sabato 14 febbraio 2015

Il lebbroso guarito e la Confessione sacramentale

Commento al Vangelo: VI Domenica del TO 2015 B (Mc 1,40-45)

Il lebbroso guarito e la Confessione sacramentale
Dopo la giornata laboriosa passata nella casa di san Pietro, Gesù Cristo, riposatosi un po’, di buon mattino si ritirò in un luogo solitario per pregare. Non fece sapere dove andava, per essere lasciato tranquillo. Com’è solenne quest’orazione di Gesù al Padre! Egli aveva visto tanti languori e tante infermità nel popolo che gli si era affollato d’intorno, e il suo Cuore era rimasto profondamente addolorato. L’amore verso i sofferenti gli aveva troncato il riposo e, poiché Egli era il Mediatore tra l’uomo e Dio, era andato a pregare per gli uomini.
Dal contesto si rileva che l’afflizione del Sacro Cuore di Gesù fu concentrata sulle infermità spirituali della moltitudine, e che Egli pregò per implorare a tutti la grazia della luce divina e della salvezza. Solo, con le braccia in croce, rifulgente di arcano splendore, acceso d’amore, con lo sguardo al Padre, Egli pregava e cercava di supplire, con la sua preghiera, l’insufficienza umana alle divine grazie.
Il popolo, dal canto suo, passata la notte, si affollò nuovamente in casa di san Pietro, per domandare nuovamente grazie temporali a favore degli infermi. Pietro e gli altri apostoli, non sapendo dove fosse andato Gesù, si misero a cercarlo e, trovatolo, gli manifestarono il desiderio della moltitudine. Ma Gesù li esortò a seguirlo per i villaggi e per le città, dove voleva annunciare la Parola di Dio, poiché per questo Egli era principalmente venuto in terra.
I benefici temporali, le opere di carità, e i medesimi miracoli non potevano assorbire il suo tempo, perché il beneficio della divina Parola superava qualunque altro dono. Egli volle che i miracoli fossero un insegnamento, e operò quelli che avevano un germe di verità da poter trasmettere alla Chiesa; non volle rendere l’apostolato del suo amore una semplice elargizione di beni temporali, a scapito di quelli spirituali.
Il beneficio spirituale porta con sé quello corporale, perché porta la benedizione di Dio anche nella vita presente, ma il beneficio corporale, di per sé, non porta quello spirituale; la carità spirituale, perciò, è immensamente più bella di quella temporale, e deve comprendere tutta la vita di quelli che hanno la grazia di dedicarvisi per vocazione divina.
Gesù andò, difatti, nelle sinagoghe della Galilea, predicando e scacciando i demoni, annunciando così la divina Parola e liberando i poveri ossessi dal dominio di satana. In una di queste escursioni di zelo e d’amore, un povero lebbroso gli si presentò e gli disse, supplicandolo: Se vuoi, puoi guarirmi! Era così certo della potenza di Gesù e così sicuro della sua bontà che gli si affidò interamente perché l’avesse mondato. Gesù, mossosi a compassione, stese la mano, lo toccò e, con un atto della sua volontà, lo purificò dalla lebbra, ingiungendogli di tacere e di mostrarsi al principe dei sacerdoti per far constatare la guarigione e fare l’offerta prescritta. Negli altri miracoli Gesù si appellava alla fede di quelli che glieli chiedevano; in questo volle mostrare il dominio pieno della sua volontà sul malanno, perché esso era figura del peccato che deturpa l’anima.
Il nostro abbandono alla divina volontà
Ogni colpa è un contrasto con la divina volontà, è un arresto di vita spirituale che produce nell’anima una piaga ributtante. Il peccatore è veramente un lebbroso che non può sanarsi con le sue industrie, ma ha bisogno di ridonarsi alla divina volontà, e di avere contatto con Gesù Cristo, offrendosi a Lui nella stessa miseria che lo deturpa. È vano sperare di poter risorgere dal male se non si va ai piedi di Gesù Cristo, vivente nel sacerdote, e non gli si dona la volontà, confessando e riconoscendo le proprie colpe, e implorandone la liberazione col contatto della grazia, attraverso la mano del sacerdote che, levandosi sul peccatore, lo tocca in nome di Gesù Cristo.
La guarigione del lebbroso doveva essere constatata dal sacerdote, e Gesù mandò l’infermo risanato dal sacerdote, proprio per indicare che nella purificazione della lebbra spirituale si deve ricorrere al sacerdote. San Marco dice che Gesù mandò il lebbroso dal principe dei sacerdoti mentre gli altri evangelisti dicono semplicemente dal sacerdote; per legge bastava che l’infermo risanato si fosse presentato a qualunque sacerdote, ma san Marco specifica che quella volta il Redentore mandò il lebbroso dal principe dei sacerdoti, forse per completare il significato mistico di quella guarigione, e indicare che la giurisdizione per la remissione dei peccati è un atto solenne che spetta alla suprema potestà, e che deriva necessariamente da essa.
Il lebbroso di spirito si presenta a Gesù per essere mondato, gli dona la volontà perché la rettifichi, si rimette alla sua misericordia perché lo risani, riconosce la potestà del sacerdote che lo rappresenta, riconosce che questa potestà è disciplinata nella giurisdizione dal sommo sacerdote, cioè dal Papa e dai vescovi che ricevono dal Papa, a loro volta, la missione di regolarla; offre poi il dono della purificazione, compiendo la penitenza che gli è imposta, e rientra nel consorzio dei santi con la grazia. Come si vede, in questo miracolo c’è tutto quello che si avvera nella Confessione, in questo mirabile Sacramento dove l’anima si riconoscere lebbrosa e riceve la purificazione delle sue miserie.
Nelle vie dello spirito, quello che ci riempie di lebbra è la nostra volontà, quando si distacca dalla volontà di Dio; è questa l’origine di ogni peccato e di ogni imperfezione. Offriamoci alla divina volontà, specialmente quando siamo turbati dalle passioni, o afflitti dalle sventure; diamoci a Dio interamente, perché in questo soave abbandono in Lui c’è il segreto di ogni pace e di ogni santificazione.
Gesù Cristo proibì al lebbroso di divulgare il miracolo ricevuto; glielo proibì per delicata carità, non volendo che gli altri ne avessero avuto ribrezzo, benché già guarito, e glielo proibì ancora per evitare un nuovo affollamento di popolo per ottenere benefici temporali.

Ma chi poteva frenare l’impeto della gratitudine del povero infermo che si vedeva prodigiosamente guarito? Egli non seppe tacere e divulgò talmente il miracolo che Gesù dovette celarsi in luoghi solitari, per ricevere comodamente quelli che andavano a Lui per beneficio dell’anima.
Padre Dolindo Ruotolo

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