lunedì 14 agosto 2017

L'incontro con Santa Elisabetta

Commento al Vangelo nella Solennità dell’Assunzione della B.V. Maria 2017 A
(Lc 1,39-56) – Messa del giorno
Don Dolindo Ruotolo
L’incontro con santa Elisabetta
Maria si pose in viaggio per le vie deserte dei monti e camminava frettolosamente. Cercava la solitudine, perché aveva un gran bisogno di amare in silenzio, e correva perché era quasi come spirito e non avvertiva il peso del corpo.
Chi ha provato un momento d’intimo amore con Dio sa quanta vita esso trasfonde in tutto il corpo, rendendolo più sottomesso all’anima, più docile strumento dello spirito; questa vita dovette essere immensa in Maria, tutta avvolta dalla fiamma dell’eterno Amore. Non poggiava quasi sul suolo e, come colomba librata al volo, divorava la via. Correva senza affannare, spinta come da un vento, perché la creazione le faceva quasi riverenza, e l’aria stessa si apriva innanzi a Lei, per non opporre resistenza ai suoi passi. Correva, esultando nel suo spirito, con passo sicuro e senza timore, perché la gioia pura dell’anima dà anche al corpo un novello vigore e una maggiore decisione nei suoi movimenti. I suoi sentimenti si arguiscono da quelli espressi a santa Elisabetta, espressione magnifica dell’anima sua benedetta: glorificava Dio, esultava in Lui Salvatore, vivente nel suo seno, si umiliava e considerava la sua grande missione nei secoli, attribuiva al Signore tutta la propria grandezza, e considerava le conseguenze della misericordia fatta da Dio alla terra, la dispersione dei superbi, l’umiliazione dei grandi e l’elevazione degli umili. Era piena di Dio, conversava con Lui, lo amava d’intenso amore, piena di riconoscenza per il compimento delle promesse da Lui fatte ad Abramo e alla sua discendenza; cantava nell’esultanza del suo spirito, ed esplose nella pienezza del suo amore innanzi alla santa cugina.
Il saluto di Maria
Giunse presto in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta, dice il Sacro Testo. Non salutò il consorte di lei o per delicatezza, sapendolo muto e non volendolo mortificare parlando, o perché sapeva che era momentaneamente assente. Salutò con le parole allora più in uso. La pace sia con te, o con altra simile espressione e, al suono della sua voce, il bambino di Elisabetta trasalì di gioia nel seno di lei, ed ella fu ripiena di Spirito Santo.
La voce benedetta di Maria era come la voce stessa del Verbo Incarnato in Lei, perché Egli ne possedeva e ne elevava tutta la vita; era voce santa e santificante che operò quello che diceva come augurio di pace e, operandolo nello stesso tempo, santificò il Battista nel seno materno, e ne santificò la madre, riempiendola di Spirito Santo.
Elisabetta vide Maria nello splendore della sua sovrumana bellezza e ne rimase profondamente colpita. Il cammino, fatto sollecitamente, le aveva anche fisicamente ravvivato il colore del volto: l’espansione con la quale le si rivolse aveva fatto come affiorare tutta l’anima sua nelle linee del corpo purissimo; era come un’opera d’arte mirabile, un misto di semplicità e di maestà grande, un insieme di umiltà e di gloria, un’armonia di gioia profonda e di compostezza imperturbabile; era bellissima come non lo fu mai nessuna creatura, e rapiva perché spirava santità e pace da ogni movimento e da ogni parola.
Era ancora fanciulla: aveva poco più di quindici anni e, benché fosse già sviluppata, portava nella sua persona la casta e affascinante ingenuità propria dell’adolescenza. Era come un fiore aperto alla vita e, perché aperto per virtù dello Spirito Santo, conservava intatto quel candido fulgore d’integrità che è proprio delle vergini. Sembrava un angelo del Paradiso, più di un angelo, fulgente nei raggi della divinità che in Lei riposava, e diffondeva intorno una soavissima unzione di grazia che saziava lo spirito e lo inebriava d’amore verso di Dio. La sua voce non era voce di creatura umana: aveva qualcosa di misterioso, penetrava il cuore come grazia, e lo pacificava con una grande soavità; era come una melodia sommamente espressiva, tratta da uno strumento dolcissimo.

