sabato 22 giugno 2013

Tu sei il Cristo di Dio

Commento al Vangelo della XII Domenica del TO C 2013 (Lc 9,18-24)

Tu sei il Cristo di Dio
        Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, san Matteo e san Marco dicono che Gesù si appartò su di un monte per pregare, ingiungendo ai suoi di andare in barca all’altra riva. Nel mezzo del lago, gli apostoli furono sorpresi dalla tempesta, e Gesù li raggiunse camminando sulle acque. San Matteo narra in particolare l’episodio di san Pietro che, al comando del Maestro, camminò anch’egli sulle acque (cf Mt 14,22ss; Mc 6,46ss). Approdarono poi a Genesaret, dove Gesù operò molti miracoli, e di là si trasferì nei pressi di Tiro e di Sidone, dove avvenne l’episodio della Cananea (cf Mt 15,22ss; Mc 7,25ss).
        Ritornato in Galilea, Gesù vi guarì molti infermi, e in particolare un sordo-muto (cf Mc 7,32ss). La folla nuovamente lo circondò, e Gesù l’alimentò con una seconda moltiplicazione, facendo bastare sovrabbondantemente a circa quattromila persone sette pani e pochi pesciolini (cf Mt 15,32-39; Mc 8,1-10). Dopo questa moltiplicazione, avvenne una disputa con i farisei e i sadducei (cf Mt 16,1-4; Mc 8,11-13). Tornato a Betsaisa, Gesù vi guarì un cieco, sputandogli sugli occhi (cf Mc 8,22-26), e andato con i suoi nei pressi di Cesarea di Filippo, domandò loro che cosa dicessero di Lui gli uomini.
        San Luca non ricorda tutti questi avvenimenti e dalla prima moltiplicazione dei pani passa subito a parlare della domanda fatta da Gesù ai suoi apostoli sulle voci che correvano di Lui. A molti sembra inesplicabile questa lacuna di san Luca, e suppongono che sia andato perduto qualche foglio del suo manoscritto; ma è evidente che l’evangelista, avendo raccolto da altri le notizie dei fatti che narra, non ebbe particolari informazioni su quegli avvenimenti, o le ebbe frammentarie e pensò di non inserirle nel suo libro. Del resto, gli evangelisti non raccontano tutto quello che avvenne nella vita di Gesù, e non c’è da meravigliarsi della lacuna di san Luca. Si potrebbe anche supporre che Gesù non abbia domandato una sola volta agli apostoli che cosa si dicesse di Lui e che, dopo la prima moltiplicazione, appartatosi con loro in preghiera sul monte sul quale si era recato proprio per questo, abbia fatto quella domanda per risuscitare in loro la fede su quello che Egli era veramente.
        A noi questo sembra più probabile anche dal punto di vista psicologico: Gesù, infatti, aveva raccolto gli apostoli dopo la missione da essi compiuta, per farli rifocillare e riposare, e principalmente per dar loro, nel raccoglimento della preghiera, un maggiore sentimento di umiltà, ed evitare che avessero potuto gloriarsi di quello che avevano operato. Raccoltasi sul monte la turba, Egli non poté badare ai suoi apostoli; ma, licenziatala dopo il grande miracolo, li riunì in preghiera e domandò loro che cosa dicevano le turbe di Lui.
