sabato 17 agosto 2013

Amore vero e sacrificio eroico

Commento al Vangelo della XX Domenica TO 2013 C
(Lc 12,49-53)

Amore vero e sacrificio eroico
Molti hanno poetato sul nome di Roma, dicendo che è un nome d’amore: Roma = Amor. Essi non pensano però che, considerata, nella sua vita pagana, Roma è un amore rovesciato che equivale all’odio implacabile. Roma imperiale specialmente, ha disseminato il mondo di rovine e di stragi, asservendo tutto al suo imperialismo tiranno e alla fatua gloria di pochi capi. Tutte le storie, del resto, delle conquiste umane hanno questa triste eredità di odio e di sangue.
       Gesù Cristo si proclama, invece, Conquistatore d’amore per il suo sacrificio cruento e pone come base del carattere cristiano l’amore, il sacrificio eroico e la carità. Egli è venuto a portare sulla terra il fuoco, non quello della distruzione ma quello della carità e desidera solo che esso si accenda; è venuto a portarlo, sottomettendosi Egli al completo sacrificio e ai dolori che dovevano inondarlo come un battesimo, e l’amor suo glieli fa desiderare con ansia vivissima che lo tiene in angustia finché non li abbia subìti tutti. Questo amore e questo sacrificio Egli li lascia come bella eredità anche ai suoi seguaci, poiché la conversione del mondo comporterà, per essi, il subire persecuzioni e dolori persino dalle persone più care di famiglia.
       Non c’è dunque da illudersi: la predicazione del Vangelo, contrastando le passioni umane, produrrà reazioni violente che saranno causa di gravi dolori agli apostoli della divina Parola e a quelli che li seguiranno.
       Questo fu già annunciato dai profeti, ed il vederne il compimento dev’essere per tutti un argomento di verità. Gli scribi e farisei si condannavano da se stessi, rifiutando la verità, poiché sapevano distinguere gli aspetti del cielo dalle nubi o dal soffiare dei venti e non volevano distinguere i segni inconfondibili della venuta del Messia, nelle stesse persecuzioni che muovevano a Lui e ai suoi discepoli. Compivano essi stessi i vaticini dei profeti, e non si accorgevano che il loro compimento era il segno della maturità delle divine promesse.
       L’allusione all’ostinazione degli scribi e farisei nel rinnegare la verità è come un inciso al discorso di Gesù, ed Egli, subito dopo, continua il suo annuncio profetico delle grandi persecuzioni che avrebbero sofferte i suoi seguaci, esortandoli alla mansuetudine, alla prudenza e alla carità. Era questa l’unica e grande forza alla quale dovevano far appello per difendersi, perché il cristiano è figlio di pace e messaggero di carità; deve cercare in tutto l’accordo, la tranquillità e la carità, evitando, con la prudenza, quello che può inasprire gli avversari e renderli più violenti.
       È questo il programma della Chiesa, al quale essa rimane fedele nei secoli: di fronte alla brutalità dei suoi nemici che vorrebbero soffocarla cerca sempre l’accordo e la pace, e la sua diplomazia è sempre ispirata all’onore di Dio e al bene delle anime.

       Dev’essere questo lo spirito di ogni suo ministro e di ogni suo fedele, poiché l’accordo con gli avversari, o almeno la prudenza nel trattarli, quando si mostrano incapaci di un accordo, salva il bene dall’estrema distruzione. Dalla parabola che Gesù dice è evidente che Egli non vuole che i suoi seguaci siano amanti di liti, poiché nelle liti ci sono le dissensioni, le avversioni, gli odi, e questo sta agli antipodi del bene che bisogna fare alle anime. Anche quando si ha ragione, in una lite che non compromette l’anima o la coscienza, bisogna cedere, per non correre rischio d’incontrare impedimenti nel fare il bene, e per evitare d’averne la peggio anche innanzi ai giudici, come spesso avviene.

 Padre Dolindo Ruotolo
PP

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