sabato 3 dicembre 2016

La voce che grida nel deserto

Commento al Vangelo – II Domenica di Avvento 2016 A (Mt 3,1-12)

La voce che grida nel deserto
L’età legale e tradizionale per diventare dottore e ministro di Dio – come può rilevarsi anche dal Primo libro delle Cronache (23,3) –, era di trent’anni. In questa età san Giovanni il Battista uscì dalla solitudine e cominciò la sua predicazione per preparare il popolo a ricevere il Redentore, vicino anche Lui al trentesimo anno di età.
È probabile che la causa occasionale per la quale san Giovanni si ritirò nel deserto sia stata la persecuzione di Erode; la madre sua, per timore, vi si dovette rifugiare e, passato il pericolo, il bambino, già prevenuto dalla grazia, vi rimase per prepararsi alla sua missione con una vita di aspra penitenza. Non è raro, nella storia dei santi, una precocità di vita penitente né può stupire vedere un bambino prodigio di virtù come non ci stupiamo di vedere bambini-prodigio di musica, di pittura, di arti e di lettere, dei quali abbiamo molti esempi nella storia contemporanea. Se le doti naturali possono rendere più che adulto un piccolo, molto più lo può la grazia e la particolare elezione di Dio.
Che cosa faceva Giovanni nel deserto, tutto solo? Guidato dalla luce dello Spirito Santo, meditava la grandezza di Dio, pregava, riparava per l’ingratitudine umana, e teneva in penitenza il suo corpo, con ogni specie di disagio, per amore di Dio.
Si può credere, con ogni verosimiglianza, che la Vergine Santissima, sua dolcissima zia, l’abbia personalmente guidato nelle vie di Dio, perché i suoi genitori dovettero morire presto. Non è supponibile, infatti che la Vergine Santissima, così piena di bontà e di grazie, abbia trascurato colui che era andato a visitare e a santificare, stando ancora egli rinchiuso nel seno materno.
Il deserto dove Giovanni si ritirò e dal quale uscì per invitare il popolo al regno di Dio era una vasta estensione di terra ad est di Gerusalemme e lungo il Mar Morto, quasi disabitata; il suo abito consisteva in una veste-cilizio, formata di peli di cammelli, cioè di peli duri che tormentavano il corpo, e che egli stringeva ai lombi con una cintola di cuoio, per meglio sentirne il fastidio. Egli stesso, logoratesi le sue vesti d’infanzia, aveva dovuto formarsi questo rozzo indumento, forse utilizzando i peli di cammelli, morti nel deserto. Si cibava di locuste – cibo comune allora come oggi in oriente –, e se ne cibava come le trovava, non certo cotte in acqua, o disseccate al forno che era il modo più comune di mangiarle. Alle locuste aggiungeva un po’ di miele selvatico, di quel miele formato dalle api silvestri nelle fessure delle rocce.
Uscì dal deserto, scarno, coperto di quella veste di penitenza e di povertà che era stata indossata da tanti profeti, ammantato spiritualmente dallo splendore della grazia che lo arricchiva, e sembrò una visione soprannaturale, al popolo che incuriosito gli andava dietro.
Con Malachia sembrava essere cessata la profezia, e l’apparizione di Giovanni, novello profeta agli occhi di tutti quelli che lo vedevano, fece anche più impressione per questo. Rinasceva la solenne poesia degli antichi profeti, e il popolo, oppresso dalla dominazione straniera, vedeva, nella misteriosa figura del Battista, il felice annuncio di qualche mutamento politico importante.
Ma Giovanni non era venuto per suscitare una rivolta: era venuto per preparare i cuori con la penitenza al regno di Dio, alla redenzione, cioè che doveva compiere il Cristo promesso, alla Chiesa militante che Egli doveva fondare, e a quella trionfante che doveva essere la meta finale della salvezza.
Con pochissime parole, il Battista capovolgeva tutte le aspirazioni falsate dal popolo, frutto del rilassamento religioso: la nazione aspirava a godere; s’era paganizzata, ed aveva visto prosperare in essa la setta dei sadducei che negavano persino la risurrezione futura e l’esistenza degli spiriti. Nella sua parte che sembrava ancora sana per lo scrupoloso attaccamento alla Legge, nei farisei, era deformata dal formalismo ipocrita, senz’anima, aspirante al dominio e ai posti alti. Il giogo romano le pesava, ed aspirava a scuoterlo per inaugurare un nuovo regno d’Israele. A queste aspirazioni, il Battista oppose la penitenza e la speranza del regno di Dio; mostrò in se stesso l’esempio della penitenza, e cominciò a battezzare i peccatori che accorrevano a Lui confessando le proprie colpe, per segnarli con un segno di umiltà, per dare a tutti una promessa e una figura della remissione dei peccati che doveva venire dal Redentore, e per suscitare, con quel segno esterno, il desiderio della purificazione dell’anima.
