hanno resa insopportabile tanto nelle nazioni in rivolta quanto in quelle cosiddette d’ordine. Volgiamo gli occhi a Dio e pensiamo che Egli solo è tutto per noi. Al grido scellerato degli apostati, opponiamo il grido del nostro amore, alle chimere della fantasia umana opponiamo la nostra fede, ad aspirazioni folli, a felicità ipotetiche opponiamo la nostra incrollabile aspirazione alla vita eterna.

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