Il saluto di santa Elisabetta

Santa Elisabetta, perciò, al vederla così grande e così bella, esclamò per ispirazione interna dello Spirito Santo: Benedetta sei tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno. L’abbracciò, la strinse al cuore quasi con effusione materna, perché ella era già avanzata di età; ma, nello stringerla, sentì in lei qualcosa di divino, capì per grazia il mistero della sua Maternità divina, sentì che abbracciava la Regina del cielo e soggiunse: E da dove viene a me questa grazia che la Madre del mio Signore, cioè del mio Dio fatto uomo per la salvezza di tutti, venga a me?
Con queste ispirate parole fu come scolpita per i secoli la testimonianza della divina Maternità di Maria e della sua ineffabile grandezza. Ella non è indifferente ai salvati dal Redentore: lo porta loro, lo dona, effonde la sua grazia e la sua misericordia, dona la sua gioia, santifica in suo nome, ed è inseparabile da Lui nell’opera della salvezza.
Se fosse stata solo un canale per il quale passò il Redentore – come dicono stoltamente i poveri protestanti –, Elisabetta, ripiena dello Spirito Santo, si sarebbe rivolta non a Lei ma al Figlio divino che le stava nel seno; ella, invece, la esaltò benedetta fra le donne, e chiamò Frutto suo il Redentore, Frutto della sua pianta purissima che, evidentemente, Ella sola poteva dare. La pianta non è un semplice canale del frutto, lo genera, lo nutre, lo matura e lo dona; bisogna andare dalla pianta per averlo e, senza la pianta, è impossibile coglierlo.
Elisabetta vide in Maria tutto quello splendore di vita, e lo paragonò inconsciamente all’umiliante abbattimento nel quale il suo sposo, muto e sordo era venuto da lei dopo la visione dell’angelo, capì che la fede nella parola dell’angelo aveva realizzato in lei il grande mistero, come l’incredulità del marito gli aveva causato la mutezza e la sordità. Psicologicamente quell’infermità del marito le era stata motivo di non pochi fastidi nel governo della casa, e quindi esclamò: Te beata che hai creduto poiché si adempiranno le cose dette a te dal Signore.
Il cantico sublime di Maria
Maria, a quelle parole di lode, sentì l’anima sua tutta tratta in Dio; l’umiltà le dava il senso della sua nullità innanzi a Lui; la riconoscenza le faceva attribuire tutto alla sua infinita misericordia; la luce divina che la illuminava le faceva guardare i suoi disegni su di Lei e i trionfi delle sue misericordie nei secoli, fino alla fine del mondo; perciò, elevando gli occhi al cielo, esclamò: L’anima mia magnifica il Signore.
Mai uscì da labbro umano un cantico più sublime di gioia; mai un cuore si aprì a Dio con tanto riconoscente amore; mai l’umiltà più profonda fu armonizzata così mirabilmente con la verità, in modo da formare una melodia di annientamento e di grandezza, di piccolezza e d’immensità, di bontà e di forza che affascina l’anima e la unisce alla gioia e ai sentimenti di Maria.
Le reminiscenze scritturali del cantico di Anna, dei salmi e dei profeti che si trovano nel sublimissimo cantico non mostrano solo la familiarità di Maria con le Sacre Scritture, ma sono come la luce delle profezie e delle figure passate che s’incontrano con la realtà e col compimento delle promesse di Dio e, lungi dall’offuscare l’originalità del canto, lo rendono nella sua concisa semplicità più splendente e più bello. Esso è come il fiore di tutto l’antico patto ed è la gemma feconda del nuovo; è il compimento delle antiche speranze e la speranza nelle nuove misericordie; è la sintesi delle compiute aspirazioni del passato, è un rapido sguardo alla storia del futuro, fino al compimento dei secoli, è il programma della vita di un’anima redenta e la sintesi delle sue elevazioni d’amore; è, infine, lo sprazzo fulgente della vita del Verbo Incarnato e della medesima Madre che lo portava nel seno. In tutta la storia del regno di Dio è una voce sempre viva, in tutto lo sviluppo della Chiesa è un programma sempre attuale, in tutte le ascensioni dei santi, è una voce sempre armoniosa che può raccogliere in un suono d’amore le mirabili armonie della grazia in loro; è un cantico fecondo e verginale, come il Cuore dal quale sgorgò ricco di significati e semplice nella sua espressione che la Chiesa canta e ricanta ogni giorno, senza che esso esaurisca la sua gioiosa e fresca scaturigine, è il canto dei pellegrini che vanno verso la Patria eterna, degli apostoli che percorrono la terra diffondendo il lieto messaggio, dei martiri che attestano la verità col loro sangue, dei confessori che la propagano, delle vergini che la vivono, dei contemplativi che la gustano, degli angeli che la esaltano, delle creature tutte nelle quali ha echi d’amore, ed è nota squillante del cantico eterno nell’eterna gloria.
Se si recita, è una preghiera soave; se si canta è un inno trionfante che lancia lo spirito esultante in Dio; se si medita è come orto fiorito, ricco di profumi celesti. Ha un sapore sempre nuovo, un fascino sempre vivo, una delicatezza sempre verginale che i secoli non hanno potuto mai invecchiare, perché è un cantico di vita. Che gioia, o Vergine Santa, ricevere la grazia, ricevere Gesù e poter cantare con te: Magnificat anima mea Dominum! Che pace trovarsi sul Calvario della prova e poter ripetere con te, anche lacrimando, nella piena rassegnazione del cuore: Magnificat anima mea Dominum! Che dolcezza interiore elevarsi a Dio, sprezzando le gioie del mondo, e ripetere nel volo dell’anima al Bene eterno: Magnificat anima mea Dominum! Che poesia d’amore recitare con la Chiesa le grandi preghiere liturgiche, sentirsi sazi di elevazioni interiori, e volgere tutta l’anima a Dio in questo canto dell’anima tua, o Maria: Magnificat anima mea Dominum! Che conforto nelle aridità dello spirito, quando la povera nostra fontana si è come essiccata e non dà una goccia, ravvivare la scaturigine del cuore con questo tuo canto, e dare la vita alla povera terra inaridita: Magnificat anima mea Dominum!
Anche a costo di dilungarci, noi non possiamo passare oltre senza dare almeno uno sguardo fugace a questi aspetti luminosi del cantico di Maria, e a dilettarci nella molteplice rifrazione di questa gemma preziosissima del Nuovo Patto.
Non possiamo non commentare il profondo significato di questo canto d’amore che c’è stato donato per cantare a Dio la riconoscenza del nostro amore, perché uniti alla voce verginale della Mamma nostra, possiamo essere meno ingrati all’Amore che per noi discese dal cielo, e per amore ci redense col suo preziosissimo Sangue.

San Zaccaria non credé all’angelo e rimase muto e sordo fino al compimento della promessa; Maria credé e parlò, anzi cantò con una melodia che abbracciò tutti i secoli. Noi, figli suoi, cantando con Lei viviamo della sua grande fede, partecipiamo alla beatitudine del suo Cuore: Beata quae credidisti, e ci rendiamo meno inetti al compimento dei disegni di Dio in noi. 

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