sabato 29 giugno 2013

Gesù viaggia verso Gerusalemme

Commento al Vangelo della XIII Domenica del TO C 2013 (Lc 9,51-62)
Don Dolindo Ruotolo
Gesù viaggia verso Gerusalemme
        Avvicinandosi il tempo dell’assunzione di Gesù al cielo dopo la Passione e Morte, Egli si mostrò risoluto di andare a Gerusalemme. Sapeva bene che in quella città sarebbe stato condannato a morte, e poiché l’amor suo lo spronava a dare la vita per la salvezza di tutti, vi andava risoluto, cioè pronto ad accettare gli aspri tormenti che lo aspettavano. Siamo agli ultimi sette mesi della sua vita, ed Egli, dopo aver evangelizzato la Galilea, iniziava il viaggio verso Gerusalemme, per predicare la buona novella nella Perea e nella Giudea, e compiere la sua missione sul Calvario.

I Samaritani rifiutano di ospitare Gesù
        Avendo con sé non solo gli apostoli ma numerosi discepoli, Egli spedì avanti alcuni incaricati per preparare a tutti l’alloggio e il vitto e per disporre il popolo a riceverlo con frutto.
        La via più breve per andare a Gerusalemme era quella che attraversava la Samaria, regione sommamente ostile ai Giudei, specialmente quando si recavano al tempio per adorarvi il Signore. I Samaritani, infatti, avevano anch’essi edificato un tempio sul Garizim, rivale di quello di Gerusalemme e pretendevano che là vi si dovesse adorare Dio invece che nella santa città. Quando sapevano che un Galileo o un Giudeo si recava al tempio, gli mostravano tale ostilità da costringerlo o a desistere o a cambiare strada, facendo un cammino più lungo attraverso la Perea.
        È questa la ragione per la quale, quando i messi di Gesù entrarono in una città della Samaria per preparargli l’alloggio, i Samaritani non vollero riceverli e li scacciarono.
        Giacomo e Giovanni ne furono indignati, e avrebbero voluto invocare il fuoco dal cielo su quell’ingrata città. Essi sul Tabor avevano visto Gesù nella gloria, e con Gesù anche Mosè ed Elia; il ricordo della Maestà del Maestro provocava sdegno contro quelli che lo rigettavano, e il ricordo di Elia che, aveva chiamato il fuoco dal cielo contro i suoi nemici, faceva venire loro il desiderio d’imitare il suo gesto e di punire i Samaritani.
        Ma Gesù li redarguì severamente, dicendo: Non sapete di quale, spirito siete. Il Figlio dell’uomo non è venuto a perdere le anime ma a salvarle. Essi credevano di parlare per zelo, e invece quei pensieri di severa giustizia venivano loro da satana e dalla natura; essi non sapevano discernere lo spirito che in quel momento li animava. Il rifiuto che ebbero fu sgarbato, li disgustò, li offese, e il loro desiderio di giustizia era un sottile e subcosciente desiderio di vendetta. Volevano mostrare ai Samaritani non solo la superiorità del divino Maestro, ma anche la loro autorità; immaginavano che un segno spettacoloso avesse dovuto umiliarli, e far loro capire la loro inferiorità; c’era in quel desiderio di vendetta anche l’ostilità che sentivano in particolare contro i Samaritani, stimandoli scomunicati e maledetti.
        Ma Gesù non era andato nella Samaria per perderla; vi si era recato per salvarvi le anime, a Lui carissime, e non voleva diffondervi che misericordia e perdono; compatì quei poveretti che lo rigettarono e se ne andò in un altro villaggio.

Gesù non ci vuole a con la forza

        Egli condannò, in tal modo, tutte le irruenze del falso zelo, e col suo esempio c’insegnò a cercare le anime con grande mansuetudine e bontà. Le irruenze a che giovano? Provocano solo la reazione e una maggiore ostinazione di volontà nel male. Il Signore non ci vuole a sé con la forza, ma con l’amore; se a volte ricorre al castigo salutare, lo fa solo per trarre a sé le anime che hanno ancora una possibilità di convertirsi e di amarlo. I flagelli pubblici hanno sempre un carattere di misericordia, e sono l’ultimo assalto del suo amore alle anime ostinate nel male, sono l’ultima purificazione per quelle che sono sante. Lo zelo impetuoso, in realtà, sorge sempre dalla natura, ha sempre un carattere d’ira, di vendetta o di ritorsione e, lungi dal salvare, può perdere più presto le anime.