La predicazione del Battista – come si rileva da san Luca (3,7-14) –, consisteva in pochi precetti pratici atti a rinnovare la vita; non aveva splendore di parole sublimi né di miracoli, era rude come il suo abito, e ciononostante fece tanta impressione, da trarre a lui le turbe da Gerusalemme, dalla Giudea e da tutta la regione del Giordano. Il popolo ricordò o trovò chi gli ricordò le parole del profeta Isaia: Voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri; capì che quelle parole non si riferivano solo al ritorno degli Ebrei da Babilonia, ma che annunciavano la voce che doveva preconizzare il ritorno delle anime dalla schiavitù della colpa.
La figura stessa di Giovanni, scarna e spettrale, sembrava che avesse solo la voce con la quale chiamava a penitenza; era quasi tipicamente una voce che sembrava venire dalle profondità del mistero, e corsero le turbe per farsi battezzare, confessando i propri peccati. Sentivano tutti il bisogno di purificarsi, erano stanchi di una vita di peccati, e avevano il desiderio di vederla mutata. Il battesimo di Giovanni non rimetteva di per sé le colpe; ma, eccitando l’anima a compunzione e a pentimento, attraeva la misericordia di Dio e non era una semplice e sterile cerimonia.
Al popolo che andava da Giovanni si unirono anche dei farisei e dei sadducei, i quali andarono ad osservare il nuovo profeta, più per curiosità che per vera compunzione; più per criticare che per sanzionare la sua missione; è evidente dalle parole severe che il santo Precursore rivolse loro. Essi erano abituati ad avvelenare il popolo con le loro false teorie religiose e perciò Giovanni li chiamò razza di vipere, cioè anime avvelenate che non sapevano propinare che veleno, subdolamente e quasi senza farsi scorgere, ammantati d’ipocrisia gli uni, e di fasto gli altri. Li esortò particolarmente a far penitenza, come quelli che ne avevano più bisogno, e a non presumere di potersi salvare perché figli di Abramo, poiché i veri figli della discendenza spirituale di lui dovevano essere suscitati dalla grazia e non dalla natura.
San Giovanni, quando disse queste severe parole, battezzava a Betabara, dove Israele, sotto la guida di Giosuè, aveva miracolosamente attraversato il Giordano. Vi erano là ancora le dodici pietre poste a ricordo del miracolo, e il Precursore, additandole, gridò che Dio per mantenere la promessa fatta ad Abramo di una discendenza spirituale non si sarebbe fermato alla progenie naturale di lui, ma avrebbe suscitato anche dalle pietre i suoi figli spirituali, tagliando, anzi, come alberi inutili e infruttuosi, quelli che, fidando sulla discendenza naturale da Abramo, non avrebbero fatto buoni frutti di penitenza. Era necessario, per formare la progenie eletta, non tanto discendere da Abramo, quanto dal Redentore; Egli avrebbe costituito negli apostoli le dodici pietre fondamentali della Chiesa universale, testimonianza viva del passaggio dalla morte alla vita operato da Lui, e da quelle pietre sarebbero nati i veri figli di Abramo, i veri discendenti ed eredi della grande promessa.
Quest’allusione mirabile all’opera del Redentore gli diede modo di umiliarsi al ricordarlo, e di presentarlo alle turbe come l’unica via di salvezza: egli battezzava con l’acqua, per indurre sentimenti di penitenza, ma Colui che stava per manifestarsi, infinitamente più potente, avrebbe battezzato le anime, infondendo loro lo Spirito Santo e infiammandole del fuoco della divina carità. Egli è così grande – disse Giovanni – che io non sono degno neppure di prestargli gli umili uffici degli schiavi ai padroni, portandogli i sandali; Egli è così santo e giusto che verrà quale Giudice di tutti, e come col ventilabro si separa il grano dalla paglia per bruciarla, così Egli, diffondendo nel mondo la sua Chiesa, attraverso il vento delle prove e delle lotte separerà i buoni dai cattivi, raccoglierà i buoni nel suo regno, come si raccoglie il grano nel granaio, e condannerà i cattivi alle fiamme eterne dell’Inferno.

Giovanni non aveva ancora visto il Redentore; parlava per divina ispirazione e, in poche ed efficaci parole, determinava i caratteri del suo regno: Egli non avrebbe raccolto solo le anime della promessa, ma avrebbe adottato le creature di qualunque nazione come figlie di Dio e discendenza spirituale di Abramo; non le avrebbe contrassegnate con un segno esterno, ma le avrebbe rinnovate con la grazia dello Spirito Santo, lasciando integra la loro libertà e separando alla fine, come Giudice supremo, definitivamente, i buoni dai cattivi.
Don Dolindo Ruotolo

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