sabato 18 aprile 2015

Gesù appare agli apostoli




Commento al Vangelo: III Domenica di Pasqua 2015 (Lc24,35-48)


Gesù appare agli apostoli

Rimessisi un po’ dall’emozione, i due discepoli raccontarono quanto era loro accaduto per strada e come avevano riconosciuto Gesù nella frazione del pane. Forse il loro racconto cominciò a suscitare diffidenze, come avviene spesso quando si riferisce a gente incredula un fatto soprannaturale, quando Gesù, improvvisamente, stando chiusa la porta entrò in mezzo a loro ed più soggetto esclamò: La pace sia con voi; sono io, non temete. Il suo Corpo glorioso, non alle leggi della materia, non conosceva ostacoli, e molto più di quel che non faccia un’onda elettrica, passò attraverso le mura e la porta. I congregati, già impressionati da quello che ascoltavano dai discepoli di Emmaus, ne furono turbati e atterriti, credendo di vedere uno spirito.
Se avessero creduto a quello che dicevano i discepoli, non avrebbero supposto di trovarsi di fronte ad un fantasma. Gesù, con una grande amorevolezza, per toglierli dall’angustia, soggiunse: Perché vi turbate, e quali pensieri sorgono nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io; palpatemi e guardate, perché lo spirito non ha carne ed ossa come vedete che ho io. Detto questo, mostrò loro le mani e i piedi e li fece toccare loro, ma essi non crederono ancora, benché avessero il cuore pieno di gioia al divino contatto.
Questo ci fa vedere in quale stato di miscredenza ancora si trovassero e quanto fitte fossero le tenebre del loro spirito. Toccavano con mano, vedevano con gli occhi e non credevano. È terribile! Erano più increduli dello stesso san Tommaso, la cui mancanza di fede è diventata proverbiale; il loro intelletto era oscurato completamente, poiché rimaneva in loro ancora l’idea che il Maestro non avesse potuto risorgere.
Così fanno i miscredenti per partito preso: dicono di voler tutto osservare e controllare e, quando toccano con mano la verità, neppure credono, perché il loro cuore è guasto e annebbiato. Non cercano il motivo della credibilità ma quello della miscredenza, e non cedono di fronte all’evidenza, rinnegando praticamente lo stesso positivismo balordo per il quale dicono di non credere. Se si umiliassero e riconoscessero la loro ignoranza, riavrebbero la luce della verità e quella della fede, ma sono ostinati e non vogliono credere.
Di fronte all’ostinazione degli apostoli Gesù, lungi dall’abbandonarli come avrebbero meritato, ricorse ad un altro espediente: Essi erano fuori di loro per la gioia, come dice il Sacro Testo; non credevano ai loro occhi e al loro tatto, non per ostinazione di malizia, ma per la stessa sorpresa di ciò che vedevano; erano come fuori della realtà della vita, e non sapevano trarre la logica conseguenza di quello che vedevano; perciò Gesù, richiamandoli alla realtà e distraendoli da quello stupore che impediva loro di riflettere, esclamò: Avete qui qualche cosa da mangiare? Ed essi gli presentarono un pezzo di pesce arrostito e un favo di miele; Gesù ne mangiò alla loro presenza, e quello che avanzò lo diede loro perché ne avessero mangiato e l’avessero mostrato agli altri come testimonianza della sua risurrezione.
Gesù Cristo, avendo un corpo reale poteva mangiare, benché fosse glorioso. Il cibo penetrò veramente nello stomaco, e si mutò interamente in sua sostanza, senza bisogno di digestione. Egli si degnò di partecipare alla nostra vita per santificarla e, mentre prima della Passione aveva mangiato la Pasqua con le erbe amare, simbolo del pellegrinaggio terreno, dopo la risurrezione mangiò il favo di miele, simbolo delle dolcezze della gloria eterna.
Nella Cena, mangiò l’Agnello pasquale, figura di Lui stesso immolato, e dopo la risurrezione mangiò il pesce arrostito, simbolo del suo amore eucaristico; l’agnello vive nella terra, simbolo dell’anima pellegrina, e il pesce nel mare, simbolo dell’anima beata dell’immensità della gloria di Dio, nella quale è come sommersa per l’eterna beatitudine.
Di fronte all’evidenza di veder consumato il cibo che gli avevano dato, gli apostoli crederono, come appare chiaramente dal colloquio che Gesù ebbe con loro; ma nel loro spirito c’erano ancora delle tenebre sulla sua Passione e Morte, ed Egli le dissipò, richiamando la loro attenzione sul compimento delle profezie che lo riguardavano, da Lui già annunciate loro prima di patire. E perché avessero potuto intendere appieno quanto di Lui era stato scritto nella Legge di Mosè, nei profeti e nei salmi, cioè in tutta la Scrittura, ne comunicò loro l’intelligenza con una grazia particolare, perché avessero potuto intenderle e insegnarle agli altri, evangelizzando tutte le genti.
San Luca sintetizza, in queste poche parole, le raccomandazioni e le istruzioni che Gesù Cristo fece agli apostoli nei quaranta giorni nei quali rimase con loro, prima di congedarsi definitivamente e ascendere al cielo. Fu in questi trattenimenti che Egli promise lo Spirito Santo, e li esortò a trattenersi in Gerusalemme, per prepararsi a quella grande grazia che doveva trasformarli in messaggeri di misericordia, di perdono e di pace per tutta la terra.
Alla fine dei quaranta giorni, li condusse prima a Betania, per congedarsi da Marta, da Maria e da Lazzaro, e poi di là sul monte Oliveto, dove li benedisse e, sollevatosi verso il cielo, sparì dai loro occhi, assunto nella gloria.
Fu quella l’ultima e definitiva prova che diede della sua divinità, e per questo gli apostoli e quelli che erano con loro lo adorarono, riconoscendolo pienamente Figlio di Dio.
         Ritornarono poi a Gerusalemme pieni di gaudio, per le grazie ricevute, delle quali, ora, valutavano tutta la magnificenza, e stavano nel tempio continuamente, lodandone e benedicendone Dio. Essi, infatti, si svegliarono come da un sonno e, accorgendosi di non aver apprezzato abbastanza gli immensi doni ricevuti da Dio, cercarono di riparare alla loro manchevolezza, andando a ringraziarlo continuamente nel tempio.
Padre Dolindo Ruotolo

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