sabato 3 gennaio 2015

Il Verbo e il Logos



Commento al Vangelo – II Domenica dopo Natale 2015 (Gv 1,1-18)

Il Verbo e il Logos
        L’evangelista intende stabilire bene il fondamento della nostra fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, affinché non si fosse potuto formare un Cristo arbitrario né si fosse potuto confondere il Verbo eterno, consustanziale al Padre con la povera ombra intuita da Platone nel tentare, con i lumi della sola ragione, di scrutare le profondità di Dio.
        San Giovanni scrisse il suo Vangelo ad Efeso, centro di cultura, dove era conosciuto il famoso logos di Platone, prima, lontana intuizione imperfetta del Verbo di Dio, avuta da Platone certamente per un lume di grazia naturale, quasi per preparare le menti alla sublime rivelazione della fede. Platone, considerando Dio come infinitamente intelligente, lo chiamò mente, e la sua intellezione la chiamò logos, cioè idea della mente divina, secondo la quale Egli creò tutte le cose, e ne rifletté in sé l’ardore, perché creò il mondo per amore di sé, onde quel detto famoso del filosofo che sembra un’ombra lontana della Trinità.
        Il logos di Platone era ben lungi dalla concezione del Verbo di Dio, consustanziale al Padre e Persona distinta da Lui, ma san Giovanni designò il Verbo eterno con la stessa parola, sia perché gli eretici avevano dovuto già cominciare ad abusarne, e sia perché non si fosse confuso con l’idea di Platone; per questo, dopo aver detto che il Verbo era eterno, era Persona distinta dal Padre, era Dio Egli stesso, soggiunge che Egli era nel principio presso Dio, cioè non era solo un’intellezione transeunte della mente di Dio, come è transeunte un atto della nostra mente, ma era eterna conoscenza del Padre, eternamente presso il Padre, cioè sussistente ed eternamente distinto da Lui. Non era solo un’idea della mente divina, secondo la quale furono create le cose, ma era onnipotente come il Padre e per Lui furono fatte tutte le cose, e senza di Lui nulla fu fatto di ciò che è stato fatto. Il Verbo era presso Dio, in greco omoúsion, cioè uguale al Padre; non era, dunque, il logos di Platone, concepito come prima creatura di Dio, ma era Dio come il Padre, Dio onnipotente e Creatore, per cui furono fatte tutte le cose, e senza di Lui nulla fu fatto di ciò che è stato fatto o, secondo il greco, neppure una cosa di ciò che è stato fatto; Egli non era la creatura prima fra le creature, secondo il concetto di Platone che presiedeva alla creazione delle altre; era il Verbo eterno per cui tutto fu fatto. Non era ministro della creazione, ma ne era causa col Padre e lo Spirito Santo.
        L’evangelista dice che tutto fu fatto per mezzo di Lui, perché nel Verbo eterno sono i prototipi di tutte le cose create.
        L’artefice fa tutto per la sua idea, per la sapienza che ha e per il concetto che si forma di ciò che vuol fare, cioè fa tutto attraverso il Verbo della sua mente; Dio crea secondo i prototipi della sua mente infinita, e i prototipi sono nel Verbo a Lui consustanziale, sua conoscenza sussistente, Figlio suo generato da Lui ab aeterno. Il Verbo riceve dal Padre, con l’essenza divina, l’onnipotenza e l’azione, la stessa del Padre, col quale e con lo Spirito Santo crea tutto.