Come seguire Gesù nella vocazione religiosa
         Mentre Gesù camminava, uno gli disse di volerlo seguire dovunque fosse andato. Era un giovane o un uomo che, entusiasmato dalle sue parole, non voleva perderne una e voleva seguirlo, presumendo di eleggersi da sé come suo discepolo, per un sentimento tutto naturale. Ma la vocazione all’apostolato non può nascere dalla natura, comportando sacrifici e rinunce che non possono farsi senza una grazia particolare, e perciò Gesù gli disse: Le volpi hanno le tane, gli uccelli dell’aria i nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove riposare il capo. Se voleva seguirlo, doveva essere pronto ad una vita di privazione e di povertà, alle quali, evidentemente non doveva sentirsi disposto intimamente, pur credendo di avere ferma volontà di seguirlo.
        Non si va all’apostolato o alla vita religiosa per entusiasmo naturale o per vedute umane, ma ci si va per divina chiamata e rinnegandosi; e Gesù, per mostrarlo meglio, si rivolse ad un altro, e gli disse: Seguimi. Era un’anima che aveva dovuto sentire spesso l’impulso interiore della grazia, ma vi aveva opposto difficoltà, non sentendosi il coraggio di abbracciare una vita randagia, fatta tutta di rinunce e di prove; era però un’anima desiderosa della perfezione che aveva bisogno di una spinta di grazia per seguire la sua vocazione, e per questo Gesù decisamente lo chiamò: Seguimi. Egli oppose ancora una difficoltà: aveva il padre vecchio e voleva prima chiudergli gli occhi e seppellirlo; ma Gesù gli replicò: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti, ma tu va’ e annuncia il regno di Dio.
        Quell’uomo forse doveva avere in casa persone ostili al Signore e morte alla grazia; ora, se egli avesse frapposto indugio alla propria vocazione, come l’avrebbe potuta custodire? L’atto di pietà che voleva fare verso suo padre potevano farlo i suoi parenti, e non era necessario che lo facesse lui, con pericolo della vocazione e con danno dell’apostolato. Aveva avuto molte grazie, aveva ascoltato la parola della vita, poteva trasmetterla agli altri, e poteva impedire questo bene per compiere un atto di pietà che avrebbero compiuto i suoi familiari? Per essi, morti alla grazia, sarebbe stato almeno un merito e un’opera buona; per lui, chiamato ad una vita santa di apostolato, sarebbe stato un ostacolo; era dunque conveniente che i morti alla grazia facessero questo atto di virtù naturale e che egli, rinato alla grazia, annunciasse il regno di Dio.
        Alle recise parole di Gesù, un altro che era stato chiamato già, com’è evidente dal contesto e che sentì in quell’esortazione il dovere di seguire completamente il Signore, gli domandò almeno il permesso di salutare quelli di casa. Ma andare a salutarli per lui sarebbe stato lo stesso che farsi dissuadere, poiché l’ambiente della sua famiglia doveva essergli ostile, e Gesù che lo sapeva e prevedeva quello che sarebbe avvenuto, glielo avvisò, dicendogli in altri termini: Guarda bene che tu, andandovi, non mi sarai più fedele, e sarai come uno che mette prima mano all’aratro per lavorare, ma poi si scoraggia e lascia a metà il suo solco. Ti volgerai indietro, cioè penserai alle comodità lasciate, alla libertà di casa tua, alla tranquillità che potrai avervi rinnegandomi, e finirai per cedere alla natura e per essere infedele.
         Sono ammonimenti preziosi per la vocazione allo stato ecclesiastico o a quello religioso: chi vi è guidato non dalla chiamata di Dio ma dall’entusiasmo di un momento o da visuali più o meno poetiche, non pensa ai sacrifici che deve abbracciare, e quando li incontra finisce per conturbarsi, vi si rifiuta, ritorna al mondo con lo spirito sconvolto o rimane in una falsa vocazione con lo spirito disperato.
        È necessario, perciò, farsi chiamare dal Signore, implorare da Lui la grande grazia della vocazione, e abbracciarla per solo suo amore, nello spirito del sacrificio più completo. Chi è chiamato da Dio, può trovare difficoltà ad obbedire, nella stessa tenerezza del proprio cuore, e con la scusa o della pietà verso i propri cari, o delle convenienze umane, può rendersi infedele.
        Per essere tutti di Dio non si può guardare la naturale affezione del cuore: è indispensabile, anzi, anche rinnegarla esternamente e in tutto ciò che ha di naturale o di terreno, perché i parenti spesso non intendono né le vie di Dio né gli interessi della sua gloria.
        Chi abbraccia lo stato matrimoniale non fa lo stesso per amore di una creatura? La segue, si distacca, piangendo dai propri cari, ama quella creatura più di tutti, e se prevede che qualcuno voglia allontanargliela, lo fugge.
        Chi ha mai tacciato questo di inumanità o di esagerazione? E per Dio non si può fare almeno lo stesso?
        I parenti, poi, non sono eterni sulla terra, passano, ed è anche giusto e sapiente badare prima di tutto ai loro e ai nostri interessi eterni; lasciarli per amore di Dio significa renderli ricchi di un merito grande, perché un figlio o una figlia consacrati a Dio sono un grande titolo di salvezza eterna per i genitori e per i parenti, e significa provvedere al proprio imprescindibile bene eterno.
         È più bello donarsi a Dio, quando Egli ci chiama, donarsi rinunciando a tutto per amor suo, e ritrovarci poi nell’eternità, tutti insieme, in un imperituro godimento.
Padre Dolindo Ruotolo

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