        È evidente dal contesto e anche dagli altri Vangeli che gli apostoli avevano capito poco o niente del miracolo della moltiplicazione dei pani, e Gesù, con quella domanda, volle richiamare la loro attenzione su quello che Egli era. Essi, infatti, non avevano ancora in Lui un pieno abbandono e una piena fede, si preoccupavano eccessivamente delle cose temporali, pensavano alla propria esaltazione, e gareggiavano fra loro chi fosse il più grande, perché non riflettevano che Egli era il Figlio di Dio.
Perché Gesù vieta ai suoi apostoli di rivelare la sua identità divina
        Alla domanda di Gesù, gli apostoli risposero riferendo le varie opinioni del popolo: chi diceva che Egli era Giovanni Battista, chi Elia, e chi affermava che era qualcuno degli antichi profeti risorto. E voi – soggiunse Gesù –, chi dite che io sia?
        Simon Pietro rispose subito per tutti: Il Cristo di Dio. La sua fede era piena, ed egli, nell’esuberanza del suo amore, parlò in nome di tutti, anticipando, senza pensarlo, ma per divina disposizione, i giorni del suo primato, nei quali avrebbe illuminato tutta la Chiesa con la sua infallibile fede.
        Era la verità, ma Gesù ingiunse severamente ai suoi apostoli di non dirla a nessuno, soggiungendo che era necessaria la sua Passione e Morte, e poi la sua risurrezione.
        A prima vista sembrerebbe che Gesù abbia voluto di proposito essere sconosciuto ai suoi nemici, per rendere possibile la sua Passione e Morte, e sembrerebbe anche che essi non avessero colpa di non averlo riconosciuto, dato che Egli non voleva manifestarsi per quel che era. Gesù Cristo, invece, conosceva il cattivo animo dei suoi nemici e sapeva che una confessione esplicita e prematura della sua Divinità, fatta dai suoi apostoli, li avrebbe maggiormente aizzati contro di loro e contro di Lui, rendendoli più colpevoli. Egli doveva patire ed essere riprovato; questa era una necessità conseguente al suo disegno d’amore e all’utilizzazione che voleva fare della stessa perversità dei suoi nemici, ma non dava loro il pretesto per farlo, e nella sua misericordia li attendeva a salutare ravvedimento con l’evidenza dei fatti che compiva e voleva compiere.
        Questo ci fa intendere l’ammirabile pazienza di Dio con i peccatori: Egli sa quello che faranno e non manca di dar loro tutti gli aiuti per operare il bene; sa che ne abuseranno, e li dà loro in modo da ridurre al minimo la responsabilità della coscienza. Si nasconde non per impedire che rinsaviscano, ma per renderli meno colpevoli.
        Egli, poi, sa che i suoi eletti ricaveranno tesori di meriti dalle mani dei perfidi e, pur di arricchirli per la ricompensa eterna, non ha ritegno di apparire Egli ingiusto e di dar mano lunga ai peccatori. Il suo divino gioco si vedrà subito, del resto; i pochi secoli della storia del mondo sono meno che attimi innanzi a Lui, e la sua grande carità, giustizia e misericordia verranno presto giustificate.