Dall’eternità al tempo
        San Giovanni passa perciò dall’eternità al tempo, e accenna alla creazione di tutto attraverso l’eterna e increata sapienza. Mosè disse: In principio Dio creò il cielo e la terra, e non poté sondare il grande mistero nella sua fonte, ma udì la parola creatrice di Dio che popolava il tempo e lo spazio di meraviglie; san Giovanni penetrò più in fondo l’arduo mistero e, in quella Parola onnipotente che risuonò prima sul vuoto del nulla e poi sulla informe massa del caos, ravvisò l’infinita potenza creatrice di Dio che, attraverso il suo Verbo, creava tutte le cose.
        Chi può scrutare quell’arcano momento nel quale venne fuori la creazione, e chi può intendere la grandiosa, immensa poesia di quella settimana di giorni, di anni, di secoli, di miliardi di secoli che vide sorgere ad una ad una tutte le meraviglie dell’universo?
        Chi può, anche lontanamente, intuire che cosa grande fu il passaggio repentino dal non essere all’essere?
        Ne abbiamo un’idea nella potenza delle parole della Consacrazione eucaristica, poiché il Verbo Incarnato le dice, attraverso il sacerdote, sul pane e sul vino, realizzando, con poche parole, il più grande miracolo, ma i nostri sensi non ne percepiscono nulla.
        La Chiesa, nel suo ammirabile linguaggio, quasi dimentica della parola dogmatica che designa questo arcano prodigio d’amore, transustanziazione, lo riguarda, per così dire, come una nuova formazione del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, e fa dire al sacerdote: Ego volo celebrare Missam, et confìcere Corpus et Sanguinem Domini nostri Jesu Christi.
        Il sacerdote non produce certo il Corpo e il Sangue di Gesù, ma produce la transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo; le sacre parole, perciò, hanno una potenza produttiva che dà un’idea della potenza creatrice del Verbo di Dio nell’atto in cui chiamò all’essere e all’ordine le creature.
        In Dio, tutto è in atto, poiché Egli è Atto purissimo, tutto è presente perché Egli è eterno; la creazione era già tutta nei prototipi della sua mente infinita e, diremmo con frase ardita, Egli, nel diffondere la sua bontà, anziché accrescerla di una grandiosa manifestazione della sua potenza, della sua sapienza e del suo amore, dovette quasi ridurla amorosamente, per proporzionarla alle creature alle quali voleva dare l’essere. Avrebbe potuto e può creare milioni e miliardi di mondi e di meraviglie, ma limitò la sua creazione secondo i fini di gloria e di amore che, nei suoi arcani disegni, voleva raggiungere nelle creature.
        Il Verbo eterno, sua glorificazione infinita, diffuse la sua bontà per partecipare la vita e la felicità alle creature, per renderle glorificazione del Padre, e per effondere in esse la sua stessa voce di glorificazione; ma, nel diffondere l’infinita bontà, limitò il numero delle creature. Ad extra produsse un’immensa armonia di glorificazione ma, nella profondità di Dio, Egli fu solo voce d’infinita glorificazione, e per questo volle effondere questa voce di gloria in tutte le creature; e riparò la deficienza di quelle senz’anima e le miserie di quelle ragionevoli, incarnandosi. Si fece uomo e si donò all’uomo, arricchendolo di preziosissimi doni, perché egli avesse potuto lodare Dio degnamente, attraverso le stesse opere della creazione. Per questo san Giovanni soggiunge che in Lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
        Il momento della creazione è un mistero che dà le vertigini; ma l’evangelista ci dà in mano la chiave per vederlo almeno in sintesi, dicendo: Per mezzo di Lui furono fatte tutte le cose.
        Elèvati anima mia in alto e contempla.
        Ecco Dio, ecco Dio, Uno e Trino, tutto in sé, tutto compiaciuto di sé, in umiltà divina, oserei dire, perché se l’umiltà è verità, nessuna umiltà è più profonda quanto quella della verità eterna che conosce Se stessa infinitamente, generando l’eterno Verbo.
        Conoscendosi, Dio si ama, infinitamente si ama, e l’amor suo è sussistente, è Persona distinta, è diffusione infinita del Padre al Figlio e del Figlio al Padre, è Fiamma d’eterno ardore che, unendo il Padre al Figlio e il Figlio al Padre, rende Dio tutto fiamma d’amore, lo rende carità: Deus charitas est.
        Dio, conoscendo se stesso, conosce la sua onnipotenza, e conosce i prototipi della sua infinita mente, secondo i quali la sua onnipotenza può diffondersi ad extra, li conosce nel Verbo che è sussistente conoscenza di sé.
        È una conoscenza semplicissima e tutta in atto, ma noi dobbiamo immaginarla come successiva per averne una lontana idea, dobbiamo paragonarla, per lontana analogia, alla mente di un artista che contempla in sé gli ideali che ha, e che li vede quasi in atto nel suo pensiero.
         Dio solo compie le sue opere secondo i suoi prototipi, le vede e se ne compiace, perché sono buone: Vidit Deus quod esset bonum; e anche quando esse, per la malizia della creatura ragionevole, si disordinano, Egli cava dal disordine una nuova armonia, e dalle rovine una nuova fioritura di bene. Egli, quindi, non fallisce mai nei suoi disegni, pur lasciando alle sue creature la piena libertà; Egli tutto prevede e ordina le sue opere a quello che vuole.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo 

Nessun commento:

Posta un commento