A noi Dio domanda: E voi chi dite che io sia?

        Ci sono oggi quelli che credono Gesù persino malefico – è terribile, è terribile! –, e lo combattono più che non si faccia con un nemico, e Dio domanda, con l’impeto del suo amore, alla nostra fede: E voi chi dite che io sia? Che cosa risponderemo noi? Oseremo ancora mormorare di Lui, o rimanere titubanti sulla sua infinita Realtà, sulla sua sapienza e sul suo amore? Oseremo ancora giudicarlo alla stregua delle suggestioni di satana o a quelle del nostro maledetto orgoglio?
        Rispondiamo con l’impeto dell’amore: Tu sei la Verità, la Sapienza e l’Amore per essenza; Tu sei l’Eterno, l’Infinito, l’onnipotente Padre, Figlio e Spirito Santo.
        Tu sei Potenza, Provvidenza e Carità, e compi tutto con forza, con soavità e con amore, o Santissima Trinità!
        Che cosa dice di te il mio intelletto? Ti credo!
        Che cosa dice la mia volontà? Ti obbedisco!
        Che cosa dice il mio cuore? Ti amo!
        Che cosa dico di te nelle oscurità della vita? Ti adoro!
        Che cosa dico nei dolori? Ti ringrazio e ti amo!
        Che cosa dico nelle tenebre e nelle angustie? Confido in te!
        Che cosa dico quando mi chiami al compimento della tua volontà? Adsum! Ecce Ancilla Domini fiat mihi secundum verbum tuum.
        Che cosa dico quando la vita mi si rende tribolata? Sono peccatore, merito mille volte di più, ti offro tutto in riparazione!
        Che cosa dirò nella morte quando tutto mi sfuggirà? Ecce venio ad te quem amavi, quem quaesivi, quem semper optavi, ecco vengo a te che ho amato che ho desiderato che ho sempre voluto!
        Voglio che la mia vita sia tutta un atto di fede, di speranza e di amore, voglio renderti testimonianza di verità, di sapienza e di carità, anche a costo di agonizzare; voglio essere geloso della tua gloria e difenderla contro tutto e contro tutti.
        Non è uscita mai, dal mio labbro, una parola di lamento su te, e col tuo aiuto non uscirà mai, anche se queste labbra mi si marcissero, o mio Dio; e se satana mi tenta, non farò mai affiorare dal mio spirito le sue tentazioni ma le soffocherò nella fede e nell’amore, perché il loro lezzo non ammorbi gli altri.
        Voglio portare scritto, sulla mia fronte coraggiosa: Dio è mia gloria; sul mio intelletto: Dio è mia luce; sul mio cuore: Dio è mio amore!
        Voglio deridere tutto ciò che non viene da Lui che non è per Lui che non è con Lui; voglio aborrirlo, anche se avesse le parvenze del bello, del vero e del buono, perché Tu solo, o Dio, sei Bellezza, Verità e Bontà!
        Un libro che abbia una sola ombra contro la sua gloria per me è più fetido d’un sepolcro e più ripugnante d’un arto consunto dalla lebbra.
        Un oggetto che è macchiato di obbrobrio, perché contro la sua volontà e contro la sua Legge è per me più abominevole d’un demonio.
        Una conoscenza che non mi porti a conoscerlo e ad amarlo è per me più tenebrosa di un abisso!
        Dio, Dio mio che cosa dirò di te, io, piccola tua creatura? Farò del mio intelletto un timpano di luce per osannare alla tua eterna verità; farò del mio cuore un cembalo d’amore, per cantarti amore; farò del mio corpo un’arpa a dieci corde, intonate ai tuoi comandi, per cantarti tutta la mia fedeltà!
        Che cosa ti dirò io, creato dalla tua onnipotenza, mondato dalla tua misericordia, e vivificato dal tuo amore? Ti dirò che sono tuo che canto le tue misericordie in eterno e che corro a te come cervo alla fonte!
        Oh, non mi dite che su di una parola del Vangelo io mi dilungo, poiché non è mai eccessiva la protesta dell’amore tra le voci folli che corrono nel mondo su Dio!
        Ponderate quel che dicono gli uomini di Dio, e vedete se non erompe, se non deve erompere dal nostro cuore, percosso come la roccia del deserto, un fiume d’amore, un devastante fiume che tenti trascinare nell’abisso tutte le brutture dell’ingratitudine umana.
        Oh, come potrebbe essere eccessiva la testimonianza resa all’infinito?
        Si può imporre un freno al cuore che geme, o un laccio all’impeto dell’amore ferito? Ed io gemo, o mio Dio, perché la tua gloria è manomessa dai vilissimi vermi umani, e il mio povero amore è ferito dalle ingiurie che ti si rivolgono! Perché non mi dai le ali, perché non mi muti in un turbine, perché non divento una fiamma, perché non volo, turbinando là dove è rinnegato il tuo Nome, e perché non consumo col mio amore quello che si oppone al tuo Amore?

Domandami ancora, mio Dio: E tu, cosa dici di me?

        Domandamelo ancora, mio Dio: «Che cosa tu dici di me?». Domandamelo, perché non mi stanco di dirtelo: Tu sei carità!
        Che cosa dico di te? Ti risponda tutto l’essere mio fatto vittima d’amore; ti risponda con le armonie del dolore, erompente dalla mia fragilità come scroscio d’amore: “Tu sei degno d’ogni amore, Tu solo!”.
        Che cosa io dico di te? Ti risponda per me la mia sorella morte, spegnendo la mia fiamma, crepitante tra le angustie dell’agonia: “Sei vita!”.
        Che cosa dico di te? Ti risponda per me dal mio sepolcro la putredine che dissolverà il mio corpo: “Tutto invecchia come panno che si consuma, e Tu sei l’immutabile!”.
        Che cosa io dico di te? Ti risponda per me l’armonia dell’eterna gloria, nella quale spero che ti loderà l’anima mia in eterno: Santo, Santo, Santo, sei Tu, Dio della gloria, Padre, Figlio e Spirito Santo, Potenza, Sapienza e Amore… O Santissima Trinità! 
Padre Dolindo Ruotolo

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